Le primarie a Cagliari

1 Febbraio 2011

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Marco Ligas

Risultato sorprendente alle primarie di Cagliari promosse dal centro sinistra. Antonello Cabras, il candidato del Partito Democratico dato per favorito, è stato clamorosamente sconfitto dal rappresentante di Sinistra ecologia e libertà Massimo Zedda. Pochi si aspettavano questo risultato; è il segno che il PD, pur con i suoi dirigenti più rappresentativi, non riesce ad essere vincente se si ostina a prendere decisioni senza coinvolgere il suo stesso elettorato.
Il successo di Massimo Zedda si spiega anche così: con la richiesta di cambiare pagina, di promuovere una politica che rompa con le pratiche clientelari vissute all’interno di gruppi dirigenti  lontani dai bisogni dei cittadini.
Anche il numero limitatissimo di votanti in queste primarie dimostra la sfiducia ormai diffusa fra gli elettori cagliaritani: sono stati poco più di 5000 coloro che hanno partecipato e Massimo Zedda ha raccolto poco più del 3% dei votanti iscritti alle liste elettorali.
Certo che sono state un po’ strane queste elezioni: ciascun partito ha presentato un proprio candidato, tutti, ad eccezione del più giovane Filippo Petrucci, espressione dei relativi gruppi dirigenti. E non è un caso che molti elettori del centro sinistra si siano chiesti se sia davvero questo il criterio più aperto per programmare le primarie, o se non sia più opportuno partire dalla ricerca e dal coinvolgimento di candidati più rappresentativi della società, a partire dal mondo del lavoro troppo spesso lasciato ai margini.
La vittoria di Massimo Zedda rappresenta comunque un’occasione per cambiare, per avviare un processo che veda i cagliaritani protagonisti di una nuova politica per la città. Per questo sarà importante vedere se tutte le formazioni del centro sinistra, a partire dal  nuovo candidato sindaco, riusciranno a recuperare un rapporto propositivo e di collaborazione con i propri sostenitori, soprattutto con quell’area vasta di elettori che nel corso degli ultimi anni ha preso le distanze, anche disertando le urne, dalla politica vissuta come pratica finalizzata al mantenimento di posizioni di privilegio e lontana dagli interessi dei cittadini.
Il recupero di questi rapporti sarà indispensabile per vincere le elezioni, anche perché Cagliari, come viene sottolineato ripetutamente, non si presenta come una città facilmente disponibile al cambiamento, protesa com’è nella difesa di interessi speculativi che la sua classe dirigente conduce a volte in modo sornione, sia sostenendo le attività edilizie dei vari imprenditori, sia avvalendosi di reti clientelari fondate su pratiche assistenziali destinate a perpetuare la dipendenza di strati sociali bisognosi che al momento opportuno ricambiano col voto.
Importante in questo rapporto è stato sempre il supporto dei settori più retrivi della Chiesa. Gli elettori non dimenticano l’immagine ricorrente, nel corso delle ultime elezioni regionali, di Berlusconi affiancato al responsabile della chiesa sarda, l’Arcivescovo Mani, e al candidato governatore Cappellacci, immagine che sanciva la continuità di un’alleanza antica e certo non disinteressata.
Ma gli attuali amministratori della città, se sollecitati da imprenditori intraprendenti dediti alle attività edilizie, sanno mettere da parte il loro atteggiamento apparentemente neutrale per condividere sino in fondo le speculazioni più dissennate a danno del paesaggio, dell’ambiente e del territorio. Gli esempi più clamorosi degli ultimi anni riguardano Tuvixeddu, l’Anfiteatro, il Poetto dove gli interventi pubblici o privati anziché promuovere il risanamento hanno provocato ulteriori danni; tutto ciò mentre il centro storico della città subiva un degrado che oggi rischia di essere irreversibile e mentre il bisogno di alloggi a prezzi non proibitivi è in continua crescita.
Ecco, competere col centro destra per sconfiggerlo e amministrare Cagliari segnando un’inversione di tendenza significa dare risposte convincenti e alternative sull’organizzazione della città e la tutela dei beni comuni. Ma soprattutto sarà necessario offrire ai cittadini condizioni di vita dignitose e porre in primo piano il problema del lavoro. Questo tema è rimasto inspiegabilmente assente, o comunque sottovalutato, nel corso della campagna elettorale per le primarie. Nessuno dei candidati lo ha affrontato con determinazione, come se non rappresentasse un diritto e un bisogno che tutte le istituzioni, a tutti i livelli, dovrebbero affrontare predisponendo progetti e individuando modalità di realizzazione.
Si è avuta invece l’impressione che il lavoro, anche nella concezione del centro sinistra, dipenda solo dalla magnanimità degli imprenditori i quali ovviamente lo vorrebbero senza garantire i diritti e da riservare a dipendenti subalterni. Come se, in nome del libero mercato che non esiste da nessuna parte,  le istituzioni avessero un ruolo di neutralità. Eppure, di recente, proprio dalla Fiom sarda ci sono state sollecitazioni perché la politica (così si esprimono i sindacati quando invitano i partiti ad impegni precisi) sia più tempestiva nell’affrontare gli ostacoli che impediscono o ritardano uno sviluppo compatibile con la tutela dell’ambiente e dei beni comuni.
La Sardegna, ha ricordato la Fiom, ha un mercato interno limitato. Per avviare i processi produttivi deve acquistare le materie prime dalla penisola e commercializzare il prodotto finito oltre Tirreno. La mancanza di norme che garantiscano la continuità territoriale aumenta i costi di produzione e scoraggia chi vuole promuovere nuove attività. Il porto, ecco un esempio concreto, se adeguatamente attrezzato, potrebbe favorire l’insediamento industriale modificando la sua funzione di  zona di transito e di smistamento delle merci (ricezione e distribuzione). Con la creazione di apposite infrastrutture sarebbero possibili la lavorazione e la trasformazione delle merci e il loro trasporto nei porti di destinazione. Tutto ciò non potrebbe non creare nuove opportunità lavorative. Perché non ipotizzarle e impegnarsi per realizzarle contrastando gli ostacoli di varia natura che tuttora esistono? Un’amministrazione comunale candidata a governare una città dovrebbe proporsi questi obiettivi.

