Bai Bai Via Roma

1 Settembre 2011

Alfonso Stiglitz

Il primo agosto del 1931 fu inviata a tutti i Podestà d’Italia una circolare con l’ordine di Benito Mussolini di dotare il proprio Comune di una “via Roma”, nel decimo anniversario della Marcia su quella città. Scelta politicamente indirizzata a esaltare il colpo di stato con il quale il fascismo prese il potere e alla quale nell’immediato dopoguerra solo alcuni Comuni reagirono cambiando nome alle vie, con una scelta antifascista che voleva segnare lo spartiacque nei confronti di un regime dittatoriale.
Messa così, la proposta del Psd’az avrebbe avuto un senso nella Cagliari liberata al prezzo di pesanti bombardamenti. Avrebbe avuto anche un senso se posta, oggi, come contraltare della reiterata volontà del governo berlusconiano di abolire il 25 aprile o di equipararlo al ricordo dei caduti repubblichini.
Ma evidentemente sono passi difficili per un partito che siede nel centrodestra, anche se un po’ con la puzza al naso, e che di quando in quando trova il tempo di fare coalizione elettorale con la Lega, noto partito xenofobo e razzista. La proposta è volta, invece, a “rompere le catene psicologiche del colonialismo e per ridare protagonismo europeo a questo Popolo”. Parole sagge, ma curiose in un gruppo politico che siede nella maggioranza regionale, la più subalterna che ci sia stata in 60 anni di autonomia e che rischia di perdere buona parte dei fondi europei per incapacità politica di gestione della cosa pubblica, ancorché sarda.
Si vuole ridare centralità alla città di Cagliari con il cambio del nome di una via, nei giorni in cui apprendiamo che nei cassetti della Regione sono rimaste ferme le carte con la proposta di inserimento di Tuvixeddu tra i beni dell’umanità dell’Unesco; Tuvixeddu-Tuvumannu collina fondante l’identità di questa città, scrigno di un’ininterrotta presenza di uomini e donne cagliaritane dal neolitico ai giorni nostri. Dove sono i consiglieri regionali sardisti? Impegnati a regalare altre bandiere rossomore?
Via Roma è certamente la porta di Cagliari, per chi arriva, per chi parte e per chi vuole semplicemente guardare il mare e trovare il senso di tanti tragitti dai quali è nata la città. E’ la porta anche di chi vuole discutere, di chi vuole dialogare e, talvolta, stanare i governanti chiusi nei palazzi della politica.
E’ il luogo dove sta il brutto palazzo regionale ma anche il luogo del progetto mai portato a termine, anzi sfregiato dai parcheggi, di Antine Nivola, ormai ridotto ad alcune (splendide) statue che si guardano malinconiche. Il nostro artista voleva una piazza che assumesse in sé “il porto, il traffico, gli amministratori, gli amministrati protestatari, il popolo”. Oggi in quella piazza abortita, al massimo, gli amministrati protestatari, il popolo, possono prendersi le manganellate a difesa dell’Amministrazione regionale di cui fanno parte i sardisti. Riprendere quel progetto, completarlo, abolendo magari un po’ di oscenità architettoniche, questo mi sarei aspettato da una mozione “sardista”, votata cioè a restituire quel luogo, quella via al popolo sardo, agli amministrati protestatari.
Il nome è ormai una parte della storia di quel pezzo di città, che oblia il passato fascista e sottolinea il legame sempre molto conflittuale, ma anche in certi versi vivificante (pensiamo alla lingua sarda), con una delle grandi capitali europee. In fin dei conti da quella darsena, da almeno due millenni, si va e si viene da Roma, per vivere, per commerciare, perché deportati o migrantie o, per dirla con Gramsci, per affrontare il mondo grande e terribile.
La piazza di Nivola sarebbe un bello sberleffo al diktat mussoliniano e ridarebbe una dignità non solo a una via e al suo nome, ma anche al brutto palazzaccio nel quale le sorti del popolo sardo sono affidate a rappresentanti non sempre memori della nostra cultura.
In una città che non ha una via dedicata al 4 settembre 1904, il giorno dell’eccidio di Buggerru che portò al primo sciopero generale, data che dovrebbe essere centrale anche per un sardismo un po’ smemorato, né una dedicata a Nivola, in una terra, la Sardegna, nella quale i morsi della crisi sono molto forti, anche i simboli sono importanti, certo, ma bisogna sceglierli adeguati al momento.
Per fare un esempio a proposito di “simboli”, che dire dell’abolizione dei Consigli comunali ventilata in una delle varie versioni della manovra governativa, sostituiti dal mantenimento del solo Sindaco, pudicamente definito borgomastro? Proporrei un cambio di nome all’inverso, l’abolizione dei Consigli era già avvenuto sotto il fascismo, quindi, più opportunamente, bisognerebbe proporre il cambio del nome Sindaco/Borgomastro riportandolo a quello originario di Podestà. Simbolo per simbolo almeno rende chiaro il percorso politico di una maggioranza ad alto tasso di (post)fascismo.
Era il primo agosto del 1931 Bai bai “Via Roma”…

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