Identità

28 Settembre 2025

[Graziano Pintori]

L’indagine promossa dalla Fondazione Banco di Sardegna sullo stato delle cose nell’isola 2025, ha stimolato grazie alla penna di Luciano Piras, diversi interventi sulla questione dell’identità dei sardi.

La mia impressione nei confronti dell’identità esibita da tanti sardi è di essere evanescente, tanto più quando parlando di quest’argomento, colgo che “ribadire un’appartenenza si ha la sensazione di non appartenere a niente” (Marcello Fois).

Infatti, chi la sardità la ostenta con berrittas, cambales, velluto appare, come scrive Luciano Piras, “una cartolina ingiallita morta e sepolta”. Con questa premessa voglio ricordare che da bambino ho conosciuto le lucciole (culiluches) che al buio delle notti estive si corteggiavano nella campagna circostante il mio vicinato. Ricordo il paesaggio sardo fatto di case, campagna, animali e persone sempre pronte al sorriso che ascoltavano e si esprimevano in limba, e nell’aria si percepivano i suoni della vita.

In questa cornice pasoliniana avvertivo fortemente il senso di appartenenza alla comunità, dove si cresceva con i codici linguistici e morali, oltre a un’istintiva forma resistenziale, o di antistato. “Un’infanzia che appare più simile a quella dell’età dei nuraghi che all’infanzia di oggi” scriveva Giulio Angioni. Sul finire degli anni sessanta questo mondo iniziò a subire fratture provocate dal “ferrocemento” edilizio che cominciò a invadere la campagna delle lucciole.

Ondate d’urto contro questa cornice arrivarono anche dalla piana di Ottana, in cui spazzarono via agricoltura, pecore, pastori, e ovili dell’intero circondario per fare spazio all’industria petrolchimica, la quale doveva assolvere un compito preciso: attuare il “Golpe di Ottana”. Ossia disporre la “testa di ariete” che spianò la strada alla “montatura politica del fenomeno banditesco non solo come pretesto allo sbarco, nell’isola, di ottomila caschi blu addestrati alla repressione di un’immaginaria guerriglia rurale, ma anche per giustificare l’operazione petrolchimica alla quale fu affidato il compito di sovvertire strutturalmente il retroterra sociale della Sardegna Centrale”(1).

Il primo Piano di Rinascita, adottato in quel decennio, foraggiò la petrolchimica in Sardegna e tanti politici asserviti allo stato nazionale, furono facilitatori della voragine in cui precipitarono centinaia di miliardi di finanziamenti pubblici a scapito dei settori tradizionali come pastorizia e agricoltura. Nella sostanza, con il fallimento dell’industrializzazione e il conseguente tradimento delle aspettative di benessere e prosperità, si evidenziò il radicale cambiamento in negativo della collettività barbaricina che perse “sacco e sale”. “La società del malessere” dovette fare i conti con i conseguenti sconvolgimenti sociali che causarono una falsa modernizzazione, il venir meno del tradizionale tessuto economico e sociale, e una disgregazione che ancora oggi persiste nel profondo della nostra sardità.

Oggi il senso della mutilazione identitaria è più marcato con la globalizzazione e l’omologazione, infatti, grazie ai social sono state abbattute le distanze tra popoli e continenti, e le nostre società sono standardizzate. Un sistema che ha favorito, fra le tante cose, la perdita delle identità locali facilitate da quel fenomeno chiamato“turistificazione”, vale a dire quel modello che divora cibo, videofoto, folclore, etnie plastificate e quant’altro necessario all’industria del turismo mordi e fuggi. Il massacro identitario subìto in tanti anni ha alimentato la superficialità dell’idea dell’essere sardo, idea che persiste nel sentirsi sempre “l’ombelico del mondo, fieri resistenziali che vivono nella terra più bella del mondo”.

Un modo per renderci complici attivi, anche inconsapevoli, dell’ineluttabile tramonto della nostra sardità, salvo che non ci si rimbocchi le maniche per difendere con serietà, determinazione e fino all’ultimo la sopravivenza della nostra lingua, oggi unico e vero baluardo della nostra identità di sardi. “Sa limba”, perché in essa sono depositati gesti, posture, cultura, appartenenza, radici, storia; parliamo di qualcosa che è sempre viva e inclusiva.

Quanto finora detto è rivolto genericamente a tutti noi sardi, ma in particolare alla classe politica che abbiamo eletto in nostra rappresentanza in tanti anni di storia, i quali non hanno assolto alla concreta attuazione dell’Autonomia, hanno sorvolato sullo Statuto Sardo e sull’articolo sei della Costituzione.

Il Golpe di Ottana di Giovanni Columbu – Nov. 1975 Firenze (1)

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