Quali soluzioni per una transizione energetica che rispetti l’ambiente e il territorio?
31 Maggio 2025
[Stefano Deliperi]
Il rapporto virtuoso fra transizione energetica dalle fonti fossili tradizionali (petrolio, gas naturale) alle fonti rinnovabili (sole, vento, acqua) e tutela del territorio è senz’altro complesso, ma è tutt’altro che impossibile da realizzare.
Il punto di partenza è una seria verifica (cioè senza obiettivi gonfiati per ragioni d’interesse) delle reali necessità energetiche nazionali, che dovrebbero esser individuate nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) a cui dovrebbe seguire un processo di pianificazione coordinata fra Stato, Regioni ed Enti locali per l’ubicazione concreta dei sistemi e degli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili, privilegiando le metodologie di produzione diffusa, meno impattanti e più efficaci nella distribuzione, assistita dalla procedura di valutazione ambientale strategica (V.A.S.).
Qual è il quadro internazionale del contrasto ai cambiamenti climatici.
Ricordiamo che alla recente COP 29 di Baku, la 29^ Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Baku, Azerbaijan, 11 – 22 novembre 2024), come sempre, l’Italia ha fatto la sua parte e ha sottoscritto l’appello volontario per la messa al bando del carbone per la produzione energetica insieme numerosi Paesi, fra cui la Gran Bretagna, la Germania, la Francia, il Canada, l’Australia, l’Angola, l’Uganda, l’Etiopia: “i firmatari promettono che i loro prossimi piani climatici non includeranno alcuna nuova centrale elettrica alimentata a carbone senza cattura di CO2”.
L’Italia abbandonerà l’utilizzo del carbone a fini di produzione energetica nel 2025, con l’eccezione della Sardegna, dove l’utilizzo cesserà fra il 2026 e il 2028.
Cina (30,00%), U.S.A. (11,25%) e India (7,80%) – cioè i primi tre grandi “produttori” di CO2 al mondo (complessivamente il 49,5% delle emissioni nel 2023) – non aderiscono alla dismissione del carbone.
E abbiamo detto tutto.
Cina, Stati Uniti, India, Unione Europea (27 Stati), Russia e Brasile sono i Paesi che emettono più CO2 al mondo. Insieme, rappresentano il 49,8% della popolazione mondiale, il 63,2% del P.I.L. globale, il 64,2% del consumo di combustibili fossili e il 62,7% delle emissioni globali di CO2 fossile (Commissione europea, CO2 emissions of all world countries, 2024 Report).
Nel 2023 la Cina ha emesso 15.943,99 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (in sistematica crescita dal 1990, + 411%), il 30% delle emissioni globali mondiali, l’Italia ha emesso 374,12 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (in drastica diminuzione dal 1990, – 27%), lo 0,71% delle emissioni globali mondiali.
L’International Energy Agency (IEA), nel World Energy Outlook del 2023, sottolinea come il governo cinese preveda di arrivare al picco delle emissioni nel 2030, per cui non possiamo che prevedere ulteriori aumenti delle emissioni cinesi di CO2.
E’ ben chiara la follìa di chi vorrebbe in Italia una transizione energetica votata al proliferare senza se e senza ma di centrali eoliche, centrali fotovoltaiche, centrali a biomassa in spregio a qualsiasi salvaguardia del territorio: anche se l’Italia scendesse allo 0,5% delle emissioni globali mondiali di CO2 per la nostra Terra non cambierebbe un bel niente.
Il Consiglio di Stato l’ha ricordato recentemente con la sentenza Sez. IV, 5 marzo 2025, n. 1872.
E ha ragione da vendere il magistrato amministrativo Paolo Carpentieri con il suo forte richiamo al buon senso che dovrebbe guidarci tutti nella transizione ecologica ed energetica: “...è del tutto inutile auto-distruggere qui e ora, subito, i nostri paesaggi, coprendoli di pale eoliche e di campi fotovoltaici, mentre il resto del mondo non fa nulla (anzi, continua a crescere con un’esplosione demografica fuori controllo). È come voler svuotare il mare con un cucchiaino.”.
