Contorni. Identità (fine)

16 Marzo 2015
Salvatore Fiume, Città di statue, 1948, olio su tela
Giulio Angioni

Tu guarda quanto siamo stralunati
trasecolando nel millennio nuovo
per tutti questi arrivi da ogni parte.
Tutto il mondo è paese, si diceva,
e adesso tutto il mondo è al tuo paese.
Paese che vai, usanza che trovi,
ed ecco te le trovi tutte in casa.
Ad altri le vertigini, ma a me
questo induce la megalomania
di ricapitolare moti sterminati
dalla notte dei tempi alle albe del futuro
di questa nostra intera umanità
diversa sempre eppure sempre uguale
nel bene che sorprende quanto il male.

A passo d’uomo, in sella, in jet,
caravelle, barconi lampedusi,
Concordia da crociera ed altri azzardi
quello di noi umani
come ogni mondo di viventi
forse che non è un mondo di migranti,
vite che sono vite perché sempre
in cerca di contatti più coscienti?
L’ominazione,
gran parola per dire
tutto il farsi dell’uomo sulla terra
con anche tutto ciò che lo precede
dura da tempi di vertigine
che ciascuno rimemora incosciente
da quando schizza via spermatozoo
e giunge a fecondare l’ovocito,
nasce, gattona, va, ma non aspetta
che gli spuntino penne per volare
o pinne per andarsene per mare.

In tanto tempo e spazio,
dal primo farsi dell’umanità
riassunta poi nel farsi di ogni uomo,
finché non ci sarà più tempo
né luogo per nessuno in questa aiola,
i popoli, le molte e varie genti
sono anche risultati differenti
d’incontri fra diversi mondi umani,
finora con la spada, con l’ulivo,
le nozze liete, il ratto, lo stupro cruento.
E d’evento in evento tutto muta
per contatto, per logiche meticce,
per spaesate braccia di terroni,
dai grandi imperi ferrei del passato
al dominio altezzoso coloniale,
all’amalgama lesto mercuriale
del mondo nostro attuale.

La varia mescolanza
che segue spesso alla migranza
e la sincretica aderenza
sono norma di tempi sterminati
di modi dell’umana convivenza,
è sinergia di secoli
di un sangue misto umano.

Tornano sempre a casa scoraggiati
quelli che vanno in cerca di eccezioni,
conservazioni inalterate nella selva,
robinsonate in isole lontane,
un fanciullo selvaggio tutto intero
e magari persino,
aber echt, puro, genuino,
un gran bel Tarzan nero

Guarda piuttosto questo Mare Nostro
che come ieri ancora mischia genti
quanto le Americhe e le Indie,
prima e dopo Colombo, Magellano,
il Gran Mogul, lo zoppo Tamerlano:
la piccola masnada sulla forca,
il grande masnadiero imperatore.
E il lungo navigare dell’Europa
sul Nuovo Mondo americano
e nelle stive l’Africa in catene.

Guarda come oggigiorno tutto il mondo
si riproduce vario in ogni luogo
anche nel mio paese contadino
che non sa più che fichi d’India
patate e pomodori sono americani.

E in terra dei limoni levantini
tu guarda quanto i siciliani
vantano il loro lungo meticciato
sicano punico greco romano
bizantino arabo normanno
angioino albanese catalano
e così a non finire,
mentre in Sardegna scalda meglio i cuori
rifiutare l’impasto ed esaltare
una corazza dura resistente
contro i contatti esterni sopraggiunti,
duri, molti, costanti,
dacché le prime torme di africani
milioni d’anni fa, salvi dal mare
hanno raggiunto spiagge e campidani,
i supramonti, le giare, gli altipiani.

Tutto l’andirivieni degli umani
quanto mai prima dacché uomo è uomo
oggi richiede urgenza di attenzione,
se tutto questo ovunque adesso vale
in tempi stretti e modi inusitati
in un flusso globale
di uomini di tecniche di merci
e di sensi comuni telematici
in movimento rapido mondiale.

L’intensificazione fa problema
non la novità: scopri l’acqua calda
che però scotta e scotta tanto
che non puoi più lavartene le mani.
Poco elegante sarà dire
che il mondo è dei bastardi
islamici cinesi americani sardi,
ma i frutti puri
se mai ci sono stati, quelli,
i frutti puri e belli,
o che tali si credono, se insistono,
presto o tardi impazziscono.

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