Dal conflitto sociale a quello territoriale

1 Luglio 2010

labini

Stefano Sylos Labini

Nell’era della globalizzazione il tradizionale conflitto di classe tra capitale e lavoro (tra borghesia e proletariato nella terminologia marxista) ha iniziato a perdere di importanza mentre è diventato sempre più aspro il conflitto tra territori. La Grecia e la Germania, il Sud e il Nord Italia, il centro e la periferia di un sistema economico sono aree a diversa produttività ed hanno perciò un diverso livello di sviluppo. All’interno delle varie aree il capitale e il lavoro sotto alcuni aspetti si trovano sulla stessa barca: una barca che viaggia veloce nelle aree ricche e una barca che perde terreno nelle aree dove la presenza di grandi imprese a tecnologia avanzata è ridotta e dove le infrastrutture energetiche, di trasporto e di telecomunicazione sono più arretrate. Nelle aree periferiche il settore pubblico ha un peso molto maggiore proprio per supplire alla debolezza del settore privato, la bilancia commerciale è in deficit strutturale, le imprese hanno una redditività più bassa, i salari sono inferiori rispetto a quelli delle aree più avanzate, l’energia e il denaro costano di più. La sinistra ha perso il suo consenso e il suo peso politico anche perché è stata soppiantata dai movimenti nazionalisti e regionalisti in grado di rappresentare l’intera società presente sul territorio e di portare avanti il conflitto geografico. Tutto questo non significa che il conflitto sociale tra capitale e lavoro sia scomparso come ci dimostra ciò che sta accadendo a Pomigliano o a Termini Imerese, ma indica che il conflitto tra territori ha ridimensionato il carattere dell’internazionalismo della lotta di classe depotenziando il livello universale delle rivendicazioni sociali e mettendo quindi in discussione la possibilità di costruire nuovi partiti di massa capaci di battersi per l’emancipazione dei lavoratori. La debolezza della sinistra nel Nord Italia, in cui è localizzata la base industriale e produttiva del paese, sembra confermare questa interpretazione: alle elezioni regionali del 2010 le forze di sinistra hanno preso delle percentuali irrisorie, mentre la Lega Nord ha stravinto. Ciò dimostra che il disagio sociale dipende in larga misura dal grado di sviluppo del territorio e che una forza territoriale riesce a catturare anche il consenso delle fasce che tradizionalmente votavano a sinistra perché attraverso la difesa del territorio è in grado di garantire (o di promettere) maggiore protezione alle fasce più deboli. E nel momento in cui i divari tra i territori divengono più marcati, le forze regionaliste diventano ancora più forti. Che fare ora ? Come riportare le forze di sinistra, che difendono i diritti delle fasce più deboli, in sintonia e in comunicazione con le fasce sociali più svantaggiate in modo da rappresentarle politicamente ? In qualche modo la rappresentanza sociale deve essere anche rappresentanza territoriale, per questo oggi in Italia lo sviluppo del Mezzogiorno deve essere una priorità per le forze di sinistra. Dunque, per contrastare la forza della Lega e per ridurre il divario nord-sud occorre mettere in campo un grande progetto di sviluppo per il Mezzogiorno utilizzando tutti gli strumenti della politica industriale, in primis le grandi imprese ancora controllate dallo Stato, una fiscalità molto incentivante e la disponibilità di credito bancario a basso costo. In questo modo si possono creare delle condizioni più favorevoli anche per promuovere la creazione di nuove imprese, specialmente di quelle giovanili e ad alta tecnologia. Solo garantendo sviluppo e occupazione attraverso il potenziamento della base produttiva si potrà ridurre l’influenza economica del settore pubblico e il potere della criminalità organizzata in vaste aree delle regioni meridionali. Lo sviluppo del Mezzogiorno porterà vantaggi anche alle regioni del Nord perché potrà permettere di ridurre il peso del settore pubblico, i trasferimenti fiscali dal Nord al Sud e l’influenza economica della criminalità organizzata la quale tende ad investire i proventi delle attività illegali anche nelle imprese e nella finanza settentrionale. Dunque, lo sviluppo del Mezzogiorno è un passo indispensabile per contrastare la forza politica dei partiti regionalisti come la Lega e per riportare al centro dell’attenzione il conflitto sociale e la lotta verso una distribuzione del reddito più equa tra i lavoratori, gli imprenditori e il settore finanziario.

