Io capitano, l’Odissea tragica della realtà, la speranza del sogno e la fiaba della resistenza

4 Ottobre 2023

Un fotogramma del film

[Francesca Pili]

Io capitano racconta, senza alcuna retorica, un viaggio epico.

È una storia universale, quella della migrazione, delle migrazioni, ma anche particolare, personale: una storia di formazione, di crescita, tema caro a Matteo Garrone, che ne parla, con altre storie, pure in altri suoi film.

Sul tema universale della migrazione, delle migrazioni, Io capitano offre uno sguardo differente su una questione della quale si parla molto spesso a sproposito e quasi sempre dal di fuori: lo fa ribaltando la prospettiva, il punto di vista, che non è, come siamo abituati, quello di noi occidentali, che, in questa storia siamo completamente assenti, se non come mere voci, quelle che risuonano dal telefonino dal quale Seydou e Moussa guardano dei video italiani, prima di partire per il loro viaggio, e quelle dei soccorsi, inutili, che Seydou chiama dalla barca per chiedere aiuto, prima di lasciar perdere e decidere di contare sulle sue forze e sul suo coraggio per cercare di portare tutti e tutte vivi, sani e salvi, fino a terra.

Non abbiamo nessun altro ruolo: il soggetto principale, il protagonista assoluto, il narratore del film di Garrone è Seydou, ragazzo di sedici anni che da Dakar decide di partire alla volta dell’Europa con la speranza di migliorare le proprie condizioni e quelle della sua famiglia e di realizzare il sogno di diventare famoso facendo musica (interpretato dall’esordiente Seydou Sarr, il nome è lo stesso del personaggio che interpreta, davvero bravo e intenso, che, all’ultima Mostra internazionale d’arte cinematografica della Biennale di Venezia, ha vinto il Premio Mastroianni come miglior attore emergente, mentre Garrone si è aggiudicato il Leone d’argento per la regia), suoi co-protagonisti, oltre al cugino e compagno d’avventure Moussa, prima la sua famiglia, la sua gente, e poi, soprattutto, tutti i suoi compagni e tutte le sue compagne di viaggio.

È una prospettiva, questa, che viene rimarcata anche dalla scelta di distribuire il film in lingua originale, quella, anzi quelle parlate da Seydou e dagli altri protagonisti e protagoniste di questa storia, prima fra tutte il wolof, la lingua più diffusa in Senegal, e poi il francese, con sottotitoli, e non doppiato nella nostra, nelle nostre, di lingue, quella italiana e le altre lingue parlate in Occidente, per quanto concerne la distribuzione internazionale.

E Garrone narra tutto ciò, il particolare e l’universale, nel modo che gli è più congeniale, con quello che è parte integrante e peculiare della sua cifra autoriale, ovvero alternando, alleggerendo, caratterizzando la tragedia, l’Odissea tragica, della realtà del viaggio di migrazione, con la speranza della fiaba e la resistenza del sogno.

Io capitano è un film importante, necessario, e lo è ancora di più nell’Italia di questo tempo e di questo periodo socio-politico.

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