Della filiazione

1 Aprile 2023

[Luana Seddone]

Nel discorso sullo stato dell’Unione del 2020, la Presidente della Commissione von der Leyen ha dichiarato che “chi è genitore in un paese, è genitore in tutti i paesi”.

Con questa frase  si riferiva alla necessità di garantire che la filiazione accertata in uno Stato membro sia riconosciuta in tutti gli altri Stati membri a tutti gli effetti. Lo ha asserito una donna, sposata, eterosessuale con sette figli legittimi.

La proposta vuole chiarire e uniformare le norme da applicare per l’accertamento e il riconoscimento della filiazione sul piano transnazionale, andando così a eliminare qualunque discriminazione tra bambini nati da coppie etero genitoriali e omogenitoriali o adottati.

Si vuole tutelare l’interesse superiore dei minorenni e i loro diritti, compreso quello di libera circolazione per “tutti i tipi di famiglie “che, per qualunque motivo, debbano spostarsi da uno stato all’altro.

L’ Italia ha posto dei limiti, dei confini che non si possono oltrepassare, eppure quei limiti possono essere superati, quei diritti sono acquisiti e possono essere adottati, la filiazione è insita anche nell’adozione, perciò, in cosa si differenziano quei bambini se non nel passare da una zona ad un’altra?

Il limite geografico di uno stato; quella zona di transizione in cui scompaiono le caratteristiche individuanti di una regione, s’identifica, più o meno, con linee prestabilite dalla natura, quali coste, crinali di montagna, fiumi ma collide col limite politico stabilito per convenzione, sarebbe eutopia e non utopia pensare ad uno sconfinamento, ad un ammorbidimento di linee, ad un’accoglienza senza che questa sia condizionata da moralismi e pregiudizi.

Era il 20 novembre 1989 quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a New York, promulgò e rese ufficiale la Convenzione sui diritti dell’Infanzia. Il trattato internazionale sancisce i diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici di bambine, bambini e adolescenti, non più considerati soggetti passivi, lo Stato italiano ha ratificato la Convenzione sui diritti dell’infanzia il 27 maggio 1991, istituendo la legge 176.

Il primo articolo della convenzione dice che i bambini devono essere uguali, senza distinzione di razza, di sesso, di religione o di provenienza ma le distinzioni perdurano perché l’evoluzione dell’uomo è data dal suo sviluppo interiore, dalla sua apertura mentale, dalla propensione al confronto con gli altri e non dalla rigidità, l’intransigenza, dal non tollerare trasgressioni a regole imposte.

Eppure dal superamento di limiti, confini, sono nate le idee geniali, le scoperte, le invenzioni, è la stessa differenza che intercorre tra limes e limen. Il limes costituisce per l’uomo una barriera invalicabile, con un aspetto militare che il termine possiede che gli fa assumere il significato di chiusura, di limite da non superare, di chiusura difensiva rispetto ad un mondo altro, considerato estraneo e ostile. Il limen, invece, è passaggio, apertura, scoperta, trova affinità con principium: è la soglia che consente il passaggio, e dunque condizione di rapporto, incontro, comunicazione.

Il superamento del limite è impedito dalle diseguaglianze, quella economica si interseca con quella di genere, di appartenenza etica e di disabilità ma qualsiasi preconcetto viene superato se a compiere una PMA è una coppia eterosessuale, preferibilmente benestante, bianca, cattolica e in buona salute.

Nella realtà, al modello di famiglia tradizionale si affianca un pluralismo di modelli ai quali non voglio dare una definizione, perché nessuno può essere definito in modo assoluto ma varia ed è variabile a seconda di contesti, esperienze, predisposizioni e vissuto.

La genitorialità non richiede una patente di appartenenza sessuale ma seguire il bambino nella crescita in maniera amorevole fornendogli il supporto e gli strumenti che gli servono per affrontare e vivere il suo futuro in maniera libera, responsabile e serena.

Dalla tradizione ci arrivano esempi di modelli genitoriali che vanno oltre i limiti, A Delfi la vergine Pizia ha allevato un trovatello lasciato sulla soglia del santuario. Il bambino è cresciuto gioioso, giocando fra le cose sacre, occupandosi di tenere il tempio in ordine, di ricevere i pellegrini. Ma giunge il tempo del distacco e la sacerdotessa affida al ragazzo, ormai grande, il segreto della sua nascita e le sue scelte di vita: Deciderai da solo. Per volontà del dio ti ho allevato, figlio, e ti restituisco queste cose che quello, pur senza dirmelo, ha voluto che io prendessi e conservassi. Perché lo voleva non so. Nessuno fra i mortali sapeva che io le avessi, né dove erano nascoste. Addio. Ti voglio bene come se ti avessi partorito.

Fenice, ancora, dovette lasciare la casa paterna seguito dalla maledizione del padre che lo  condannò alla sterilità: anche per lui, dunque, la sofferenza dell’apaidìa. Peleo lo accolse e gli affidò Achille da crescere e poi da accompagnare in guerra, perché imparassse a pronunciare discorsi e compiere imprese.

Non si può stabilire a priori chi sia un buon genitore quando, a prescindere, non si possono avere certezze tranne quella di offrire amore incondizionato sperando che cresca in un mondo migliore e più accogliente di questo contemporaneo.

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