La democrazia inquieta

6 Maggio 2020
[Paolo Deidda]

Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione dal sociologo Paolo Deidda presidente dell’associazione culturale S’Iscola che nasce ed opera con l’obiettivo ambiziosissimo dell’educazione alla democrazia. Nell’articolo che segue, la democrazia è rappresentata attraverso la metafora della fontana ed è intesa come aspirazione e come faro che deve guidare l’agire individuale e collettivo. Ma spesso capita che questo imperativo sia schiacciato dalla complessità dalle questioni da affrontare, dalle emergenze che richiedono velocità di risposta e da tante spinte di vario genere che fanno perdere di vista i valori-guida, mettendo così a rischio i sistemi democratici. Da ciò deriva, per ciascuno, l’obbligo di vigilare, contribuendo attivamente al rafforzamento delle democrazie (red).

Stefan George, un poeta tedesco dell’ottocento, scriveva che nessuno va alla fontana senza averla pensata prima. E’ così che il pensiero addomestica il reale creando quel qualcosa da raggiungere ponendolo la ad una certa distanza percorribile. Certo non sai se potrai mai raggiungerla, ma il semplice pensiero del dove questa possa trovarsi, traccia la rotta creando le condizioni che consentono di metterti in viaggio nonostante quella costante e vibrante incertezza. Quel dispositivo, quell’atto di distanziare generativo di quel qualcosa con il pensiero e di percorrere quella stessa distanza che ci separa dal quel qualcosa; questo gioco del pensiero che trascina il corpo nell’atto di colmare la distanza che li separa, è un dispositivo classico dell’essere nel mondo dell’uomo. Con il pensiero creiamo l’oggetto nell’atto di metterlo la e, ad un tempo, tracciamo incerti lo spazio da colmare che ci separa. E’ attraverso l’atto di mettere qualcosa la che quel la si palesa di fronte a noi. Ci guardiamo in uno specchio e in quell’immagine posta la, a distanza, possiamo vederci. Senza quel supporto non possiamo vederci. Funzioniamo così. E questo vale anche quando pensiamo a quel mondo possibile in cui tutte le potenzialità dell’umanità trovano infinitamente luogo per essere scoperte e agite. E’ posto laggiù in fondo lungo il confine dell’orizzonte ed in quanto tale mai interamente raggiungibile. Ma oggi, oggi qualcosa inquieta quel gioco. Lo spazio che ci separa da quella “fontana” non pare più certamente percorribile sia pure con quella costante incertezza. Qualcosa è successo che pare interrompere quel certo cammino in quella constante incertezza. Il pensiero non è più in grado di trascinare il corpo. Il corpo è caduto. E in questa caduta, il pensiero si di-sorienta. Non l’aveva previsto! L’emergenza della caduta lo sorprende impreparato. Un senso di inadeguatezza si fa strada! L’inquietudine lo attraversa. Assomiglia ad un narratore che cadendo sul palcoscenico perde la memoria! Dimentica la sua parte! Non trova più dentro di se il copione da seguire; ha perduto la mappa che traccia il cammino, la direzione verso cui la sua narrazione si volge e così recita a soggetto, improvvisa. Ogni manifestazione di crisi piccola o grande che sia; ogni manifestazione di crisi che sia individuale o collettiva, trova in questa perdita la matrice primigenia. Ogni crisi è perdita della mappa; del verso, del senso, dell’intenzione cui si ri-volge la vita di un individuo o di tanti individui. Ogni crisi è crisi perché si smarrisce il cifrario che orienta il cammino nel mondo. Così oggi il pensiero a quel mondo possibile, che si crea nell’atto di pensarlo ponendolo la in uno spazio percorribile; oggi quello spazio è percorso da una quota in-più di quella costante e vibrante incertezza che accompagna il pensiero nel cammino quotidiano nel suo verso. E in quella quota in-più si è generato un inciampo e in quello il pensiero ha perso il supporto per poter vedercisi-si e indicare il verso. Ha perso di vista quel la. Quel gioco qui – la perde la liaison per assestarsi sul qui. Si schiaccia a terra perdendo la vista e l’immagine di quel la posto lungo un perenne orizzonte sempre avanti a noi. Non sa più indicarlo e non sa più trascinare un corpo caduto e così sospende quel la. Si ferma in attesa che quel corpo si rialzi. Oggi questo cortocircuito potrebbe essere rappresentato dall’opposizione di un corpo costretto, privato della mobilità, limitato nelle sue forme di poter essere e stare nel mondo. Un corpo che non può più percorrere uno spazio e che il pensiero di quel la, in quanto sospeso, non può più indicare la via. Un corpo che per poter essere fatto salvo deve schiacciarsi a terra nel qui, evidentemente. Certo non è tempo né luogo per la rappresentazione di un contrasto! Ci sono altre priorità. Il corpo va innanzitutto fatto salvo! Non c’è dubbio. Ma forse si! Forse comunque c’è sempre il tempo finché il corpo è vivo, che il pensiero eserciti la propria funzione senza che il contrasto per forza si traduca in una competizione del qui con il la. Si prende atto; la si accoglie. Oggi l’inciampo fa emergere che la democrazia freme nell’affrontare un’emergenza. Questo non significa che ieri eravamo meglio messi. Anche ieri quel la non era così evidente. Ma oggi c’è qualcosa in più. Ha paura! Nel gestire un’emergenza, i suoi “riti” sono pesanti, diventano dei veri riti di cui, in certe circostanze, si può anche farne a meno! Bisogna fare presto! Bisogna esse veloci. Bisogna decidere in fretta. Il qui non guarda più il la. Lo sguardo si china! Non ha più distanze da colmare. Terra a terra, insomma. Va detto anche solo per dovere di cronaca, ma ogni fascismo, ogni populismo si forma in quest’acqua. Ogni fascismo, ogni populismo non pensa al la per trovare la fonte del governo del qui; non decide più il qui pensando al la. Decide in virtù di cosa è successo quili, dietro l’angolo, nel vicolo, nell’immediatezza del corpo a corpo della vita. Senza uno specchio. Senza alcun supporto evidentemente. E a partire da li che nasce il riduzionismo della complessità che apre la porta al decisionismo dei forti uomini.