3 Commenti a “Dal conflitto sociale a quello territoriale”

  1. Enrico Artizzu scrive:

    Buongiorno,

    io non capisco cosa ci sia che non va nel fatto che la tenenza sia quella ad affrontare le scelte a livello regionale o territoriale.
    Tanto per iniziare un gestione centralizzata ha dimostrato di non essere in grado di portare ad uno stesso livello di sviluppo nord e sud d’Italia, quindi mi sembra una svolta naturale spostare l’agire politico sulla dimensione territoriale.
    Proprio in virtù delle attuali differenze nascono diverse esigenze dei territori. La sinistra del nord deve porsi scopi ben diversi da quella del sud.
    Lo sviluppo del Mezzogiorno deve essere una priorità per le forze di sinistra del Mezzogiorno! Non si prenderanno di certo i voti del nord puntando sul mezzogiorno, e tutti gli elettori della Lega non ci si staccheranno mai.
    Tutto sommato ritengo positiva l’idea del federalismo fiscale, perché farà rendere conto ai territori non virtuosi che devono “darsi una svegliata” e allo stesso tempo lascerà più soldi al nord che sapranno re-investirli meglio di quanto non sia in grado di fare il sud probabilmente.
    Infine, è certo che lo sviluppo del Mezzogiorno giova anche al Nord, ma sicuramente meno dello sviluppo del Nord stesso.

    Ringrazio per l’attenzione.

  2. Roberto Marcelli scrive:

    Bisogna riprendere i concetti di Paolo Sylos labini sui lavori gratificanti di 6 ore che probabilmente si raggiungono non solo con l’innovazione tecnologica ma anche allegerendo il costo del lavoro dell’assistenza.L’innovazione produce condizioni migliori per il lavoro, accellera i processi di produzione ma crea anche disoccupazione che è possibile salvare solo se si riduce l’orario di lavoro a 6 ore.Non sò perche in Francia le 7 ore fallirono.Evidentemente si era fatta la cosa senza intelligenza.Ma prima di arrivare al modello di Paolo Sylos Labini ci vuole un pò di tempo.Calcoliamo le resistenze di quella parte di società conservatrice Ciao Roberto

  3. Stefano Sylos Labini scrive:

    Più il nord si disinteresserà dello sviluppo del Mezzogiorno, più la criminalità organizzata diventerà forte e prenderà nelle sue mani l’economia del nord (al riguardo segnalo un’inchiesta sul Fatto Quotidiano sulla ‘ndrangheta in Lombardia). Per questo se il nord si vuole veramente “liberare” dal sud deve aiutare il sud a svilupparsi per essere meno dipendente dai finanziamenti pubblici e per contrastare lo strapotere della criminalità organizzata. Certo, a prima vista, questi sembrano ragionamenti difficili da spiegare alla popolazione del nord che vota Lega, i cui dirigenti pensano che lasciando il sud al suo destino, miglioreranno le condizioni economiche del nord e delle popolazioni che lì vi abitano. In questo modo, invece, andranno esattamente nella direzione opposta. Io credo che lo sviluppo del Mezzogiorno non dipenda dall’espansione della spesa pubblica, che deve essere resa più efficiente, ma sia legato alla realizzazione di progetti coinvolgendo in primo luogo le grandi aziende ancora controllate dallo Stato come ENI, ENEL, Finmeccanica, le Ferrovie dello Stato, ecc. che hanno mezzi tecnologici e risorse finanziarie adeguate. Si tratta di mettere in campo una politica industriale per aggregare le imprese su dei progetti innovativi come possono essere le energie rinnovabili, l’efficienza energetica, i nuovi veicoli elettrici e ibridi, i nuovi materiali biodegradabili in sostituzione delle materie plastiche, i nuovi prodotti riciclabili. Cordiali saluti.

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