Divieto di transito cani mordono

1 Luglio 2009

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Natalino Piras

Dal libro delle sepolte. Il documentato intervento di Miguel Mora su “El País” online, Anatomia di Berluscolandia, richiama alcuni passaggi di Storie segrete, scritto da Procopio di Cesarea nel VI° secolo d.C.  Vi si parla della dissoluta corte di Giustiniano, imperatore di Bisanzio, e della moglie Teodora. Procopio ben conosceva l’ambiente essendo stato anch’egli cortigiano prima di cadere in disgrazia. Storie segrete, ne esistono diverse versioni in italiano, può essere considerato una vendetta ed è quindi probabile che ci siano esagerazioni. Certo è che la descrizione dei tipi psicologici e degli ambienti risulta efficace. L’imperatrice Teodora, figlia di un domatore d’orsi, è sentina di vizio, lupanare la reggia, segrete stanze di intrighi e crimini. Per non dire di Giustiniano, ostaggio oltre che della moglie, dei partiti, azzurri e verdi, formatisi intorno al mondo della corsa con le bighe, un corrispondente, per farsene un’idea, degli ultras nostrani  più calciopoli. Ma c’è un passaggio nel documentato intervento di Miguel Mora su Berluscolandia che ci riporta più vicini  nel tempo rispetto al paragone con il codice di Procopio. Scrive Mora: “ Sessanta ettari di terreno sono molti. Soprattutto nella costa Smeralda. Ci stanno due spiagge private, tre laghi artificiali, mezza dozzina di piscine, l’anfiteatro in cui si rappresentano gli spettacoli di Apicella (il cantautore che scrive per Berlusconi), delle ballarine, e delle bailaoras… Alcuni anni dopo, Berlusconi è arrivato all’isola.  È arrivato con suo fratello Paolo intorno al 1981 o 1982… La sua idea era di costruire due millione di metri cubi sul mare, in un terreno di 200 ettari a sud di Olbia, tra Le Saline e Capo Cerasso. Per fare impressione, arrivava con due libri enormi che diceva contenevano la valutazione dell’impatto economico. Viaggiava con un seguito di architetti, ingegneri, consulenti fiscali, economisti. Fino all’approvazione del progetto sono passati dieci anni, ed è stato concesso solo un quarto dell’estensione originale, e questo in montagna, lontano dal mare. Ma quando è stato approvato non aveva soldi. Era il 1993 e subito dopo è entrato in politica”. L’illuminazione è in “Capo Cerasso”, dizione forte di Capo Ceraso, incantevole zona a 15 chilometri da Olbia che in sardo fa Terranoa, Terranova. Correva il 1984 e  a quel tempi io scrivevo per “L’Unione Sarda”,  pezzi di cultura ma pure cronache da differenti luoghi che mi capitava di attraversare.  Mandavo pezzi  sui pranzi con i pastori del Supramonte, subito pubblicato, sul caro prezzi in un bar del corso di Olbia, subito pubblicato, e altro. Uno non me lo pubblicarono mai e ne conservo  copia, battuta  con la mia macchina da scrivere di allora, una Olympia comprata con la prima paga da metalmeccanico. Il pezzo l’avevo  chiamato Divieto di transito  cani mordono. Era una dicitura, scritta in rosso a caratteri abbastanza grandi, su un pilastro di cemento, sotto un divieto d’accesso mutuato dalla segnaletica stradale, a Capo Ceraso, a nord di Porto Istana, di fronte a Tavolara. Era una domenica d’agosto  e noi eravamo quattro persone grandi e un bambino. C’era lo spettacolo del mare e delle sue nebbie da cui sembrava nascere, lontano, una villa pitturata in marrone chiaro, con una grande finestra a forma di croce. Il resto, cani permettendo, era dato dal silenzio e dal verde della vasta macchia mediterranea dove la scritta di cui sopra suonava come un insulto. Dall’alto di uno spuntone, ancora lontano, era possibile scorgere barche che solcavano il mare. Tutto lontano perché secondo l’avvertimento non si poteva passare. È allora che è scattato in noi qualcosa. Incuranti delle minacce abbiamo varcato il confine e ci siamo avventurati lungo la strada bianca che scendeva verso il mare per ritrovarci davanti a un altro segnale di stop: STRADA PRIVATA DIVIETO DI TRANSITO. In domo nostra. Un rapido consulto e andiamo ancora avanti. Non c’era presenza umana ma solo, forte e insistente, sempre più insistente, il latrare dei cani. Abbiamo guadagnato un ulteriore spuntone di roccia  camminando dentro quel paesaggio incantevole ma pure natura  selvaggia “aspra e forte”. In fondo eravamo disarmati, a parte la rabbia. Sotto lo spuntone, parcheggiate lungo un porticato in rustico, una decina di macchine, tutte con targa continentale. Arrivarono i cani. Quell’apparizione l’ho poi romanzata in Sepultas,  quando davanti al palazzu di Pera Cossu,  prebiteru Diego vede “una massa di cani bianchi e scuri come la notte, gli occhi come luci cattive, pastori fonnesi, dobermann, pitbull a fauci spalancate, il rosso della bocca e della gola, il biancore dei denti, feroce”. Non si poteva più avanzare. Eravamo disarmati.  Ho fatto subito cronaca dell’accaduto con considerazioni intorno al turismo come servizio, camerieri e lacchè, e al turismo come chiusura. Per i sardi. Senza tralasciare il turismo di pisciatori-mangiatori, di “addostà costa smeralda”, di inseguitori dei riti e miti dei vip, quelli che le domeniche e pure i giorni feriali “si bloccano ogni tanto in lunghe code dopo il ponte sul Padrongianus, all’inizio delle curve per Murta Maria”. Dicevano a una voce Francesco e Giuliana, i genitori del bambino: “Se come sardi abbiamo dei doveri nei confronti dei turisti”, dovrebbero  essere una risorsa economica, “non sono questi i turisti che vogliamo. Non portano nessuna civiltà. Oltretutto hanno fatto la spesa prima di partire e qui lasciano solo spazzatura”. Il pezzo non lo pubblicarono mai.

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