L’ergastolo di Mario Trudu

3 Luglio 2019

Mario Trudu

[Graziano Pintori]

Il sistema giudiziario con quello carcerario continuano imperturbabili a volare alto, molto in alto, rispetto ai diritti umani che la Corte Europea puntualmente ci rammenta che esistono e vanno rispettati. Le anomalie della democrazia italiana sono vive e vegete perché prolificano a prescindere dalle regole e dai principi contenuti nella nostra Costituzione. L’anomalia che in queste settimane è venuta a “galla” dalle testate giornalistiche è la tragica esperienza di un detenuto, che in quarant’anni ha respirato la libertà solo per un paio d’ore. E’ l’esempio dell’ergastolano Mario Trudu che propone alla “zustissia” di essere ucciso pubblicamente piuttosto che continuare a subire “la morte lenta”.

L’urlo disperato del detenuto sale dal tunnel del fine pena mai, o se si preferisce dal 9.99.9999, schiantandosi sul muro di gomma dell’immarcescibile convinzione che la condanna è e deve essere solo pena e non riabilitazione alla vita, alla libertà. Il carcere, nel suo sconvolgente isolamento dal mondo libero, non è luogo di recupero, di reinserimento nella società che a suo tempo il reo aveva tradito.

Trudu, infatti, non sconta più la condanna per i suoi misfatti compiuti quando era poco più di un ragazzo, oggi a sessantanove anni subisce solo ed esclusivamente la pena del carcere duro: una vendetta dello Stato perché non fu collaborativo e costruttivo con la legge. Ancora oggi Trudu subisce la“morte lenta” che l’ergastolo ostativo riserva a questo genere di detenuti, nonostante la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo affermi ”l’ergastolo senza possibilità di rilascio è violativo dell’art. 3 della Convenzione europea, nella parte che proibisce i trattamenti crudeli, inumani o degradanti”. Quindi un vergognoso oltraggio alla legge universale dei diritti umani e, voglio aggiungere, alla Costituzione Italiana.

Nonostante la l. 103 del 2017 sulla riforma dell’Ordinamento penitenziario apparisse come una fase nuova di cambiamento, con il nuovo Parlamento giallo/verde i decreti attuativi della riforma subiscono un notevole rallentamento nei lavori, una condizione che conferma la storica prassi tutta italiana di dotarsi di leggi ricche di buoni propositi ma di scarso pragmatismo nell’applicazione.

Sulla carta sono previste scuole, formazione, educatori, assistenti sociali, medici ecc. al fine di concretizzare anche nelle carceri il diritto di cittadinanza, lo stesso che dovrebbe valere per le persone libere. Si tratterebbe di un percorso innovativo che contempla protocolli d’intesa tesi ad impegnare i carcerati in progetti umanitari, lavorativi e culturali, un insieme di intenti che se concretizzati darebbero un’effettiva svolta al sistema carcerario vigente, contrastando la consuetudine di identificare il carcere come centro di specializzazione delinquenziale o luogo dei “salti di qualità” dei criminali in erba.

Parliamo di una riforma che sulla carta appare buona anche se, dal mio punto di vista, è monca nei confronti delle diverse centinaia, forse un migliaio, di ergastolani ostativi, per i quali il carcere continua e continuerà a essere “il cimitero dei vivi”. Quindi, nella sostanza dei fatti, i dettati della Corte Europea e della nostra Carta Costituzionale continuano a essere elusi; come pure resta sempre più invalicabile il solco che separa la volontà di rendere il carcere conforme alla vita libera e la condizione di “morte lenta” riservata ai detenuti ostativi.

Sono convinto che nonostante il clima di linciaggio morale e politico nei confronti di chi si schiera a favore dell’umanizzazione della società, ivi comprese le carceri, il governo giallo/verde dovrà assumersi tutte le responsabilità, compresa, appunto, la riforma carceraria e capire se la cultura giustizialista dei vari Salvini/Di Maio continuerà a sovrapporsi alla democrazia e alla Costituzione.

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