Per questi motivi, a puro titolo d’esempio, è semplicemente criminale voler assediare la reggia nuragica di Barumini con cinque centrali eoliche e svariate centrali fotovoltaiche, per non parlare (sempre a puro titolo di esempio) della Sardegna inquinatrice d’Italia, una fesseria buona solo per chi si rifiuta di ragionare.
Di quanta energia ha bisogno l’Italia?
Secondo i dati ufficiali Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) riferiti al 2023, “la domanda di energia elettrica in Italia nel 2023 è stata pari a 305,6 TWh (terawattora: 1 TWh equivale a un miliardo di chilovattora, kWh, n.d.r.) e ha registrato una diminuzione del 3,0% rispetto all’anno precedente. Il fabbisogno di energia elettrica è stato soddisfatto per l’83,2% da produzione nazionale destinata al consumo, per un valore di 254,4 TWh (-6,5% rispetto al 2022), e per la quota restante, pari al 16,8%, dalle importazioni nette dall’estero per un ammontare di 51,3 TWh”, mentre “i consumi annuali di energia elettrica in Italia nel 2023 sono stati pari a 287,4 TWh. Tra il 2022 e il 2023 si è registrato un calo dei consumi di energia elettrica pari al 2,9% (-8,5 TWh).”
Quindi, la tendenza nel breve periodo è stata la diminuzione del fabbisogno e del consumo di energia e, in ogni caso, se ne deve tener conto.
Inoltre, “la produzione nazionale lorda è stata pari a 264,7 TWh, registrando un calo del 6,8% rispetto al 2022. La fonte termoelettrica non rinnovabile ha coperto la maggior parte del fabbisogno, rappresentando il 55,4% della produzione (in calo del 19,3% rispetto al 2022). Tra le fonti rinnovabili si registra il record storico del fotovoltaico, che nel 2023 ha totalizzato oltre 30,7 TWh di produzione (+9,2% rispetto al 2022); in aumento anche la produzione eolica con un incremento del 15,4% rispetto al 2022 (23,6 TWh). Dopo il minimo storico della produzione idroelettrica registrato nel 2022 (-36,2% rispetto al 2021) quest’ultima torna a salire del 38,9% nel 2023 attestandosi a 42,1 TWh. Si registra invece un calo delle bioenergie e della produzione geotermoelettrica, rispettivamente del 9,1% e del 2,5% rispetto al 2022.”
Infine, “la potenza efficiente lorda di generazione, al 31 dicembre 2023, è risultata pari a 130,1 GW, con un incremento del 5,5% rispetto all’anno precedente. In particolare, con 66,8 GW la capacità rinnovabile ha raggiunto il 51% del totale installato nel nostro Paese, con un aumento rispetto al 2022 del 9,5%.
Analizzando il parco di generazione per fonte:
- il termoelettrico ha registrato un incremento (+1,3%) passando dai 62,4 GW del 2022 ai 63,2 GW del 2023. Tale incremento è stato rilevato sia sugli impianti di sola produzione di energia elettrica, la cui potenza passa da 35,8 GW del 2022 a 36,4 GW del 2023 (+1,6%), sia sugli impianti cogenerativi, la cui potenza passa da 26,6 GW del 2022 a 26,8 GW del 2023(+0,9%);
- l’idroelettrico ha registrato un aumento di capacità dello 0,2% (attestandosi a 23,3 GW);
- il fotovoltaico ha registrato un considerevole incremento di potenza del 21,0% attestandosi a 30,3 GW (erano 25,1 GW nel 2022);
- l’eolico ha registrato un significativo incremento, passando dagli 11,9 GW di potenza del 2022 ai 12,3 GW del 2023 (+4%);
- il geotermoelettrico è rimasto invariato con una potenza di 0,8 GW.
Riguardo i sistemi di accumulo, al 31 dicembre 2023 risultano in esercizio 11 sistemi di accumulo stand alone per una potenza di 0,2 GW e 518.940 sistemi di accumulo sottesi ad altri impianti (+56% sul 2022) per una potenza attiva nominale complessiva pari a 3,2 GW (+52% sul 2022).”