Ma l’uomo è uomo se è capace di tenere insieme il qui con il la a cui tendere comunque in ogni caso. Forse la più efficace rappresentazione di questo gioco che fa dell’uomo un uomo è stata rappresentata da Kubrick quando lo scimmione nell’atto di mettersi in piedi, si stacca da terra, libera le mani e liberando il loro contatto dalla terra crea il la nell’indicarlo, tracciando così la via.

Ma oggi! Oggi dobbiamo fare presto, ma non perché va bene fare presto sic et simpliciter, ma perché in questo momento non sappiamo fare altro, forse potremmo fare altro, ma in questo momento non lo sappiamo.

E allora forse dobbiamo imparare! Una democrazia compiuta sa indicare il proprio la anche se nel qui è accaduto qualcosa che non aveva previsto nel proprio cammino verso! Non è retorica di maniera di paladini che si ergono a difesa di principi, stando dietro la prima linea. No! non è questo. Essere preparati a gestire l’emergenza significa tenere il la ancorato al qui comunque. E non solo per la difesa di principi che entrano in competizione con le necessità del qui e ora, non è questo o meglio non è solo questo.

Ciò a cui assistiamo, sia pure in tutta la sua drammaticità, è un’occasione perché nella drammaticità del momento alcune cose si rendono più evidenti. L’acqua si rimescola e alcune cose vengono a galla. Oggi, oggi è l’occasione per provare a riflettere tenendo insieme due distinti piani di attenzione. Il primo riassumibile così: come può una democrazia fronteggiare una crisi senza entrare in crisi essa stessa? Come se la democrazia sia tale solo a determinate condizioni e in un certo tempo. Può funzionare solo in condizioni normali. L’altro piano molto meno frequentato del primo, lo si può sorprendere a partire da un’analisi dei contenuti dispositivi normativi messi in campo per la gestione dell’emergenza. Non sotto il profilo tecnico “puoi – non puoi”, ma attraverso la sorpresa di ciò che sta dietro; ciò che spinge quel profilo. E’ sempre interessante, anche se piuttosto difficile, sorprendere qual è l’idea di “uomo” che sta dietro e che spinge quei dispositivi. C’è, anche in questo caso, una “fontana” pensata prima che il dispositivo normativo si concepisca in atto. Forse è la stessa fontana che si da in condizioni normali, ma forse in questa circostanza potrebbe essere meglio vista. E’ qui si colloca l’altro piano di attenzione: confrontarci sul ciò che ci riguarda sorprendendo l’idea di uomo che spinge il ciò che si fa per noi. Forse questa è la precondizione, l’a-priori, di una cittadino e di una cittadinanza compiuta che si pone in atto, per poter contribuire effettualmente ad una compiuta democrazia. Una democrazia compiuta è una democrazia che non freme nell’emergenza e un luogo dove il cittadino può rispecchiarsi ri-conoscendosi continuamente nei dispositivi che lo riguardano. Forse in questa situazione drammatica potremmo e forse dovremmo anche, fare come facevano gli antichi greci: mettere la realtà in una epochè e quindi non assumendola come immediatamente data, ma come qualcosa che si dà a partire da certe premesse che la istituiscono. E l’epochè è l’inizio, la precondizione per avviarne la conoscenza profonda che spinge ciò che vediamo e non attestarci alla mera, e forse non è neanche così, descrizione di ciò che si vede. Per non essere tutti giornalisti insomma, bensì per l’esser-ci di compiuti cittadini!

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