New Deal

16 Dicembre 2011

Stefano Deliperi

Che l’Italia – e la Sardegna, in particolare – stia attraversando una gravissima crisi economico-sociale è una dura realtà da tempo.     L’unico che non se n’è accorto è il nostro mai dimenticato premier dimesso Silvio Berlusconi, quello che ancora poche settimane fa cianciava di “ristoranti pieni” e tuttora blatera di un Paese dai “cittadini benestanti”
E’ offensivo nella sua cialtronaggine nei confronti di decine di milioni di italiani, bisogna ricordare ogni giorno i devastanti danni che ha arrecato, ma non rappresenta certo il nostro futuro. Il nostro presente è ben rappresentato dalla cura da cavallo che sta proponendo (e attuando) il Governo Monti: l’Italia e gli italiani dovranno sputare lacrime e sangue, finanziariamente, per cavarsela. Non è questo il momento di lasciarsi andare, è il momento di fare proposte concrete e praticabili.
Alcune fra tante: dalla tassazione degli immobili ecclesiastici adibiti ad attività commerciali all’assegnazione onerosa mediante gara ad evidenza pubblica delle frequenze televisive digitali, dalla tassazione delle transazioni speculative sui mercati valutari (c.d. Tobin tax) dal drastico taglio di tutte le opere pubbliche inutili e devastanti per l’ambiente (es. ponte sullo Stretto di Messina, nuova linea alta velocità Torino – Lione, diga Monte Nieddu-Is Canargius, ecc.). C’è solo l’imbarazzante ònere della scelta e le entrate e i risparmi sarebbero nell’ordine di decine di miliardi di euro, rendendo assolutamente non necessari gli inasprimenti fiscali ai danni di milioni di lavoratori, pensionati, inoccupati, sottoccupati, disoccupati, infanti. Ma tanto, tantissimo, potrebbe esser fatto dalle regioni e dagli enti locali. 
Anche dalla Regione autonoma della Sardegna. Anche qui qualche esempio. Partiamo dalla crisi di uno dei settori portanti dell’economia sarda, l’edilizia. E’ uno dei settori portanti – è bene ricordarlo – anche perché ben il 38,2% della popolazione residente ha solo la licenza media e ben il 24,5% solo quella elementare o, addirittura, alcun titolo.   Vuol dire che il 62,7% dei residenti in Sardegna in età lavorativa (dai 15 anni in poi) è privo di qualifica professionale (da Sardegna Statistiche, anno 2009). L’edilizia in Sardegna è in crisi.  L’hanno certificato i sindacati nelle scorse settimane.    Tanto per cambiare, rappresenterebbe l’alibi per dare l’assalto speculativo alle coste e alle altre aree d’interesse ambientale. Storia vecchia e stupida. In tre anni (2008-2011) il comparto dell’edilizia sarda ha perso ben il 40,86% degli addetti. Si è passati da 44.032 operatori del settore, censiti dalle Casse Edili sarde, a “soli” 26.176.    Le imprese del settore sono passate da 7.978 a 6.100, con una perdita secca del 23,35%.   Questi i dati denunciati dai sindacati del settore (Fillea C.G.I.L., Filca C.I.S.L., Feneal U.I.L.), che hanno chiesto ai Soggetti pubblici e privati interessati provvedimenti urgenti per arginare la pesante crisi. Ma è solo una parte.   Basta ricordare la chiusura delle attività della Scuola Edile di Cagliari, ente di formazione e di qualificazione delle maestranze impegnate nell’edilizia. 
Sembrerebbe un aspetto secondario, marginale, in realtà costituisce una “spia” di una situazione molto più profonda.   Viene meno l’aspetto fondamentale per il necessario dinamismo del settore, la formazione, la qualificazione e la riqualificazione professionale. Oggi quello che è in crisi è il modello tradizionale dell’impresa edilizia e dell’operatore dell’edilizia.  Mettere un mattone sopra l’altro – volendo estremizzare e semplificare – significa consumare risorse e territorio, significa disporre di ricchezze inesistenti da investire, significa contare su acquirenti scarsi e privi di liquidità.
Non è consentendo le peggiori speculazioni immobiliari e dilapidando il patrimonio ambientale collettivo che si riesce a superare una crisi ormai strutturale. Spazio per le imprese e i lavoratori nel settore c’è ed è ampio nelle ristrutturazioni del patrimonio edilizio esistente, pubblico e privato, nelle ristrutturazioni per il miglioramento della qualità energetica, nel risanamento e riqualificazione dei centri storici.  Pensiamo soltanto alla realizzazione di tutti quegli interventi legati alla riqualificazione ed efficienza energetica (coibentazione, tetti fotovoltaici, sistemi di riciclaggio idrico, manutenzioni, ecc.) che possono impiegare personale adeguatamente riqualificato.
Ma non solo.  In un vero e proprio new deal sardo dovrebbe assolutamente trovare adeguato spazio un piano di sistematico risanamento idrogeologico, con interventi di consolidamento e rinaturalizzazione di costoni, pendii, letti fluviali, demolizioni di opere incongrue e ripristini ambientali, forestazioni naturalistiche.  Un piano di salvaguardia del suolo e di protezione del territorio che coinvolgerebbe migliaia di progettisti, tecnici specializzati e maestranze con obiettivi realmente di pubblico interesse.   
Centinaia di milioni di euro di provenienza comunitaria del piano operativo FESR 2007-2013 troverebbero la migliore forma di investimento. Evitando i rischi di disinvolti giochi finanziari da centinaia di milioni con i fondi comunitari sulla pelle dei sardi. E ci sarebbe ancora un altro intervento infrastrutturale importante, da svolgere con la regìa regionale e recuperando anni di ritardi e di incapacità: predisporre progetti e realizzare le connessioni fra il gasdotto Galsi s.p.a. e le aree urbane e industriali sarde, affinchè quest’opera sia davvero utile per la Sardegna e non sia quel mezzo disastro che si prospetta.  A patto che si riveda profondamente il tracciato e si faccia passare dove l’impatto ambientale e socio-economico sia minore (es. lungo le fasce di rispetto stradali, in aree ferroviarie dismesse, in aree già degradate, ecc.).  
Imprese e maestranze sarde dovrebbero quindi esser qui coinvolte, anche grazie a ristrutturazioni aziendali e a riqualificazioni professionali di tecnici e operai, compresi quelli già fuori dal mercato del lavoro. Come si vede, le opportunità ci sono, il sostegno finanziario anche. 
Finora è mancata la volontà e l’intraprendenza di un’Istituzione regionale che dovrebbe rappresentarci tutti e spesso, invece, ci fa vergognare d’essere sardi.

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