Secondo il proposto Piano nazionale integrato Energia e Clima al 2030, per consentire l’abbandono delle fonti fossili tradizionali, vi dovrà essere “nel settore elettrico, oltre che la salvaguardia e il potenziamento del parco installato, una diffusione rilevante sostanzialmente di eolico e fotovoltaico, con un installato medio annuo dal 2019 al 2030 pari, rispettivamente, a circa 3200 MW e circa 3800 MW, a fronte di un installato medio degli ultimi anni complessivamente di 700 MW. Questa diffusione di eolico e fotovoltaico richiederà anche molte opere infrastrutturali e il ricorso massivo a sistemi di accumulo distribuiti e centralizzati, sia per esigenze di sicurezza del sistema, sia per evitare di dover fermare gli impianti rinnovabili nei periodi di consumi inferiori alla produzione.”
Paolo Arrigoni, è il Presidente del Gestore Servizi Energetici (G.S.E.), “società del Ministero dell’Economia e delle Finanze che in Italia promuove lo sviluppo sostenibile attraverso l’incentivazione delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica e della mobilità sostenibile”, ed è molto chiaro nelle sue affermazioni: la crescita delle installazioni di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili in Italia è forte ed è innegabile.
“Tra gennaio e agosto di quest’anno in Italia sono stati installati ulteriori 5 gigawatt di capacità provenienti da impianti fotovoltaici, tecnologia che si conferma trainante sul fronte delle rinnovabili. A fine 2023, infatti, su complessivi 67 gigawatt di capacità installata, 30,3 provenivano dal fotovoltaico, 23 dall’idroelettrico e 12 dall’eolico”. Non solo, “il trend dell’installazione è positivo se verifichiamo gli ultimi 4 anni, ma soprattutto ci sono tanti strumenti … tutti i gestiti dal Gse, che hanno dei contingenti che assommati vanno ben oltre l’obiettivo 2030”.
Capito? “ben oltre l’obiettivo 2030”.
Quali sono – nella realtà concreta – i progetti di nuovi impianti energetici da fonti rinnovabili.
In tutto il territorio nazionale le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 marzo 2025 risultano complessivamente ben 6.070, pari a 355,03 GW di potenza, suddivisi in 3.857 richieste di impianti di produzione energetica da fonte solare per 153,54 GW (43,25%), 2.030 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra per 108,42 GW (30,54%) e 132 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a mare 89,96 GW (25,34%), mentre sono ben poche (complessivamente 51 per complessivi 3,12 MW, lo 0,88%) le richieste per impianti idroelettrici, geotermici e da biomasse, cioè circa 4,7 volte l’obiettivo previsto a livello europeo.
Essere a favore dell’energia prodotta da fonti rinnovabili non vuol dire avere ottusi paraocchi, non vuol dire aver versato il cervello all’ammasso della vulgata dell’ambientalismo politicamente corretto.
Ma non sono solo le associazioni e i comitati realmente ambientalisti a sostenerlo.
Qualche sintetica considerazione sulla speculazione energetica in corso in Italia è stata svolta autorevolmente dalla Soprintendenza speciale per il PNRR, che, dopo approfondite valutazioni, ha evidenziato in modo chiaro e netto: “… è in atto una complessiva azione per la realizzazione di nuovi impianti da fonte rinnovabile (fotovoltaica/agrivoltaica, eolico onshore ed offshore) … tanto da prefigurarsi la sostanziale sostituzione del patrimonio culturale e del paesaggio con impianti di taglia industriale per la produzione di energia elettrica oltre il fabbisogno … previsto … a livello nazionale, ove le richieste di connessione alla RTN per nuovi impianti da fonte rinnovabile ha raggiunto il complessivo valore di circa 328 GW rispetto all’obiettivo FF55 al 2030 di 70 GW” (nota Sopr. PNRR prot. n. 51551 del 18 marzo 2024)”.
Qui siamo alla reale sostituzione paesaggistica e culturale, alla sostituzione economico-sociale, alla sostituzione identitaria.
Il fenomeno della speculazione energetica, oltre che in Sardegna, è pesantemente presente in modo particolare nella Tuscia, in Puglia, nella Maremma, in Sicilia, sui crinali appennnici.
Caso particolare è quello della Sardegna, in quanto si tratta di un sistema semi-chiuso, con soli due (saranno tre nei prossimi anni) collegamenti con il sistema elettrico della Penisola.
In Sardegna le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 marzo 2025 risultano complessivamente 729, pari a 54,40 GW di potenza, suddivisi in 470 richieste di impianti di produzione energetica da fonte solare per 19,72 GW (36,25%), 225 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra per 15,65 GW (28,77%) e 33 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a mare per 19,02 GW (34,97%), una sola richiesta per centrale idroelettrica per 0,01 GW (0,01%).
54,40 GW significa più di 25 volte gli impianti oggi esistenti in Sardegna. Risultano installati (2023) impianti energetici a combustibili fossili per MW 2.365 di potenza installata e impianti energetici da fonti rinnovabili per MW 3.660. La produzione energetica a intermittenza degli impianti rinnovabili fa si che, pur avendo una potenza installata ben superiore, producano meno gigawattora (GWh).
Dobbiamo considerare, poi, che la Sardegna continua a produrre ben più energia di quanto serva a livello regionale, il resto lo esporta: nel 2023 (ultimi dati disponibili, Terna statistiche regionali, 2023) sono stati prodotti 12.563,1 gigawattora (GWh), di cui 8.621,6 derivanti dal termoelettrico; 1.935,6 dall’eolico; 1.520,9 dal solare; 483,5 dall’idroelettrico; 1,5 da impianti di accumulo. Tuttavia, il fabbisogno regionale non ha superato i 7.636,9 GWh e ben 3.508,3 GWH sono stati esportati verso la Penisola. Si verificano perdite per 507,8 GWh. L’esportazione di energia è pari al 27,92% di quella prodotta.
Un’overdose di energia che non potrebbe esser consumata sull’Isola (che già oggi ha circa il 38% di energia prodotta in più rispetto al proprio fabbisogno), non potrebbe esser trasportata verso la Penisola (quando entrerà in funzione il Thyrrenian Link la potenza complessiva dei tre cavidotti sarà di circa 2 mila MW), non potrebbe esser conservata (a oggi gli impianti di conservazione approvati sono molto pochi e di potenza estremamente contenuta).
Questo è il frutto di un’assenza completa di qualsiasi decente pianificazione, il Far West che tanto piace agli speculatori energetici e ai fiancheggiatori dell’ambientalmente corretto.
Chi guadagna dal Far West attuale.
Alla luce dell’attuale situazione, solo gli sprovveduti per il clima e i mezzi di informazione acritici possono parlare di guerra in corso alle energie rinnovabili in Italia.
La guerra – sacrosanta e doverosa per chiunque abbia un po’ di buon senso – è contro la speculazione energetica arrembante nel povero Bel Paese.
Gli unici che guadagneranno in ogni caso dalla transizione energetica realizzata in questo modo farraginoso e autolesionista saranno le società energetiche, che – oltre ai certificati verdi d’un tempo e alla relativa commerciabilità, nonchè agli altri incentivi (una stima, purtroppo necessariamente imprecisa, vede incentivi complessivi per oltre 400 miliardi di euro fra il 2010 e il 2030) – beneficiano degli effetti economici diretti e indiretti del dispacciamento, il processo strategico fondamentale svolto da Terna s.p.a. per mantenere in equilibrio costante la quantità di energia prodotta e quella consumata in Italia: In particolare, riguardo gli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili, “se necessario, Terna invia specifici ordini per ridurre o aumentare l’energia immessa in rete alle unità di produzione”, ma l’energia viene pagata pur non utilizzata.
I costi del dispacciamento sono scaricati sulle bollette degli Italiani.
Inoltre, la Commissione europea – su richiesta del Governo Italiano – ha recentemente approvato (4 giugno 2024) un regime di aiuti di Stato “volto a sostenere la produzione di un totale di 4 590 MW di nuova capacità di energia elettrica a partire da fonti rinnovabili”. In particolare, “il regime sosterrà la costruzione di nuove centrali utilizzando tecnologie innovative e non ancora mature, quali l’energia geotermica, l’energia eolica offshore (galleggiante o fissa), l’energia solare termodinamica, l’energia solare galleggiante, le maree, il moto ondoso e altre energie marine oltre al biogas e alla biomassa. Si prevede che le centrali immetteranno nel sistema elettrico italiano un totale di 4 590 MW di capacità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. A seconda della tecnologia, il termine per l’entrata in funzione delle centrali varia da 31 a 60 mesi”.