2 Commenti a “Le primarie a Cagliari”

  1. Omar Onnis scrive:

    Inutile nascondersi che le elezioni municipali di Cagliari hanno un elevato significato politico. Forse maggiore rispetto alle recenti provinciali. Ecco perché certi nodi tendono a venire al pettine. Oltre a certi temi sensibili nel dibattito per le primarie e – temo – nell’imminente campagna elettorale, mi pare che manchi del tutto una prospettiva sotto cui inquadrare le questioni sul tappeto e la coscienza dello scenario generale in cui questo passaggio politico si inserisce (compresi i fatti tunisini ed egiziani). È vero, per esempio, che il mercato interno sardo è limitato, ma a) non è infimo e b) è pressoché ignorato. Circa l’80% del cibo e delle bevande che quotidianamente si consumano in Sardegna viene da fuori, in un circuito commerciale che certo favorisce il grande capitale, ma è esiziale per il tessuto produttivo dell’intero settore primario sardo e tende ad essere devastante dal punto di vista sociale e culturale. Altra faccenda spinosa: le infrastrutture. Sappiamo tutti che gli indici infrastrutturali della Sardegna, rispetto a quelli italiani, sono penosamente bassi. Riguardo porti e ferrovie oserei dire offensivi. Eppure ci si aspetta che la sede privilegiata per la risoluzione di queste tare strutturali sia lo stato italiano. Apriamo gli occhi: è semplicemente e inevitabilmente impossibile. I piagnistei sulla continuità territoriale sono l’ennesima doleance destinata a orecchie sorde. Occorre avviare una assunzione di responsabilità collettiva.

  2. Marcello Madau scrive:

    Marco, mi inserisco nelle tue ottime considerazioni, a distanza di pochi giorni, fra trionfalismi (da parte in particolare di SeL) e realismo (almeno è saltato Cabras), indicando due pregiudizi insidiosi: le primarie metodo democratico di scelta dei candidati e luogo rappresentativo per la sinistra. Esse, poi così pasticcione, sono una semplificazione (molto americana) della rappresentanza che, anche a Cagliari, portano a un ‘rappresentante’ senza veri processi di approfondimento e confronto ‘tema per tema’ che lo rendano scelta di un qualche senso. Ai tempi dell’Ulivo gli eredi PCI erano formazione, per quanto moderata, di sinistra, l’alleanza con la sinistra leggibile, e talora si discuteva. Oggi il termine sinistra, per forma e sostanza, è nel PD controverso… La sua crisi segna l’impossibilità di essere riferimento convincente per un’alleanza diretta.
    Sullo stato della società e su una città devastata, i ‘programmi’ sono desolatamente superficiali. Nella manovra di una parte di ‘SeL’ vicina a Soru, e dei suoi nostalgici, lo scherzetto a Cabras può anche non dispiacere, ma è ancora solo ‘vecchia politica’, che comprende in maniera bipartisan ogni dato anagrafico, senza una rappresentanza di classe e democratica connessa alla cittadinanza. Non trovo elementi per sentirmi ottimista nè rappresentato a sinistra. Ma se non riusciremo ad esprimere un candidato, cerchiamo almeno di suscitare, nelle articolazioni sociali, i temi reali per influenzare i futuri competitori.

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