Chimica verde o risanamento ambientale?

1 Agosto 2014
chimica_verde
Paola Pilisio

Nel numero precedente Giacomo Oggiano ha commentato l’articolo di Paola Pilisio “Prioritario il risanamento ambientale”. Paola ha replicato con un lungo intervento superiore alle 1500 battute previste. Perciò non l’abbiamo pubblicato; abbiamo però proposto a Paola un nuovo articolo che puntualmente è arrivato e che pubblichiamo oggi. Eccolo (Red)

Il progetto Chimica Verde, é ormai assodato, che crea dibattito. Spesso i comitati vengono accusati, oltre di dire no a tutto, di essere anti-industrialisti, anti-operaisti, di lamentarsi del benzene a Porto Torres e non dei nitrati ad Arborea, di opporsi all’Eni ma non alla E.On e, in alcuni rari casi, di avere sporchi interessi che neanche le multinazionali. A questi signori vorremo dire che perdersi intorno a Fok, biomasse o monnezza é quasi inutile perché il punto é un altro, e cioé che in un S.I.N. non si dovrebbe bruciare niente, ma solo bonificare. E’ vero che il carbone di Fiume Santo fa male, ma noi di No Chimica Verde, non riusciamo materialmente (idealmente si) a opporci anche a quello, il cane a sei zampe ci da molto da fare. Se qualcuno é contrario come noi, che si opponga, noi lo sosterremo senza se e senza ma. Sulla questione della 3A non si deve portare preoccupazione, anche lì, qualcuno pronto a difendere quei luoghi, prima o poi, si troverà. Cosa c’é nelle falde di Arborea, non ci é dato saperlo, ma sappiamo cosa c’é in quelle di Porto Torres : benzene 139.000 volte oltre il limite consentito, cloruro di vinile monomero 542.000 volte oltre il limite consentito, dicloroeteano 28.000.000 di volte oltre il limite consentito, e questi non sono dati dei comitati del no, ma sono i risultati dei pieziometri della Sindyal. Ora la questione é molto semplice, i veleni producono cancri e i cancri fanno ammalare le persone. E anche questo é scientificamente dimostrato. E noi morfina non ne vogliamo più, non sacrificheremo più nessuno in nome di uno sviluppo che sviluppo non é. E poi ci sono dei fatti inconfutabili : é un fatto che Matrìca il suo impianto lo stia già costruendo su suoli e falde che avrebbe dovuto bonificare secondo  legge e  buon senso, prima di intraprendere qualunque chimica, verde o altro.

È un fatto che il progetto dell’Eni non é altro che una fabbrichetta di sacchetti e di cianfrusaglie di plastica che occuperebbe a termine non più di 200 persone. Altro che polo neobiochimico planetario che, a detta della Bastioli e dei vari ministri Poletti e Galletti, (qui noi non c’entriamo niente, si chiamano davvero cosi) gliela faranno vedere all’Europa e al mondo. Calmatevi che fate ridere.
È un fatto che con la scusa di questa fabbrichetta l’Eni continuerà a tenere i suoi ingombranti e avvelenanti piedi su ¼ della superficie totale del Comune di Porto Torres, 23 chilometri quadrati per essere esatti, 2300 ettari.
È un fatto che alla base della chimica verde ci dovrebbe essere, secondo le panzane dell’Eni, il cardo, ma il cardo, ormai é appurato dagli esperti e dal buon senso, non c’é e non ci sarà, a parte i tanto fotografati 15 ettari della zona industriale, purtroppo di ettari, all’appello, ne mancano centoventimila meno 15. Fate il calcolo e magari dopo scriveteci: quanti ettari  restano da trovare e piantare ?
È un fatto che l’Eni é stata rinviata a giudizio per disastro ambientale dai giudici del Tribunale di Sassari. Purtroppo é un fatto che il tutto sia caduto in prescrizione.
Ma resta sempre che altri dirigenti dell’Eni potrebbero essere, prima o poi, a loro volta, rinviati a giudizio per questo stesso reato e per inadempienza all’obbligo che impone la legge di procedere al disinquinamento dei suoli e delle falde nella zona industriale di Porto Torres.
È un fatto che nel SIN-Sassari Porto Torres, a causa degli inquinamenti succedutisi durante mezzo secolo e che continuano, la salute dei cittadini,  senza distinzione tra occupati e disoccupati, tra maschi e femmine, giovani, mediani e vecchi, sta spaventosamente peggiorando, mostrando indici anormali di propagazione di tumori mortali o gravemente invalidanti.
È un fatto che questa tragica realtà, di cui l’Eni é responsabile, non ha niente a che vedere con il «modello di sviluppo territoriale con radici in loco e con la testa nel mondo » di cui parlano i dirigenti di Eni, Novamont, Pd, Legambiente, Coldiretti e Chiesa.
E’ un fatto che, nonostante tutto, alcuni credano alla chimica verde. Beati. È un loro diritto costituzionale. La religione é fede. Certo é che l’agricoltura intensiva ad Arborea non giustifica il fatto che a Porto Torres o a Sarroch, per non parlare di Portoscuso, si possa fare quello che si vuole impunemente e contravvenendo alla legge. E’ vero, alcuni tipi di turismo possono rovinare le coste, del cemento poi non ne parliamo. E le pecore allora? Per ora, l’immagine che abbiamo ancora impressa, è di quelle annerite dalla centrale di Ottana. La questione operaia non ci fa paura, l’industria invece si, specialmente quel tipo di industria che maschera dietro il paternalismo benevolo e benefattore interessi che sicuramente non guardano ai luoghi e alle persone.

