Emergenza Coronavirus in Sardegna

26 Marzo 2020

Foto Claudio Furlan – LaPresse

[Antonello Murgia]

La diffusione del Covid-19 in Italia e in Sardegna pone diversi problemi. Quello sanitario è il più urgente, a causa della letalità decisamente più alta rispetto a virosi analoghe, ma i cittadini, giustamente, si interrogano anche sugli altri, la libertà individuale che ha subìto pesanti limitazioni mai conosciute nella storia repubblicana o la legittimità della forma adottata dal Governo per i decreti atti ad ostacolare la diffusione della malattia.

In Comitato Provinciale ANPI abbiamo discusso anche degli aspetti non sanitari che ci toccano personalmente e ancor più come associazione per le implicazioni costituzionali che hanno. Perciò ci torneremo sicuramente, ma il tema che ci ha interrogato con urgenza i giorni scorsi è stato quello delle caratteristiche epidemiologiche assunte dalla SARS-CoV-2 in Sardegna e dei relativi provvedimenti assunti dall’amministrazione regionale.

Per questo alcuni giorni fa come presidente provinciale ho inviato alla stampa un documento al quale rimando per una conoscenza più approfondita (v. pag. Fb dell’ANPI di Cagliari), nel quale ho fatto presenti le nostre preoccupazioni rispetto al fatto che ben 5 ospedali della nostra terra invece che luogo di soluzione dei problemi di salute, siano diventati luogo di diffusione principale della malattia e che l’amministrazione regionale abbia mostrato più impegno a evitare che l’informazione sull’epidemia locale arrivasse ai cittadini piuttosto che a predisporre misure adeguate per arginarla: mancate/ritardate individuazioni di percorsi “pulito” e “sporco” che dovrebbero essere rigidamente separati, reparti infetti che mantengono rapporti “aperti” con gli altri reparti quando non anche con il bar dell’ospedale cui accedono dipendenti, malati e visitatori, maschere e guanti che scarseggiano e così i kit diagnostici che consentirebbero di individuare ed isolare i portatori sani e malati del virus.

Abbiamo il record mondiale di sanitari infetti ed i secondi in graduatoria ci seguono a notevole distanza: non sarà facile sbatterci giù dal podio. La popolazione è giustamente preoccupata ed ansiosa di ricevere notizie rassicuranti, ma l’assessore alla Sanità, nella circolare del 13 marzo, ha disposto che i dipendenti del Servizio sanitario addetti al trattamento della SARS-CoV-2 non riferiscano agli organi d’informazione e neanche sui social network, pena l’adozione di provvedimenti disciplinari. Ordini professionali dei dipendenti e dei giornalisti, partiti d’opposizione, sindacati e associazioni hanno stigmatizzato la scelta dell’assessore; peraltro è giusto ricordare che l’atteggiamento censorio risale all’aziendalizzazione, alla legge d’istituzione delle ASL e ai successivi regolamenti. E l’opposizione consiliare potrebbe fare cosa buona ad esempio rivolgendosi al governo centrale “amico” e avviando una modifica della legge di cui in tanti ci lamentiamo: abbiamo urgente necessità di scrollarci di dosso il liberismo.

Resta comunque il bisogno di vedere contrastata la malattia con efficacia maggiore di quanto non dimostrato finora. Mi è stato riferito che la mancanza di materiale protettivo dipende anche dal dirottamento verso aree del Paese più bisognose, ma il fatto che il 50% dei colpiti dalla malattia è un sanitario (contro l’8% delle altre Regioni) indica che l’urgenza più impellente è la nostra. Che il dirottamento dipenda da motivazioni geopolitiche più che sanitarie? Il Tg ieri riferiva dell’intenzione di adibire a Covid una parte del (o tutto il?) Policlinico S. Elena: a parte il fatto che non è pensabile sistemare un reparto Covid in una struttura di ricovero che non abbia un Servizio di Rianimazione, le decisioni dell’assessore sembrano andare nella direzione del baratro, verso un’ulteriore privatizzazione di cui sarebbe certo l’esito: maggior costo e minore qualità.

La crisi creata dal Coronavirus ha messo a nudo le inadeguatezze di un autonomismo differenziato che, pur ancora non realizzato formalmente, procede nella sostanza grazie all’iniquo criterio della spesa storica che premia le Regioni più ricche e contraddice il diritto/dovere alla solidarietà. Il coronavirus ci mette davanti agli occhi in modo più chiaro gli effetti dello smantellamento liberista della sanità pubblica: sarebbe un peccato grave non cogliere questa opportunità per rimettere in carreggiata il treno della salute.

Antonello Murgia è il presidente del Comitato provinciale ANPI di Cagliari

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