Il costo del regime di aiuti in favore delle imprese energetiche sarà pari a 35,3 miliardi di euro e, tanto per cambiare, sarà finanziato “mediante un prelievo dalle bollette elettriche dei consumatori finali”.
Un’overdose di energia potenziale che non potrebbe esser nemmeno esser consumata. Significa energia che dovrà esser pagata dal gestore unico della Rete (cioè soldi che usciranno dalle tasse dei contribuenti).
Qual è il quadro normativo vigente.
Il quadro normativo vigente prevede che, ai sensi dell’art. 20, comma 1°, del decreto legislativo n. 199/2021 e s.m.i., con decreti del Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica siano approvati principi e criteri per la aree idonee per l’installazione degli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili, poi puntualmente resi esecutivi in sede regionale con provvedimenti legislativi e regolamentari ai sensi del comma 4° del medesimo art. 20 (direttiva n. 2018/2001/UE, art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53).
I provvedimenti relativi alle c.d. aree idonee provvedono a
a) dettare i criteri per l’individuazione delle aree idonee all’installazione della potenza eolica e fotovoltaica indicata nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), stabilendo le modalità per minimizzare il relativo impatto ambientale e la massima porzione di suolo occupabile dai suddetti impianti per unità di superficie, nonché dagli impianti a fonti rinnovabili di produzione di energia elettrica già installati e le superfici tecnicamente disponibili;
b) indicare le modalità per individuare superfici, aree industriali dismesse e altre aree compromesse, aree abbandonate e marginali idonee alla installazione di impianti a fonti rinnovabili.
Lo stesso art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 e s.m.i. ha disposto che “le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee” (art. 20, comma 7°, del decreto legislativo n. 199/2021 e s.m.i.) e che, “nelle more dell’individuazione delle aree idonee”, sono ritenute tali una serie di siti già compromessi (cave dismesse non ripristinate, aree ferroviarie, autostradali e aeroportuali, ecc.) ovvero, in via esemplificativa, aree agricole contigue a zone industriali e autostradali (art. 20, comma 8°, del decreto legislativo n. 199/2021 e s.m.i.).
Lo scorso 7 giugno 2024 la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano aveva siglato specifica “intesa, ai sensi dell’articolo 20, comma 1, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, sullo schema di decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministro della cultura e con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, recante ‘Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili’ (PNRR – M2C2, Riforma 1.1)”. Recepite alcune osservazioni dell’A.N.C.I. e alcune proposte integrative avanzate dalla Regione autonoma della Sardegna, fatte proprie dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, e si era giunti alla sottoscrizione dell’intesa prevista, poi è stato promulgato il D.M. Ambiente 21 giugno 2024 (Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili), pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica del 2 luglio 2024, portando a compimento il processo di formazione della normativa in materia.
In seguito al ricorso avverso il D.M. 21 giugno 2024 proposto da A.N.E.V. e varie società energetiche davanti al T.A.R. Lazio, era giunta la decisione cautelare dei Giudici amministrativi di appello: con l’ordinanza Cons. Stato, Sez. IV, 14 novembre 2024, n. 4304 il Consiglio di Stato ha ritenuto di “accogliere la domanda di sospensione del decreto impugnato limitatamente alla sola norma dell’art. 7 comma 2 lettera c), che alle Regioni dà la ‘possibilità di fare salve le aree idonee di cui all’art. 20, comma 8” del decreto 199/2021’”, in quanto l’art. 20, comma 8°, del decreto legislativo n. 199/2021 e s.m.i. “già elenca le aree contemplate come idonee” e, quindi, “in tale disciplina di livello primario non sembra possa rinvenirsi spazio per una più restrittiva disciplina regionale”.
