Il jobs act e la telecamera

16 Dicembre 2014
gustave_caillebotte_032_levigatori_di_pavimenti_1875
Marco Ligas

Il Presidente del consiglio si sente gratificato dalle attività del suo governo, continua a mostrarsi ottimista sul futuro del paese anche se nelle ultime settimane si sono verificati episodi che dovrebbero suggerirgli qualche cautela.
Non può liquidare con noncuranza la scarsa partecipazione dei cittadini alle elezioni regionali, né sottovalutare l’adesione dei lavoratori agli ultimi scioperi: sono segnali che confermano la crisi della democrazia e il venir meno del consenso di una parte rilevante della società, perciò dovrebbe mostrare maggiore responsabilità nel valutarli.
Se non ricoprisse l’incarico che riveste impropriamente, si potrebbe considerare persino frivolo quando si autodefinisce un protagonista del “nuovismo”. Il guaio è che dice queste cose nella veste di Presidente del consiglio e così la demagogia diventa provocazione, insomma non dovrebbe sostenere che il jobs act rappresenta una grande occasione per dare diritti a chi non li ha mai avuti.
In realtà la riforma di cui mena vanto non solo rende più facili i licenziamenti ma anziché estendere i diritti a chi non li ha, li toglie o li ridimensiona ai pochi che li hanno.
Né va dimenticato che si tratta di una legge delega, cioè di un contenitore semivuoto di cui attualmente si ignora tutto: se sarà riempito rapidamente oppure no e attraverso quali contenuti. Questa indeterminatezza non lascia prevedere nulla di buono: proprio per questa ragione è presumibile che non verrà eliminata o ridotta la piaga della precarietà e che non cresceranno i livelli occupativi.
Intanto un altro aspetto, certo non irrilevante, risulta già definito: non ci sarà il reintegro dei lavoratori nel caso di licenziamento economico, e anche quello per motivi disciplinari o discriminatori si presenta di non facile soluzione considerati i tempi lunghi necessari per la definizione del parere del giudice.
Insomma la Confindustria ha ben ragione nel considerare il governo Renzi un ottimo interlocutore, capace finalmente di ascoltare (e far proprie) le esigenze dell’impresa.
Ed è sulla base di questa subalternità che nasce la proposta relativa al superamento del dualismo padrone/operaio. Meglio parlare, dice Renzi, di nuove relazioni tra imprenditori e lavoratori, poco importa se rimarranno inalterate o se si accentueranno ulteriormente le differenze tra le vecchie categorie economiche che produrranno ancora le solite disuguaglianze.
La stessa legge di stabilità non modifica alcunché; esaminandone i contenuti ci si rende conto che non ci sarà alcun incremento degli investimenti né dell’occupazione. E la ragione è sin troppo evidente: nella legge non sono presenti le proposte necessarie per la riduzione delle tasse ai lavoratori, ai pensionati e alle imprese che investono; manca cioè la condizione essenziale per operare l’inversione di tendenza di cui il paese ha bisogno ormai da decenni.
Tutto ciò mentre, ancora una volta, non vengono intaccate le risorse di chi possiede i patrimoni, di chi evade il fisco o percepisce rendite o vitalizi sproporzionati.
Dulcis in fundo: viene ricordato quasi sottovoce, sia nelle “Proposte per il mercato del lavoro e per la contrattazione” elaborate dalla Confindustria sia nel jobs act, come sia indispensabile un maggiore controllo delle imprese sui dipendenti, naturalmente sulla loro capacità produttiva. Oggi qual è lo strumento più funzionale per effettuare questo controllo? Ovviamente l’uso della telecamera nei posti di lavoro.
È difficile capire se Renzi, nel far propria questa richiesta della Confindustria, la consideri omogenea al suo essere un protagonista del nuovismo. In realtà di nuovo c’è soltanto l’uso della tecnologia, il resto appartiene al passato, soprattutto quello caratterizzato dall’arroganza padronale.
È innegabile infatti come la presenza della telecamera conservi la stessa ispirazione con cui la Fiat negli anni settanta usava i guardioni per controllare sia la operosità e la correttezza dei lavoratori sia per provocare la rissa con gli operai ritenuti facinorosi e perciò potenziali organizzatori della protesta operaia. Non a caso la parola guardione è stata rielaborata dai lavoratori unificando i due termini guardiano e guardone che venivano attribuiti ai delatori dell’azienda torinese.
Questo è dunque l‘aspetto reale del nuovismo del Presidente del consiglio. Se lo valutiamo insieme alla messa in mora della contrattazione collettiva, altra perla delle decisioni del governo, si completa il quadro della politica di cui va fiero.

*nell’immagine: dipinto di Gustave Caillebotte – Levigatori di pavimenti, (1875)

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI