Fischia il vento sulle vele delle Flottiglie

10 Settembre 2025

[Gavino Maieli]

L’intervento di Gavino Maieli, dell’Unione Autonoma Partigiani Sardi alla manifestazione Fermiamo la barbarie del sei settembre a Cagliari a sostegno della Global Sumud Flotilla, un’iniziativa umanitaria internazionale con l’obiettivo di rompere il blocco israeliano della Striscia di Gaza, rifornire di viveri e medicinali la popolazione palestinese affetta da carestia e stabilire un corridoio umanitario.

È bello ritrovarci in tanti in questo posto incantevole di Cagliari, uniti da valori e sentimenti che purtroppo vengono sistematicamente e brutalmente calpestati da poteri potenti e prepotenti che ritengono che la parola umanità significhi annientare il presente e il futuro, la vita di gente che vorrebbe solo vivere ed essere viva.

Certo, guardare il mondo da qui ingrandisce la voglia di vivere, alimenta le speranze, i desideri, i sogni. Sappiamo però che lontano da qui, ma mica tanto lontano, questi pensieri sono sogni assurdi, impossibili, che non possono non toccare la sensibilità di gente che conosce la sofferenza, che sa cosa significa il dolore, che nella sua storia ha imparato a scoprire e a capire la parola Resistenza.

Per troppo tempo però ci siamo trastullati con le parole, con le sottigliezze vuote della retorica dei tempi morti, quasi si stesse parlando di sport o del sesso dei diavoli, sapendo bene di vivere un tempo morto. La parola genocidio è quella che occupa il primo posto in queste dispute accademiche. C’è chi sostiene, giustamente, che lo sterminio messo in atto da decenni a Gaza, nel silenzio colpevole e complice di un mondo attanagliato dalla paura o dal disinteresse, sia un genocidio. C’è invece chi sostiene, ciecamente, che quello non è un genocidio, che il genocidio è un’altra cosa, non si può paragonare ad altri drammi della storia, ha altri significati. E via ad una frenetica masturbazione mentale alla ricerca di spiegazioni che sminuiscano il senso di una tragedia inaccettabile e mettano in pace una coscienza coscientemente incosciente.

C’è però un’altra lettura, e stavolta non è per niente una provocazione, ma una terribile riflessione. Anche quando a morire, in un bombardamento, per fame, per mancanza di cure, per disperazione, quando a morire in quel modo atroce è anche solo un bambino la cui unica colpa è proprio quella di essere un bambino, di esistere, ecco, anche quello è un genocidio. Un genocidio anticipato. Quei bambini infatti, vivendo, diventerebbero adulti, avrebbero figli, darebbero continuità al loro popolo. In questo modo quel popolo verrebbe distrutto sin dai nuovi germogli, sin dalle nuove radici, dai primi sorrisi, e verrebbe cancellato dalla faccia della terra e della storia, in nome di un Dio, o di un’idea malintesa di un Dio, quantomeno distratto, che pare dispensi diritti a pochi eletti e non suggerisca loro almeno qualche dovere elementare. Insieme a qualche pizzico di vergogna.

Non si possono però chiudere gli occhi o girarli da un’altra parte, non si può accettare che i governi del mondo, compreso il governo italiano, tacciano o tentennino e col loro silenzio pretendano di coprire i rumori della fame, i rumori delle pance vuote e delle bombe che esplodono. Non si può reagire a questa disumanità col ghigno del cinismo e col sarcasmo di certi giornalisti pennivendoli che dovrebbero sperimentare sulla loro pelle cosa si prova quando “su famine ponet sos bezzos a currere”, quando la fame fa correre i vecchi, come dicevano i nostri padri. E come a Gaza, quella corsa viene interrotta dall’esplosione di una bomba.

Ecco, certi “Signori” dovrebbero sentire di persona l’odore della carne putrefatta, dovrebbero sentire i lamenti dell’agonia, dovrebbero vedere il sangue scorrere davanti agli occhi, dovrebbero vedere i corpi sventrati. E pensare che potrebbe capitare a loro di elemosinare un sorso di vita e un briciolo di pietà.

Oggi siamo qui a sostenere, a spingere, con tutte le nostre energie, con tutto il fiato che abbiamo in corpo, le imbarcazioni in viaggio verso Gaza, non dimenticando che la fame di Gaza non è diversa dalla fame di Auschwitz, è la stessa, non c’è nessuna differenza! Stiamo facendo abbastanza? Non so, so che possiamo e dobbiamo fare di più, che è necessario finalmente muoversi, e questo deve essere soltanto un inizio.

Non so se riusciremo a cambiare qualcosa, sicuramente dobbiamo fare in modo di non cambiare noi. Del resto non è che ci siano molte alternative: o viviamo fuori della storia, come tanti che nei loro mondi piccini trovano la loro ragione d’essere e di esistere, oppure a quella storia partecipiamo, ne diventiamo protagonisti, anche se questo significa rinunciare a parte del nostro modo di vivere, a parte delle nostre “irrinunciabili” sicurezze. Ce lo chiede la storia, ce lo chiede la nostra coscienza, ce lo chiede il nostro senso di umanità.

La pace non deve farci paura.

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