La malnutrizione del mondo

17 Agosto 2015
Malnutrizione
Gianfranco Sabattini

La malnutrizione del mondo non si combatte solo con il miglioramento del reddito. Amartya Sen nell’articolo “L’economia della fame”, pubblicato sul n. 69/2015 di “Aspenia”, riprende, approfondendoli, i temi trattati in una “Lecture” svolta presso il Laboratorio Expo (il progetto scientifico della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ed Expo Milano 2015), dal titolo “I rapporti tra alimentazione e popolazione nel mondo contemporaneo: una tesi ragionata”.

Nell’articolo di Aspenia, il premio Nobel sostiene che la fame nel mondo e il suo carattere persistente non dipendono da carenze produttive, ma soprattutto dall’influenza che le leggi generali dell’economia e le norme e convenzioni sociali condivise esercitano sulla distribuzione delle risorse alimentari, senza trascurare il loro “peso” anche sull’accesso al cibo all’interno delle famiglie. Sen caratterizza in termini più comprensivi il fenomeno della fame nel mondo, attraverso il principio del “food entitlement”, implicante l’idea che il problema della nutrizione possa essere affrontato attraverso la dotazione di specifiche “capacità” in capo ad ogni singolo soggetto (capabilities, secondo la terminologia anglosassone).

Oggi – afferma Sen – è difficile stabilire quante persone soffrono la fame nel mondo; una stima effettuata alcuni anni or sono dall’”Hunger Project (un’organizzazione globale non-profit che persegue lo scopo di eliminare questo problema), valutava in circa 870 milioni le persone che, con certezza, risultavano denutrite o affamate; si trattava di una percentuale delle popolazione globale preoccupante: più di una persona su dieci viveva in condizione di denutrizione. Sen ricorda di aver cercato nei decenni scorsi di spiegare il fenomeno della lotta contro la malnutrizione attraverso il concetto di “food entitlement”; poiché da allora il fenomeno non è stato affatto rimosso, l’economista indiano si chiede se il concetto possa esser ancora utile per la spiegazione delle carestie e la messa a punto delle azioni politiche per contrastarle.

L’idea che è alla base del concetto di “food entitlement” parte dal presupposto che, poiché l’accesso al cibo non è gratuito, il suo consumo per scopi alimentari dipende dal “paniere” di beni che ogni soggetto è in grado di procurarsi. In un’economia di mercato, la quantità di cibo che ciascuno può acquistare dipende dal suo reddito, il quale dipende,a sua volta, dai mezzi che può procurarsi vendendo ciò di cui dispone, sotto forma di servizi, di beni prodotti e della qualità della propria forza lavoro. Inoltre, la quantità di cibo che ogni individuo può acquisire dipende, oltre che dai prezzi di mercato ai quali può vendere la ricchezza di cui dispone, anche dal prezzo del cibo del quale ha bisogno per la sua sopravvivenza.

Il fenomeno delle malnutrizione non deriva, secondo Sen, dalla mancanza del cibo necessario a nutrire l’intera popolazione di un dato Paese, ma dalla capacità di ogni singolo componente la popolazione di disporre di “un insieme di panieri alternativi di beni”; se, in luogo del singolo soggetto, si considera una famiglia all’interno del perimetro dell’entitlement – afferma Amnartya Sen – questa “può scegliere uno qualsiasi dei panieri alternativi compatibili coi mezzi di cui dispone. La quantità di cibo presente in ciascun paniere determina ciò che la famiglia è in grado di consumare e, di conseguenza, se i membri della famiglia patiranno o meno la fame”.

Da che cosa dipende, si chiede Sen, l’intero perimetro dell’entitlement, su cui può fare affidamento una famiglia? Esso dipende, oltre che dalla dotazione iniziale di mezzi a disposizione della famiglia, anche dalle condizioni del mercato; per cui se la dotazione e le condizioni di mercato non consentono alla famiglia di sfamarsi, la causa è da ricondursi al fallimento del sistema esistente di entitlement. Perciò, per comprendere, perciò, il fenomeno della sottonutrizione e il suo carattere persistente, occorre considerare tale fenomeno non come problema alimentare, ma come problema economico generale, aggravato dalla persistenza tra la popolazione di un dato Paese della conservazione di ingiustificate convenzioni sociali.

Ad esempio, volendo approfondire l’origine del fenomeno della fame, occorre tener presente che il problema dell’accesso al cibo esiste anche all’interno delle singole famiglie. Se si sposta l’attenzione dalla famiglia ai singoli soggetti che la compongono, è possibile constatare come la condizione dei suoi singoli membri rispetto al cibo dipenda anche dalle convenzioni sociali che regolano la distribuzione delle risorse nutrizionali all’interno dei nuclei familiari; tali convenzioni tendono a fare valere delle discriminazioni a favore soltanto dei soggetti dotati di un “reddito”.

Un’analisi della distribuzione delle risorse nutritive basata sul principio del “food entitlement”, deve perciò considerare, non solo la titolarità formale di certi diritti, ma le norme sociali e le convenzioni che concorrono a stabilire chi può avere “titolo” a che cosa. Ciò dimostra – afferma Sen – la necessità “di allargare il perimetro del concetto di entitlement dalla titolarità formale agli standard socialmente accettati che sono causa di maggiori privazioni per alcuni membri della famiglia rispetto ad altri”.

Tuttavia, nell’esaminare il complessivo problema della fame nel mondo non ci si può limitare a considerare il solo “perimetro” degli entitlement; occorre spostare l’attenzione da questi ultimi agli aspetti concernenti le “capacità” di ogni singolo soggetto. Su tali capacità, oltre al sistema degli entitlement, influiscono molti altri elementi, quali ad esempio lo stato di salute e l’istruzione. I gravi deficit esistenti nelle infrastrutture sanitarie pubbliche e nel sistema della pubblica istruzione provocano numerosi effetti negativi, tra i quali quello della malnutrizione è uno dei più gravi.

Ridonda, in queste ultime considerazioni del premio Nobel sulla fame nel mondo la tesi secondo cui la “capacità di un soggetto” esprime, non solo la sua condizione fisica dell’agire (capacit-azione), ma anche la sua libertà di scegliere fra una serie di possibilità di vita alternative; in altre parole, nella misura in cui la capacit-azione consente di stare bene, le capacità rappresentano la libertà individuale di acquisire lo star bene. Non si tratta solo della libertà positiva (libertà di) e della libertà negativa (libertà da), ma anche di una terza forma di libertà (libertà per), che assegna valore alle prime due forme.

Una dotazione di risorse è secondo Sen un indicatore assai impreciso e indeterminato di ciò che un soggetto è realmente libero di fare e di essere; infatti, la disponibilità di un dato reddito, in sé e per sé considerata, non serve a collocare un determinato soggetto malato o poco istruito in una situazione migliore di un soggetto sano e istruito, anche se dotato di un reddito minore. La conclusione a cui Sen perviene è che la validità del perimetro degli entitlement vigenti all’interno di un dato sistema sociale dipende dal loro grado di idoneità a garantire a tutti i componenti la popolazione una serie di capabilities di acquisire un’adeguata qualità della vita (o well-being generale), non ristretta entro parametri puramente economici. Nella prospettiva di questa impostazione, Sen giunge a tratteggiare una teoria dello sviluppo umano in termini di libertà (development as freedom); rispetto ad essa l’accesso al cibo costituisce uno dei postulati delle teoria, in assenza del quale lo sviluppo umano è del tutto impedito.

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