Tuttavia – e non potrebbe essere diversamente – lo stesso Collegio si era premurato di ricordare che permane “l’esercizio da parte della Regione dell’autonomia legislativa che le spetta in base alla Costituzione, dovendo solo in proposito tenersi conto della sospensione della norma del decreto ministeriale operata con quest’ordinanza”
Concludeva affermando che “il D.M. 21 giugno 2023 va sospeso limitatamente alla sola norma dell’art. 7, comma 2, lettera c), che alle Regioni dà la ‘possibilità di fare salve le aree idonee di cui all’art. 20, comma 8” del decreto 199/2021 chiarendosi che tali aree rimarranno disciplinate dall’art. 20 comma 8 del d. lgs. 199/2021 stesso sino al termine di efficacia di quest’ordinanza”, cioè fino “alla pubblicazione della sentenza di merito che il Giudice di primo grado pronuncerà all’esito del procedimento, per cui l’udienza pubblica del 5 febbraio 2025 è già fissata”.
La sentenza T.A.R. Lazio, RM, Sez. III, 13 maggio 2025, n. 9155 ha annullato l’art. 7, commi 2 e 3, del D.M. 21 giugno 2024 e disposto la revisione dei “criteri per la individuazione delle aree idonee e non idonee alla installazione di impianti a fonti rinnovabili”, nonché l’individuazione entro 60 giorni di “una disciplina per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, nonché delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attività culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilità delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonché tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa”, suddividendo (art. 5, comma 1, lettera a, n. 1, della legge n. 53/2021 e s.m.i.) le necessità degli aumenti di potenza fra le regioni e le province autonome a cui è assegnato il “processo programmatorio di individuazione delle aree idonee”, salvo procedura sostitutiva (art. 41 della legge n. 234/2012 e s.m.i.) qualora non provvedessero.
Una pronuncia, quindi, che, qualora non impugnata in appello, va a rivedere il bilanciamento dei poteri in materia e a determinare una revisione del D.M. 21 giugno 2024.
Tuttavia, non si può tralasciare il fatto – ben presente al Consiglio di Stato che si espresse in sede cautelare (vds. ordinanza Cons. Stato, Sez. IV, 14 novembre 2024, n. 4304) – che “le Regioni sono tenute a provvedere con un atto legislativo, ancorché di contenuto sostanzialmente amministrativo. Quest’atto, come è ben noto, è sindacabile soltanto avanti la Corte costituzionale, nei limiti previsti per questo rimedio, che non sono esattamente sovrapponibili a quelli consentiti dall’ordinaria impugnazione di un atto amministrativo” Inoltre, si deve ricordare che, nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome “non sono ammissibili vincoli puntuali e concreti” discendenti da linee guida quali il D.M. 21 giugno 2024 e il suo futuro atto di correzione integrativa (Corte cost. n. 275/2011 e Corte cost. n. 224/2012).
A titolo di esempio, la Regione autonoma della Sardegna – ma le altre Regioni e Province autonome sono in situazioni analoghe – vanta competenze primarie di fonte statutaria in materia urbanistica (art. 3, comma 1°, lettera f, della legge cost. n. 3/1948 e s.m.i., statuto speciale per la Sardegna), nonchè quelle concorrenti in materia di energia (art. 117, comma 3°, cost.), per cui al Legislatore regionale sardo sono consentiti ampi margini di discrezionalità nell’individuazione di aree idonee e inidonee per ragioni di tutela paesaggistica e storico-culturale, come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza costituzionale, secondo cui “l’attribuzione allo Stato della competenza a porre i princìpi fondamentali della materia ‘energia’ non annulla quella della Regione Sardegna a tutelare il paesaggio, così come la competenza regionale in materia paesaggistica non rende inapplicabili alla medesima Regione i princìpi di cui sopra”, potendosi ben “ipotizzare particolari limitazioni alla diffusione dei suddetti impianti” in quanto “ove la scelta (delle aree non idonee, n.d.r.) debba essere operata da Regioni speciali, che possiedono una competenza legislativa primaria in alcune materie … l’ampiezza e la portata delle esclusioni deve essere valutata non alla stregua dei criteri generali validi per tutte le Regioni, ma in considerazione dell’esigenza di dare idonea tutela agli interessi sottesi alla competenza legislativa statutariamente attribuita” (Corte cost. n. 224/2012).