Classe operaia La storia del polo industriale di Porto Torres non è, in sequenza, solo la messa in orbita, la crisi e il fallimento di un ciclo produttivo legato al petrolio, con l’Eni che eredita la Sir con perdite e profitti sino al miserevole esito attuale, fatta di poco e nulla lavoro e di una quantità immane di veleni e d’inquinamento che si tratta di risanare. Questa storia, durata cinquanta anni, è anche una storia operaia, che non deve andare perduta. È una storia di lotte, oltre che produttiva. Migliaia e migliaia di operai, tecnici e impiegati si sono succeduti e attivati in questo sito. Miliardi di ore di lavoro si sono consumate nella polvere, nel sudore, al caldo e al freddo, nel buonumore e nella rabbia, sempre nella fatica e fra i miasmi.  Spesso nell’umiliazione e sovente nella malattia. E i licenziamenti a nastro. Ai lavoratori non è stato dato niente gratis e i veleni non li hanno nè voluti nè disseminati. Non devono niente nè alla Sir nè all’Eni. Resta il fatto che i veleni sono lì. Come rimangono i frutti dell’operosità operaia fuori della fabbrica: famiglie, case, abitudini, feste e lutti, insomma la vita. E una città intera a cui bisogna assicurare un futuro. Nella certezza della propria innocenza, antichi e nuovi operai – mano nella mano con generazioni che non sanno neanche come funziona la cassa integrazione – hanno il dovere di fargliela pagare all’Eni. È il solo modo di fare pace con un passato che non vuole passare. E ci vuole una certa grandezza e senso di responsabilità verso la propria comunità per farsi carico della parte oscura della propria storia, anche quando non ne siamo per niente responsabili.  È il prezzo per camminare leggeri e guardare con entusiasmo a quello che sta arrivando dal nuovo corso. Ma bisognerà svincolarsi dall’abbraccio mortifero dell’Eni.
Dei cassaintegrati dell’Alcoa, della Vinyls o della Carbosulcis ne capiamo la rabbia e la disperazione, stanno consumando le loro energie, affaticando le loro speranze nell’attesa  che queste industrie facciano il miracolo. Ma non lo faranno. Il lavoro, la ricchezza, non verranno da lì. Non è facile ammetterlo. C’è un passato di cui non c’è da vergognarsi ma non c’è un domani a cui aggrapparsi, da amare. Condividiamo la sofferenza, non il progetto. Abbiamo già dato, spinti dalla miseria e per non emigrare al di là del mare. Comunque la poesia è finita dove sappiamo, quando parroci e capi-cellula del  Partito, del quale si è perso anche il nome ma che allora era semplicemente il Partito, hanno mandato braccianti e contadini in fabbrica a fare classe operaia, a lottare duramente (e qualcuno a fare anche il crumiro, che era una grande piaga), a farsi avvelenare e licenziare, cominciando alla Sir e finendo con l’Eni. Finendo in tutti i sensi, che di operai ormai ce n’è meno dei sindacalisti chimici che li rappresentano. È una strampalata anomalia! al punto che ci sono più bandiere che mani per portarle. Non fa ridere. Fa male pure a dirlo, e ancora di più pena a vederlo. Tutta l’avventura é costata caruccio, solo nei primi 15 anni sino al 1975, 3500 miliardi di lire di sovvenzioni pubbliche. Senza contare le lire e poi gli euro che sono costate e continuano a costare le casse integrazioni varie, oltre ai costi di bonifica per impedire che i veleni continuino ad uccidere e per i quali ci battiamo affinchè vengano stanziati, perchè sono investimenti e non costi. Allo stesso tempo, non possiamo non chiederci cosa avrebbe prodotto questa montagna di soldi nell’agricoltura, nel turismo, nelle scuole e nelle università, negli ospedali, nel trasporto aereo-ferroviario-marittimo, nella pastorizia, nell’artigianato, in altre industrie o altre attività. Che doveva essere la c.d. Rinascita? Domanda un po’ vana, come chiedersi perché la vita è andata come è andata. Eppure dobbiamo chiedercelo, se non vogliamo condannarci a ripetere sempre gli stessi errori. Perché lo sappiamo tutti cosa hanno residuato queste migliaia di  miliardi buttati nella chimica: un’immane maceria industriale, sociale, umana che ci viene da piangere ogni volta che ci si pensa o ci si passa davanti. Ma molti hanno il cuore così indurito, stanco, cinico, disperato, miope o interessato che preferiscono tacere, che non bisogna dirlo, sennò gli operai (?) si offendono perché quella è la classe che produce la ricchezza. All’anima della produzione di ricchezza! E che se non piantiamo i cardi i sindacalisti chimici si arrabbiano uguale, vanno a lamentarsi nelle varie commissioni Lavoro, Ambiente e Industria, se ne stanno con l’Eni e la Rivoluzione non la fanno. Avvoglia la rivoluzione! Ma lasciamo perdere. Siamo alla resa dei conti. Quel modello industriale è finito, quel tipo di società è allo stremo, quest’arte di fare politica fa ridere. Bisognerà trovare altri modi di produrre beni, comunità e gioia! Partiamo da noi, non dall’Eni e dai suoi agenti. Nelle fabbriche, in campagna, in città. E pure al bar. Ovunque. Il tempo pressa. Tutti lo sappiamo. E chi non lo sa, o fa finta di non saperlo, peggio per lui. Ne faremo a meno, con dispiacere variabile. Ci sono in giro tante idee: è meraviglioso! Parliamone. Anche noi qualche idea l’abbiamo come moltissimi altri che non conosciamo. E di non conoscerli ci rassicura, e ci rende felici! Ecco perché vogliamo che l’Eni si levi fuori dai solchi. Più chiaro di così…

I comitati La moltitudine dei comitati in Sardegna é la cosa più interessante dal famigerato Piano di Rinascita in poi. Non sono comitati del no a tutto, come qualcuno li definisce, ma comitati del noi, che é differente, che non smettono di formulare proposte e alternative. Ci rendiamo conto quanto sia difficile crederlo per chi é ormai stanco e arreso, e non riesce a concepire semplicemente l’esistenza di interessi che vadano nel senso delle comunità e di chi le vive. Ma cosi é, e bisogna che prima o poi se ne prenda atto. La capacità di condurre una lotta, con tutto il cuore e l’intelligenza, la potenza anonima della passione, che altro non é che la gioia, questo sono i comitati. E la differenza comincia dal linguaggio, loro parlano di territori da difendere, noi di luoghi da salvare. Qualcuno la chiama « bio-politica », noi diciamo « fare comitato », in ogni caso non li lasceremo fare. Continueremo a lottare per il risanamento e la preservazione delle acque che subiscono l’assalto dei più diversi inquinanti, sicuramente quello dei nitrati agricoli, ma specialmente quello delle falde avvelenate della zona industriale di Porto Torres. La milionaria storia geologica ha accumulato nel ventre della Nurra un immenso lago sotterraneo, che bisognerà proteggere come i nostri occhi, per noi e per le generazioni future. Non potremo tenere a lungo la Nurra dentro il nostro cuore se non si lotta decisamente, cittadini delle campagne e delle città contro i progetti della Chimica Verde e per l’inizio, se non ora quando, delle bonifiche a Porto Torres e dintorni. La Nurra da tempi immemorabili è innervata da trattori, viottoli, strade e stradette che richiedono altri piedi e altri viandanti, altre circolazioni e altre iniziative. Insomma una nuova vita.

1 Commento a “Chimica verde o risanamento ambientale?”

  1. Giacomo Oggiano scrive:

    Cara red, fatico ad inquadrare questo articolo come replica al mio precedente commento, tranne per l’essere incluso tra quei “signori che si perdono in fok, monnezza ed altro” e – per fortuna aggiungo io- non si limitano a vedere solo un aspetto dell’inquinamento e un solo inquinatore, cioè l’ ENI. Fatico a non vedere problemi reali connessi a oggetti reali : composti chimici nocivi, da eliminare. E mi vien male non pensare a come eliminarli dalle matrici ambientali, anch’esse reali, e cercare di capire chi e come ce li ha messi (è un dettaglio?). Non riesco a considerarli oggetti astratti, utili per la costruzione di norme giuridiche che si traducono in opportunità per mettere le mani su soldi pubblici. SIN: tutto il comune di Porto Torres è un SIN (brillante idea della Cermelli): più ettari di SIN più contributi. Così, ora, per intraprendere qualsiasi attività occorre un piano di caratterizzazione e pagare dazio, oltre che alle mille burocrazie, alle corporazioni professionali. Personalmente non ho grande fiducia nella chimica verde. Il cardo, poi, è un tentativo di simbiosi tra ricevitori di contributi: quelli per chi brucia biomasse (fonte rinnovabile per gli amanti dei codici) e quelli per chi le pianta. Quanto alla classe operaia, purtroppo non c’è spazio per approfondire. I comitati, mah! Il bisogno di ideologia (oltre a qualche interesse materiale) che li sottende va e viene. Per l’inquinamento della falda, invece, occorrerà qualche milione di anni

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