Storie di ordinaria violenza

1 Marzo 2013
Diletta Mureddu
Squilla il mio telefono. E’ una voce di donna, parla in modo agitato e talmente concitato che non capisco bene cosa mi dice. Le chiedo di ripetermi ciò che dice in maniera più chiara e mi chiede se sono la responsabile del Centro donna Cgil. Le rispondo di si, e lei mi dice:” mio marito mi picchia a sangue. Non so a chi rivolgermi. Mi aiuti per favore.” Cerco di tranquillizzarla per quanto possibile e le dico se è disposta a incontrarci. Mi dice subito di si, ma non ha un mezzo con cui muoversi e abita in un piccolo paese a quasi cento chilometri da Cagliari. Penso che allora è opportuno che vada io da lei e glielo propongo. Accetta subito e ci diamo un appuntamento all’ingresso del paese.
Mentre guido i miei pensieri si affollano in modo confuso e disordinato. Una parte di me è stranamente felice,  felice che una donna abbia avuto il coraggio di chiedere aiuto, felice di volerla aiutare con tutti i mezzi possibili. Un’altra parte di me è molto agitata, la paura di non reggere emotivamente, di farmi trascinare dai sentimenti appena l’avessi vista, la paura di farmi travolgere insomma. Arrivo all’ingresso del paese…non l’avevo mai vista questa donna e provavo a immaginarmela.. Vedo arrivare una donna piccola, minuta, che camminava un po’ curva, poteva avere 45 anni o giù di lì. Mi vede e mi sorride in modo un po’ timido. Mi dice: “dobbiamo spostarci da qui, andiamo un po’ fuori dal paese perché in questo paese ci conosciamo tutti e poi mi può vedere mio marito.” Ci spostiamo con l’auto; arriviamo  in una piazza quasi fuori dal paese. Parcheggio e spengo il motore. Lei  si presenta:”  mi chiamo Maria, anche se il mio vero nome è un altro. Solo che quello vero non è mai piaciuto a mio marito che ha deciso che  per tutti mi sarei chiamata Maria.” Penso a quanto già questa è una violenza psicologica. Il suo nome viene cancellato e cambiato perché non piace al marito.
D’istinto le dico che io l’avrei chiamata con il suo nome vero perché è giusto così. Lei sorride e mi ringrazia. E così inizia a raccontarmi delle violenze quotidiane, le botte, i pugni presi perché non faceva in tempo a fare la spesa o a cucinare,  perché spendeva troppo,  perché aveva bisogno di soldi per comprare dei farmaci. Insomma le botte prese per qualsiasi motivo.. Si tira su il pantalone; mi sconvolge la sua magrezza e la sua trascuratezza e penso che nonostante questo  è davvero una bella donna. E’piena di lividi, mi dice che è per le cadute e gli spintoni del marito. L’ultima volta lui le ha rotto la mandibola e ha fatto 30 giorni di ospedale. Mi sconvolge la lucidità  e la normalità con cui mi racconta tutto questo e mi sconvolge di più che l’unico momento in cui piange è quando mi racconta che nonostante questo è stato il marito a chiedere la separazione perché ha un’altra. Mi dice: io sono innamorata di lui e lui mi tradisce con un’altra. Capisce? mi tradisce con un’altra.
Io ascolto e non dico niente perché quello è il momento di ascoltare, non di dire o di giudicare..Le chiedo se ha qualche conoscente a cui rivolgersi in paese.” Nessuno,- risponde-, perché è un piccolo paese e le donne straniere, soprattutto se sono rumene, vengono viste come mantenute che si sposano per interesse.”
Mi racconta la sua infanzia: è  rumena, nata in una famiglia povera ma dignitosa. Il padre muore in un incidente ferroviario quando lei aveva 6 anni; rimangono sole lei e la madre. La madre inizia a lavorare in una fabbrica di liquori per portare a casa un po’ di soldi. Mi racconta di quando a 6 anni doveva rientrare a casa da sola, fare i compiti e addormentarsi da sola perché la madre faceva i turni e mi racconta di quell’odore di alcool terribile che sentiva ogni giorno addosso alla madre.
Poi da adolescente ha iniziato a sognare come tutte le donne rumene. Sognava di andarsene dal suo paese e magari di sposarsi con un italiano perché l’Italia  era la mia salvezza mi dice, così come quella di molte ragazze rumene. Ha conosciuto il suo attuale marito, 20 anni più grande di lei  e si sono sposati in pochi mesi. Mi dice: “non so se era amore, ma di sicuro c’era la gratitudine quotidiana di avermi strappato da quel posto terribile. Poi sono nate le bambine e i problemi sono iniziati da subito: litigavamo perché spendevo troppi soldi dal parrucchiere e perché osavo chiedere i soldi per comprarmi un ombretto. Diceva che non c’era bisogno visto che ero sposata e non dovevo attirare l’attenzione di nessun uomo.” Le chiedo quanti anni ha e rimango senza parole: ne ha solo 34 anche se addosso mi dice se ne sente 50…
Questa è una di tante storie di ordinaria violenza sulle donne. Storie così ce ne sono tantissime, ma troppo poche sono denunciate  perché  denunciare una violenza è spesso più difficile che stare in silenzio; perché spesso l’opinione comune ritiene che se una donna subisce violenza allora forse un po’ se l’è andata a cercare o non se ne va dal marito perché in fondo le va bene così .Significativa è una frase di un PM bergamasco che in seguito a uno stupro ha dichiarato:” le donne sono l’anello debole di una società in cui è parzialmente inculcata ancora l’assurda mentalità della femmina come oggetto del possesso.
Lo dico con tutto il rammarico ma sarebbe bene che di sera non uscissero da sole.” Si perché il problema è ancora purtroppo visto non come  un’emergenza sociale che coinvolge e responsabilizza tutti, ma come un problema delle sole donne che si devono fare carico di tutto non uscendo di notte da sole, non vestendosi in modo provocante come se poi non si sapesse che le violenze domestiche sono quelle maggiormente diffuse. Oppure quando la donna decide di denunciare superando il senso di colpa e la vergogna non sa dove rivolgersi perché  manca una vera rete di servizi in grado di supportare la donna e aiutarla concretamente. Il Centro Donna Cgil è attivo ogni Lunedì presso la sede Cgil di viale Monastir e vuole essere uno spazio per le donne, donne che hanno bisogno di conoscere i loro diritti perché la conoscenza arricchisce le donne, una rete di relazione tra donne perché spesso la violenza si annida dove prevale la solitudine, donne maltrattate e discriminate in ambiente domestico e nei luoghi di lavoro. L’Istat ha calcolato che sono l’8,5% delle lavoratrici, ossia più di un milione di donne, che hanno subito molestie o ricatti sessuali nel luogo di lavoro. Di queste solo il 18% ha avuto il coraggio di denunciare il fatto. Sono numeri allarmanti che ci devono preoccupare e far pensare che “la violenza sulle donne è una sconfitta per tutti”, non solo per le donne ma per l’intera società.

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