Immigrazione e subalternità

16 Luglio 2015
immigrati
Alessio Frau

Uno di questi giorni mi è capitato di discutere con alcuni operai e operaie di immigrazione, indotti dai media. Analizzare come tale fenomeno sia percepito dal senso comune delle classi subalterne è oltremodo interessante. Ci permette di notare l’inesistente capacità di costruire un discorso egemonico da parte della sinistra nostrana.

Infatti, a livello generale, la narrazione egemone è quella secondo la quale gli immigrati che arrivano nel nostro Paese ci rubano il lavoro o, quantomeno, sono in diretta concorrenza con i lavoratori indigeni, contribuendo a creare una concorrenza al ribasso. A questa generale narrazione, la quale ha anche degli elementi di verità, a volte si aggiunge la teoria di un complotto generale che afferma la presenza di una grande lobby, che gestisce il traffico di migranti per favorire lo smantellamento dei diritti e il degrado morale e culturale, in modo da renderci tutti schiavi. Inoltre, si dice anche che la classe politica, per favorire la stessa lobby, mantiene economicamente gli immigrati mentre fa morire di inedia gli italiani (piccoli imprenditori e disoccupati).

Essendo una narrazione subalterna, è per definizione disorganica e frammista di elementi estranei, che derivano dalla narrazione egemone della classe dominante. Le capacità politico-culturali della sinistra si misurano anche prendendo in considerazione in che modo quest’ultima si rapporta a questo tipo di narrazione.

(1)Per certi versi le classi subalterne vengono accusate di razzismo e denigrate perché esasperate da una situazione di crisi organica pesantissima, non vedono di buon occhio l’arrivo di nuovi immigrati.

(2)Altri ignorano semplicemente la questione, limitandosi ad esprimere solidarietà ai migranti e svolgendo, in pratica, il ruolo che svolgerebbe la Chiesa.

(3)Infine, alcuni, giustificando la loro posizione con la difesa della classe operaia indigena, sono contrari ai flussi migratori in quanto favorirebbe l’accrescimento del marxiano “esercito di riserva”, favorendo la concorrenza al ribasso e dunque il Capitale.

Ecco: a me pare che tutte queste narrazioni, sia quelle delle classi subalterne sia quelle dei loro presunti rappresentanti politici, siano allo stesso modo subalterne.

La questione va affrontata politicamente, elaborando una contro-proposta autonoma e ragionata, che sappia cogliere la totalità dei fenomeni sociali e politici e sappia così elaborare una proposta che vada nella direzione dell’emancipazione politica e sociale dei lavoratori, siano essi stranieri o italiani, senza però dimenticare la “questione nazionale”. Quest’ultima esiste e non è un’invenzione della borghesia. Tutta la storia del movimento comunista ce lo dimostra ampiamente. Ma come va affrontata, sempre ragionando sull’immigrazione? Karl Marx scrisse, nel 1880, all’interno del programma del Parti Ouvrier francese, il seguente punto:

“(4) Divieto legale per i padroni di impiegare lavoratori stranieri ad un salario inferiore a quello dei lavoratori francesi”.

Questo mi pare il modo giusto per affrontare la questione nazionale, oltre alla lotta per controllare gli spostamenti anarchici di Capitale che generano il fenomeno del “dumping sociale”.

Ma questo è solo un lato della questione. Infatti, che comunisti saremmo e che sinistra saremmo se non denunciassimo l’imperialismo e le ragioni dei popoli e delle nazioni oppresse?

Ma, purtroppo, abbiamo smesso di ragionare utilizzando la categoria di lotta di classe e di imperialismo, scambiando di continuo la “parte” per il “tutto” e compiendo errori di valutazione politica imperdonabili.

Quando si ricomincia a fare politica?

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