Per un’altra Italia e un’altra Sardegna

1 Agosto 2014
Ettore-Gravante__tramonto-rosso_g
Giovanni Nuscis e Marco Deligia

Perché dare vita ad un soggetto politico nuovo quando ci sono già i partiti, e in buon numero, anche se finiscono poi come finiscono, dentro logiche di potere per ottenere potere: nelle istituzioni e ovunque si possa controllare e ottenere privilegi per sé e per altri? Potere significa anche condizionare e piegare il sistema mediatico ai propri interessi, occupare strategicamente buona parte del vasto territorio associativo fidelizzandolo con contributi pubblici (o di fondazioni bancarie amiche) o con altre forme di “attenzione” istituzionale. Così fanno da anni il centro sinistra e il centro destra, ben sapendo che per perpetuare il potere è necessario un ampio consenso che non si improvvisa, ma si costruisce poco a poco insinuandosi nel tessuto sociale come una metastasi. Non si spiegherebbe, se no, il successo elettorale di chi neanche si premura più di presentare programmi elettorali un minimo corrispondenti ai bisogni reali delle persone, sempre più povere, sempre più precarie, sempre più deprivate dei loro diritti.
L’Altra Europa con Tsipras – accettando il rischio dell’insuccesso e della congiura mediatica del silenzio (come poi è stato) – è nata dal grido disperato di milioni di persone cadute in un precipizio assai difficile da risalire, e dalla consapevolezza che l’origine della caduta non sta solo nei confini nazionali e nell’inettitudine, nel cinismo e nella gaglioffaggine di chi ci ha governato negli ultimi vent’anni. Stoppare le politiche europee del rigore attraverso la sospensione del debito, democratizzare le istituzioni europee, rinegoziare i trattati-capestro, far erogare prestiti a basso interesse agli Stati da parte della Banca centrale europea, attivare un new deal europeo per la creazione massiccia di nuovo lavoro, sono i punti programmatici più importanti che hanno caratterizzato la Lista alle ultime elezioni europee, decretandone il successo. Una lista di cittadinanza sostenuta dai partiti (Sel e PRC, in particolare) costruita – nel programma e per le candidature – con intelligenza e sguardo lungo ma non senza criticità e contraddizioni.
Uno sguardo lungo che non poteva fermarsi alle elezioni europee, ma proseguire per creare un soggetto politico nuovo della sinistra in Italia e nei territori, alternativo al centro sinistra e al Partito democratico. Non attraverso una fusione a freddo delle soggettività esistenti – tentativo già fallito – ma partendo proprio dal basso, dalle persone e dalla loro spinta ad aggregarsi intorno a quei problemi ritenuti da essi prioritari. Un’operazione indubbiamente difficile e lunga per la complessità e novità di un processo democratico nuovo, per diversità di sensibilità, di esperienze, di appartenenze; per la diffidenza di chi ha visto troppe volte sfruttare la buona fede e la generosità dei militanti per la carriera di pochi.
Anche in Sardegna si è contribuito, prima, per il buon esito della lista L’Altra Europa con Tsipras e, ora, per il radicamento della Lista quale soggettività politica nuova nazionale e locale. Dopo il 25 maggio, sono state organizzate diverse assemblee territoriali e regionali – in vista di quella nazionale di Roma del 18 e 19 luglio u.s.. Le assemblee sarde, hanno concordato:
sulla necessità di dare vita ad un soggetto politico nuovo anticapitalista, antiliberista, alternativo al centro sinistra e al Partito democratico (alcuni compagni, pur condividendo la posizione, si sono però dichiarati possibilisti su future alleanze col PD, da valutarsi caso per caso);
nel voler proseguire in Sardegna l’esperienza avviata qualunque sia il risultato dell’assemblea di Roma.
Hanno inoltre condiviso le seguenti priorità politiche:
