Centrale eolica off shore al largo della Sardegna, non è tutto oro quel che luccica

2 Settembre 2020

[Stefano Deliperi]

In queste settimane si è vivacizzato il dibattito sul progetto di centrale eolica off shore al largo dalla costa sud occidentale della Sardegna.

Sostegno all’iniziativa, pieno e acritico, è stato espresso, come di consueto, da Greenpeace e Legambiente e, stavolta, anche dal WWF.

Tutto legittimo, anche se rimangono sospese parecchie domande sulla reale utilità per la collettività (non per l’azienda proponente) di un progetto energetico comunque impattante sull’ambiente e le varie componenti ambientali (fra le tante cose, lì passa la rotta migratoria del Tonno rosso, finora bellamente ignorata dal progetto), non sostitutivo delle fonti energetiche fossili ora utilizzate (non esiste alcun obbligo giuridico in tema) e non utile al comparto regionale, che già esporta quasi la metà dell’energia elettrica prodotta.

Tutte domande alle quali dovrebbero seriamente rispondere le cugine associazioni ambientaliste favorevoli prima di lanciarsi in lodi sperticate verso il progetto.

Vediamo perché non è tutto oro quel che luccica.

Come noto, la Ichnusa Wind Power s.r.l., società energetica milanese decisamente minimalista e parca di informazioni (ma non di relazioni), ha presentato un progetto per la realizzazione di una centrale eolica off shore, con 42 “torri eoliche” altre 265 metri, su una superficie marina di 49 mila metri quadri, a circa 35 chilometri (circa 19 miglia marine) dalla costa dell’Isola di San Pietro e del Sulcis (Sardegna sud-occidentale).

La potenza prevista è di 12 MW ciascuna per complessivi 504 MW, mentre “l’impianto eolico sarà formato da due sottoparchi costituiti da 21 turbine ciascuno. La distanza geometrica minima tra le singole turbine è 1800 metri“.  Le “torri” eoliche saranno galleggianti, e “costituiscono un innovativo sviluppo tecnologico del settore eolico che permette di realizzare parchi eolici offshore su fondali profondi” (Floating Offshore Wind Farm – FOWF).

La durata prevista della centrale eolica sarebbe di 30 anni e il cavidotto di collegamento dovrebbe approdare sulla terraferma a Portoscuso.

Al momento il progetto è stato presentato al Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare per la fase di scoping (verifica preliminare), che precede la predisposizione dello studio di impatto ambientale finalizzato alla procedura di valutazione d’impatto ambientale (V.I.A.) (qui la documentazione presentata).

In parole povere, il progetto è ancora in alto mare, sebbene sia già da verificare con estrema attenzione.

Ma a chi servirebbe un così rilevante quantitativo di energia, oltre a chi lo produce (e ci guadagna)?

Attualmente (dati piano energetico ambientale regionale) in Sardegna abbiamo i seguenti dati relativi alle fonti di produzione energetica: 78% termoelettrica, 11% eolica, 5% bioenergie, 5% fotovoltaico, 1% idroelettrico.  Fonte termoelettrica: 42% carbone; 49% derivati dal petrolio; 9% biomasse.   

Tuttavia, oltre il 46% dell’energia prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato, quando possibile, vista la limitata capacità dei due sistemi di trasporto dell’energia (cavidotti SAPEI e SACOI) , complessivamente 1.400 MW. 

Il terzo collegamento – fra la Sicilia e la Sardegna – recentemente annunciato dal Governo nazionale e oggetto di un accordo fra Regione Siciliana, Terna s.p.a. e Cassa Depositi e Prestiti (settembre 2019) – non ha finora incontrato il favore della Regione autonoma della Sardegna, che punta sul metano.    

Quindi, allo stato, se tale energia sostituisse con un qualche meccanismo giuridicamente coattivo oggi non esistente le fonti fossili più inquinanti (petrolio e derivati, carbone) allora il progetto potrebbe avere utilità collettiva oppure non avrebbe alcun senso, sarebbe semplicemente dannoso al contesto socio-economico locale (pesca, turismo)..

In proposito, sarebbe opportuno puntare sullo sviluppo della ricerca e la realizzazione di sistemi di accumulo energetico.

L’Isola di San Pietro, il Sulcis, la Sardegna non hanno minimamente bisogno di diventare una “piattaforma di produzione energetica” per lucrosi interessi particolari privati.

Stefano Deliperi è il portavoce del Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

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