Da Italioti a padanioti

16 Aprile 2010

Pietro_Longhi_028

Mario Cubeddu

Con proiettili sparati a bruciapelo Nino Cherchi ha piantato i chiodi sulla bara della balentia barbaricina. Una scena da “pulp fiction”, in antri senza luce affittati in nero a centinaia di euro, due giovani padri di famiglia uccisi e una ragazza scampata per miracolo. Erano in ritardo sull’affitto. Adesso ti faccio vedere io come si comporta un vero uomo. Così imparano a comportarsi, così sapranno una volta per tutte che con noi non si scherza, non lo possono fare. Il leghismo in salsa balente. Così finisce un’altra pagina della vicenda sarda. E sparisce un altro tassello della “specialità” sarda in quel vicolo di Siliqua in cui tre ragazzotti massacrano e bruciano alle tre di notte una emigrata a Milano che era tornata nella casa in Sardegna per sfuggire alla violenza delle periferie padane. Alfonso Stiglitz ha passato in rassegna in modo brillante le immagini deformate del passato che ogni giorno si rinnovano e si diffondono nella nostra isola. La questione non è semplice, comunque la si voglia porre. Era stato un non abbastanza apprezzato studioso della vicenda sarda, l’americano John Day, a definire la Sardegna un fondamentale “laboratorio di storia coloniale”. Se colonia la Sardegna è stata, la questione di chi sono i Sardi e chi sono gli altri e di quali siano stati i rapporti tra i popoli che entravano in contatto è essenziale. Alle origini del Risorgimento Alessandro Manzoni si pone il problema del rapporto tra invasori Longobardi e Latini, per arrivare alla conclusione che tra i due popoli non vi fu incontro e fusione, ma che uno si impose all’altro per dominarlo. I Franchi subentrano ai Longobardi e la dinamica dell’oppressione e della sottomissione continuerà sinché non si assumerà coscienza di sé e dei propri diritti. Non importa qui sapere che Manzoni non aveva del tutto ragione, importa che egli si sia posto questa domanda e la risposta che si è dato. Il percorso di un popolo che voglia conquistare una sua libertà, senza la quale non vi può essere prosperità economica e progresso sociale, è obbligato. E’ questione di coscienza e volontà, prima ancora che di strumenti di organizzazione e di lotta. Oggi appare scontato che il metodo non violento sia più produttivo della lotta armata. Lo dimostra la capacità di gruppi organizzati, che abbiano la forza di fare pressione continua attraverso manifestazioni e la conquista di spazi sui mezzi di comunicazione di massa, di rovesciare i governi e di sostituire i Presidenti. Per i Sardi di oggi la questione da ormai quasi tre secoli è quella del rapporto con l‘Italia. E qui vi è un’ambiguità di fondo. Riguarda il quanto siamo italiani. Vi è chi dice: ma noi siamo Sardi, orgogliosi di essere tali. Ma poi è tifoso dell’Inter e si è già comprato il televisore nuovo per tifare Italia ai mondiali. C’è quello, l’”italiota” lo avrebbe chiamato Franziscu Masala, che coltiva ancora oggi in culto della nazione italiana in cui ai Sardi è riservato il ruolo di primi costruttori della Nazione e di valorosi combattenti, pronti a morire per la difesa di lontane frontiere. E poi ci sono quelli che rifuggono da ogni posizione impegnativa, guardinghi e timorosi di ogni scelta importante. Esemplare il caso di “Sa die de sa Sardigna” e dei suoi avversari. Da sinistra una campagna mai interrotta considera inaccettabile che si celebri il giorno in cui Cagliari e la Sardegna insorgono e, senza alcun spargimento di sangue, costringono ad imbarcarsi i piemontesi che dominavano l’isola da più di 70 anni. Questa scelta viene giudicata sbagliata e pericolosa, si evocano pericoli leghisti e yugoslavi. Ma perché non considerare i fatti in sé, non cercare di capire quello che è avvenuto, le motivazioni che spinsero un popolo sottomesso a scuotersi all’improvviso dal torpore e a compiere un gesto risoluto? Non si ha in genere una percezione sufficiente del fatto che la presenza piemontese nel Settecento fu soprattutto una presenza di soldati e di Dragoni, una sorta di occupazione militare. Se si pensa poi a come agirono i sovrani piemontesi nei confronti di chi osava ribellarsi, quando ripresero saldamente il potere dopo il 1799, i rivoluzionari del 1794 trovano a posteriori piena giustificazione per le loro scelte. Se si onorano i carbonari del 1821 non si capisce perché l’avvocato Salvatore Cadeddu e i suoi amici di Palabanda non vengano inclusi tra i martiri della libertà dell’età della Restaurazione e non abbiano un loro monumento. “Appiccati per la gola pubblicamente” in piazza, la testa staccata infilata sul patibolo dove resta per settimane a monito, il corpo bruciato e le ceneri sparse al vento, i beni confiscati, i sospetti torturati: questo è il monito im partito dai Savoia ai sardi che osino ribellarsi, rimasto profondamente impresso nell’inconscio e tradotto in rassegnazione servile. I rapporti tra i popoli non sono quindi solo felice incontro che prelude a una mescolanza idillica. Succede anche che uno approfitti dell’arretratezza tecnologica, organizzativa e militare, dell’altro per sottrargli risorse di cui non capisce il valore e che non è in grado di sfruttare. Succede che gruppi di popolazione immigrata provenienti dalla “madrepatria” cacciano dalle loro terre gli abitanti originari con forme diverse di persuasione, da quelle violente alla lenta esasperazione. Cosa è avvenuto, cosa avviene in Sardegna? Non tutto è come vorremmo che fosse. La Gallura è oggi un luogo emblematico che indica quello che la Sardegna potrebbe essere tra qualche decennio. Attorno alla reggia del satrapo a Villa Certosa si insediano affaristi, speculatori, mafiosi. Allo stesso tempo migliaia di sardi vi trovano occupazione e prospettive di vita migliore. Molti sardi sono convinti che si tratti della faccia attuale del modello coloniale, una sorta di Malindi in salsa smeraldesca. Qui si è formato il modello politico, sociale e antropologico giunto al potere con la Giunta Cappellacci. Di fronte a questi sviluppi non potrà non essere coinvolto il senso di sé e della propria storia, la coscienza che i sardi avranno maturato. Se non si trova una giusta risposta le praterie sono aperte alle scorrerie neocoloniali di una Lega Sarda. Con tanti sardi pronti a salire sul carro del vincitore. Insomma, da italioti a padanioti?

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