Riguardo alle “cose da fare”, un punto centrale è l’elaborazione di proposte per creare nuovo LAVORO E OCCUPAZIONE, nel rispetto della vocazione dei territori (agricoltura e allevamento, turismo, valorizzazione del patrimonio culturale, artigianato etc.) e con orientamento verso uno sviluppo sostenibile rispettoso dell’ambiente e della salute delle persone. Tenendo conto delle emergenze riguardanti le bonifiche – la Sardegna è la regione più inquinata d’Italia – e il riassetto idrogeologico. Arginare la crisi occupazionale creando (con un new deal europeo, nazionale o regionale) posti di buon lavoro, non precario, non sfruttato, non insalubre è la prima delle emergenze, sulla quale i cittadini ci chiedono comprensibilmente di intervenire. Occorre però anche pensare a strumenti che, nel contesto di una ricostruzione del “welfare” e del sostegno al reddito, rispondano alla gravissima crisi economica e sociale. Come non mai è necessario un sistema di sicurezza che preveda strumenti come il reddito di cittadinanza o il reddito minimo garantito.
Non condivisa da tutti, ma da approfondire e chiarire, è la proposta di alcuni di non abbandonare la prospettiva industriale, trovando il modo di mantenere, impiantare o sviluppare attività industriali nell’Isola.
Fondamentale per lo sviluppo è l’intervento sui trasporti e l’energia, precondizioni in assenza delle quali l’economia isolana non potrà mai ripartire. Il diritto alla mobilità dei sardi è stato scandalosamente frustrato negli ultimi anni, sottraendo opportunità preziose di crescita personale prima che economica.
Altro punto condiviso è quello che riguarda l’“emergenza democratico-costituzionale”. Unanimi le preoccupazioni e le critiche nei confronti di un disegno di riforme elettorali e istituzionali, che attraverso il Governo Renzi e delle larghe intese – cosiddetto “Patto del Nazareno” tra lo stesso Renzi, segretario del Pd e presidente del Consiglio, e Silvio Berlusconi – rischia di distruggere i delicati meccanismi ordinamentali pensati dal Costituente per scongiurare il dominio e la prevaricazione di forze autoritarie ledendo i diritti e le libertà di cittadini, impedendone finanche la possibilità di una rappresentanza istituzionale (con una soglia di sbarramento proibitiva del 4,50%). Perciò si pone l’esigenza di fronteggiare immediatamente con una proposta alternativa l’attuale progetto di riforma che persegue fittiziamente una razionalizzazione dell’assetto dello Stato. Questioni istituzionali si pongono anche nella nostra Regione, come per l’attuale legge elettorale isolana, risultata lesiva e sbilanciata nei criteri di determinazione della rappresentanza democratica in Consiglio regionale, non rispondente alle effettive scelte nel voto dei cittadini/e sarde.
3. Altro punto condiviso è quello che riguarda la necessità di investire nell’istruzione pubblica, per sviluppare al massimo la capacità formativa in un contesto sociale ed economico sempre più complesso e in cambiamento.
4. Tutela dell’ambiente e dei beni comuni, in relazione non solo agli interventi di bonifica sui circa 400 mila ettari avvelenati, ma anche contro la speculazione energetica, i termovalorizzatori inquinanti, le scorie che intendono scaricare in Sardegna, le servitù militari che sottraggono suolo e inquinano.
5. Da alcuni compagni è stata inoltre prospettata la necessità di lavorare per unire il fronte anti liberista in Sardegna, compresi sovranisti e indipendentisti , ma anche Sel e PRC che finora hanno latitato.
L’assemblea, tra gli atti conclusivi, ha nominato i componenti del coordinamento regionale. Un organismo -è stato ribadito- che nasce per garantire in modo funzionale e “circolare” il rapporto tra i diversi livelli partecipativi, in particolare tra i coordinamenti territoriali, e col criterio dell’avvicendamento e del ricambio periodico nell’incarico. Va pensato un modello organizzativo aperto e democratico, con iniziative concrete e coinvolgenti di elaborazione e approfondimento dei diversi temi in campo.

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