Una risposta a Fernando Codonesu. La decadenza della Todde è un caso giudiziario o politico?
18 Luglio 2025
[Gianni Loy]
La premessa, apodittica, che introduce l’articolo di Fernando Codonesu, sul pasticciaccio di via Roma, merita un’attenta riflessione, per meglio comprendere il delicato intreccio tra i poteri che garantiscono la nostra democrazia.
Poteri e contropoteri che, a volte, assumono le sembianze di “lacci e lacciuoli”, e vengono quindi presentati come fastidiosi ostacoli alla vita quotidiana. Si tratta, invece, di anticorpi che, non di rado, seppur all’apparenza fastidiosi, sono dei presidi a tutela proprio della nostra democrazia costituzionale. La premessa di Fernando, contiene un errore, forse solo metodologico, ma sul quale occorre fare chiarezza.
La formula, infatti, induce nel lettore l’errata convinzione che l’appartenenza al genere “giuridico” o “politico” di un caso, risieda nella caratteristica ontologica del caso stesso; il secondo luogo, lascia intendere che , dal punto di vista metodologico, occorra prima stabilire se il caso sia di competenza giudiziaria oppure di competenza politica e, a seconda del risultato raggiunto da questo primo screening, affrontare il caso con ricorso a strumenti giuridici o extragiuridici.
Ed invece non sussiste alcuna alternativa tra le due competenze, il caso può essere giudiziario, perché sulla base della nostra Costituzione, chiunque può ricorrere al potere giudiziario, e nessuno può impedirlo; allo tesso tempo essere anche caso “politico”, in quanto una decisione politica, potrebbe vanificare lo strumento giudiziario.
Quindi, per tornare al caso concreto: esso è un caso giudiziario, perché suscettibile di giudizio da parte della magistratura, e perché già aperti uno o più procedenti giudiziari finalizzati ad appurare se – ed eventualmente come – una norma debba essere applicata o interpretata. Questo è nell’ordine della cose, Non può quindi escludersi in nessun modo la sua essenza di caso giudiziario.
Allo stesso tempo, tuttavia, si tratta sicuramente anche di un caso di un caso politico, non foss’altro perché suscettibile di essere risolto anche sul piano politico. Potrebbe dirsi che esiste, oltre ad una naturale via d’uscita giudiziaria – che si conclude con una sentenza – anche una possibile via d’uscita di carattere politico: le dimissioni della presidente del Consiglio, ad esempio, come correttamente ipotizzato da Fernando, renderebbero inutile il procedimento giudiziario e prevarrebbero su di esso. Consentirebbero una soluzione astrattamente differente e alternativa rispetto a quella che potrebbe assumente la magistratura.
Immagino che Fernando, che di esperienza politica ne ha, e ne ha tanta, intendesse in realtà affermare che, a suo avviso, sarebbe stato, o sarebbe, preferibile affrontare il caso sul piano politico piuttosto che su quello giudiziario. Opinione in principio condivisibile.
Tuttavia, non qualunque decisione politica potrebbe prevalere su quella giudiziaria, ma solo quelle idonee a far venir meno l’interesse alla prosecuzione del contenzioso. Lo sarebbe, certamente, quella evocata da Fernando, cioè le dimissioni della presidente della giunta. Al di fuori di quelle che porterebbero alle decadenza dell’intero Consiglio, tuttavia, la “politica” non potrebbe impedire la prosecuzione della via giudiziaria.
Fernando ritiene che il fatto di non essere un giurista gli offra “paradossalmente un vantaggio nell’analizzare il caso Todde”. Su questo dissento. L’assenza di un riferimento giuridico non può mai costituire un vantaggio, perché nessuno, salvo, entro certi limiti, la via d‘uscita politica, potrà impedire la prosecuzione di un procedimento improntato a valutazioni di carattere esclusivamente giuridico.
E poi lo stesso Fernando, fonda gran parte del suo ragionamento sulla base di una valutazione squisitamente giuridica.
Afferma che “quando si intraprende la strada giudiziaria, soprattutto per il rispetto del proprio ruolo, bisognerebbe rispettarne anche le varie determinazioni, intendo dire le sentenze che vengono pronunciate fermandosi finché si è in tempo: questo procedere ad oltranza ogni costo pur di guadagnare tempo senza un’assunzione di responsabilità politica non giova né alla presidente né a chi l’ha sostenuta”. In tal modolascia intendere che ritiene la pronuncia del Collegio di garanzia elettorale corretta e inoppugnabile, cioè fondata sulla corretta applicazione del diritto, tanto che giudica ogni ricorso finalizzato soltanto a guadagnar tempo.
Mi son ripromesso di intervenire esclusivamente su quella premessa. Tuttavia, perché tutto meglio si comprenda, non posso esimermi dal manifestare più di un dubbio sull’applicabilità della legge 515 del 1993 al caso concreto. Perché leggo nella Costituzione che la sovranità, e quindi il governo della Comunità, appartiene al popolo, che la esercita nelle forme, e nei limiti, indicati dalla Costituzione.
Il popolo ha scelto liberamente, non lo si può mettere in dubbio, di affidarne l’esercizio ad una precisa maggioranza politica; mi pare irragionevole e sproporzionato che la decisione popolare possa essere sovvertita dalla decisione di un organismo che punisce l’inadempienza di una candidata mortificando una volontà popolare esercitata nel solco della Costituzione.
Certo che la Costituzione precisa che la sovranità popolare viene esercitata nelle forme nei limiti della Costituzione, ma quale sarebbe, il “turbamento” del principio democratico della sovranità popolare tanto grave da produrre la decadenza di una rappresentanza elettorale democraticamente eletta? E come ignorare che, al tempo dell’emanazione della norma, la sanzione massima per queste irregolarità, riguardava esclusivamente la decadenza del consigliere eletto e la sua sostituzione con il primo dei non eletti della medesima lista?
Immagino che il legislatore dell’epoca, se fosse stata allora vigente l’attuale legge elettorale, non avrebbe previsto una norma così sproporzionata su una materia di rilevanza costituzionale e/o che sarebbe stato possibile eccepire la rilevanza costituzionale della stessa.
In definitiva, ho delle perplessità, sul piano costituzionale, e credo che una pronuncia della Corte costituzionale su di una materia così delicata, contribuirebbe alla crescita del nostro livello di democrazia.