Volti

16 Ottobre 2021

[Amedeo Spagnuolo]

Volti, quei volti delle giovani donne afgane che disperatamente, ma anche con grande coraggio, sfidano gli sguardi ottusi e arroganti dei barbuti talebani, quei volti proprio non riesco a farli uscire dalla testa, non vorrei esagerare, ma da qualche settimana quei bei volti di donne impaurite ma determinate mi ossessionano e mi fanno soffrire.

Vorrei provare a descrivere l’emozione che suscitano in me quelle espressioni atterrite: una di loro in particolare esprime con l’espressione del suo viso tutto il terrore della sua anima, nonostante questo però cerca di non arretrare quando l’energumeno con la barba sporca gli punta il fucile nella pancia e comincia a ridacchiare osservando le lacrime che la giovane donna non riesce più a controllare, lei abbassa gli occhi e con la punta delle dita, quasi come se quell’oggetto di morte non solo gli facesse paura ma anche schifo, cerca di allontanarlo dal suo ventre, inutilmente però perché, il giovane, presunto guerriero talebano si diverte ancora con quella povera donna e questa volta il fucile glielo punta direttamente tra le gambe con un gesto che vuole semplicemente umiliare e sottomettere, poi il video grazie a Dio (dove sei?) s’interrompe e io provo vergogna per averlo guardato, ma non potevo evitare di farlo poiché il telegiornale che stavo guardando me lo ha piazzato subdolamente sotto gli occhi, così, all’improvviso e non ho avuto la forza di distogliere lo sguardo. La mia punizione però la subisco da qualche giorno e consiste nella prepotente ricomparsa di quelle immagini e degli occhi neri e disperati di quella ragazza che di fronte a tanta violenza, pur non volendosi arrendere, si sente sconfitta e impotente.

Quei volti impauriti e umiliati sono gli stessi che si materializzano nelle nostre civili città europee nelle quali ogni giorno si consumano, nei confronti delle donne, violenze indicibili che sfociano spesso nell’assassinio. Il fenomeno del femminicidio ormai ha assunto le caratteristiche di un problema sociale molto serio che non si può più affrontare con i tradizionali strumenti che finora abbiamo avuto a disposizione.

Nel 2012, nel mondo, 43.600 donne sono state uccise senza pietà da varie tipologie di uomini: un partner, un ex fidanzato, un membro della propria famiglia. Addirittura un terzo del mondo femminile afferma di aver subito, almeno una volta, una forma di violenza sessuale o fisica. Purtroppo in questa devastante realtà solo l’11 per cento delle vittime denuncia gli abusi subiti alle autorità e possiamo facilmente immaginare il perché. Queste sono le cifre presentate nel 2016 dall’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Indubbiamente sono dati sconvolgenti che è possibile comprendere a pieno solo se si abbandona l’aridità dei numeri e si cerca d’immedesimarsi nella terribile esperienza di tutte queste donne    

 Per quanto riguarda l’Europa, i dati a disposizione sono piuttosto carenti, comunque sia, in base a ciò che sappiamo, il numero maggiore di casi di femminicidio interessa tre dei paesi più “sviluppati” d’Europa ovvero Germania, Gran Bretagna e Italia. Se però si analizzano i casi di violenza estrema sulle donne in rapporto alla popolazione, la situazione cambia e i paesi “peggiori” diventano, nell’ordine: Montenegro, Lettonia, Lituania e Repubblica Ceca.

Bisogna dire che gli strumenti giuridici anche se ancora insufficienti, ci sarebbero per cominciare a porre rimedio seriamente a questa vergognosa pratica medievale che assilla anche il nostro continente. Infatti, già nel 1979 ci fu la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW). Poi, nel 1995, fu adottata la Piattaforma d’Azione di Pechino. 16 anni dopo si è giunti alla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne che fu approvata nel 2011 dal Consiglio d’Europa. Per quanto riguarda la Convenzione di Istanbul, la strategia della quale si parla più spesso è quella definita delle 3P: Prevenzione attraverso l’educazione; Protezione per chi subisce violenze di genere e Punizione severa per gli autori delle violenze.

Per quanto riguarda la Sardegna la situazione è onestamente preoccupante, infatti, stando ai dati provenienti dall’ISTAT, la Sardegna è una delle regioni nella quale si commettono più omicidi, quarta per quanto riguarda gli uomini, ma addirittura seconda per femminicidi. Nel triennio tra il 2010 e il 2012 le vittime di femminicidio in Sardegna erano 0,28 ogni 100.000 abitanti, dunque l’isola era penultima in questa triste classifica. Ma già nel triennio successivo, 2013 – 2015, il numero di femminicidi era raddoppiato, 0,48 per ogni 100.000 abitanti, fino ad arrivare al picco del triennio 2016 – 2018, periodo durante il quale si è arrivati a 0,68 femminicidi ogni 100.000 abitanti portando l’isola al secondo posto dietro solo alla Provincia di Bolzano.

L’Afghanistan, l’Europa, il mondo intero continuano ad accanirsi con violenza nei confronti dell’universo femminile, certamente il discorso punitivo è fondamentale, ma ancora più centrale diventa il ruolo della scuola e dell’educazione. È a partire dalle nostre aule scolastiche che bisogna affrontare coraggiosamente e di petto il problema. Solo facendo capire ai nostri alunni che la donna non è un oggetto a nostra disposizione ma un essere come noi e spesso migliore di noi, con i suoi sogni, la sua libertà di scelta, la sua voglia di vivere possiamo sperare che un giorno la parola femminicidio possa finalmente svanire per lasciare il posto a una felice prospettiva di vita nella quale, spazzando via qualsiasi discriminazione di genere, gli esseri umani potranno finalmente unirsi liberamente e condividere insieme la fantastica avventura della vita.

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