Attualmente risultano ancora poche Regioni ad aver affrontato il processo normativo sull’ubicazione dei nuovi impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili:
* la Regione autonoma della Sardegna ha approvato la legge regionale Sardegna 5 dicembre 2024, n. 20 (Misure urgenti per l’individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all’installazione e promozione di impianti a fonti di energia rinnovabile (FER) e per la semplificazione dei procedimenti autorizzativi), in seguito impugnata dal Governo davanti alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzioni (art. 127 Cost.);
* la Regione Friuli – Venezia Giulia ha approvato la legge regionale Friuli – Venezia Giulia 4 marzo 2025, n. 2 (Norme per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili sul territorio regionale), non impugnata dal Governo;
* la Giunta regionale della Puglia ha approvato il disegno di legge n. 222 del 23 ottobre 2024 “Individuazione delle superfici e delle aree per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili in attuazione dell’art. 20, comma 4, del dlgs 8/11/21, n.199 e dell’art.3, comma 1, del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica del 21/06/24 (Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili)” (referto tecnico, analisi tecnica normativa), riguardo cui ha avviato una consultazione pubblica;
* la Giunta regionale della Toscana ha approvato (deliberazione GR n. 2 del 2 dicembre 2024) la proposta di legge regionale “Disciplina per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti di produzione di energia a fonte rinnovabile in attuazione dell’articolo 20, comma 4, del d.lgs. 199/2021” (+ redazione illustrativa, relazione tecnico-normativa, relazione tecnico-finanziaria, scheda aiuti di Stato, allegato 1);
* la Giunta regionale dell’Abruzzo ha approvato il disegno di legge regionale n. 45 del 4 dicembre 2024 “Misure urgenti per l’individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all’installazione e promozione di impianti a fonti di energia rinnovabile e per la semplificazione dei procedimenti autorizzativi“.
Le proposte di legge sono assegnate per l’istruttoria alle Commissioni consiliari competenti dei rispettivi Consigli regionali.
In ogni caso, gli obblighi di fideiussione (art. 1936 cod. civ.) in capo ai soggetti realizzatori degli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili, per cautelarsi nei confronti di eventuali problematiche gestionali e in sede di ripristino ambientale.
In ogni caso, trovano applicazione i vincoli temporanei vigenti fino all’adozione delle norme d’individuazione delle aree idonee e inidonee all’ubicazione di impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili: l’art. 6, comma 1°, del decreto-legge n. 50/2022, convertito con modificazioni e integrazioni nella legge n. 91/2022, in relazione all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili ha individuato una “fascia di rispetto … determinata considerando una distanza dal perimetro di beni sottoposti a tutela di sette chilometri per gli impianti eolici e di un chilometro per gli impianti fotovoltaici”. Successivamente, con l’art. 47, comma 1°, del decreto-legge n. 13/2023, convertito con modificazioni e integrazioni nella legge n. 41/2023, la fascia di tutela è stata ridotta a “tre chilometri” per gli impianti eolici e a “cinquecento metri” per gli impianti fotovoltaici.
Si tratta di fasce di rispetto dal limite delle zone tutelate con vincolo culturale (artt. 10 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e/o con vincolo paesaggistico/ambientale (artt. 136 e ss. e 142 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), per cui è fondamentale, per esempio, l’incremento dei provvedimenti di vincolo culturale da parte del Ministero della Cultura in presenza di beni di proprietà privata (vds. T.A.R. Sardegna, Sez. I, 29 maggio 2024, n. 414).
Inoltre, non possono esser destinati legittimamente a sede di impianti energetici le aree appartenenti ai demani civici (legge n. 1766/1927 e s.m.i., legge n. 168/2017 e s.m.i., regio decreto n. 332/1928 e s.m.i.), perchè il regime giuridico delle terre collettive “resta quello dell’inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale” (art. 3, comma 3°, della legge n. 168/2017 e s.m.i.).
Inoltre, è bene ricordare che in Sardegna fin dall’entrata in vigore del piano paesaggistico regionale (P.P.R. – 1° stralcio costiero, esecutivo con D.P.RAS n. 82 del 7 settembre 2006), “negli ambiti di paesaggio costieri … è comunque vietata la realizzazione di centrali eoliche e di trasporto di energia di superficie” (art. 112 delle N.T.A.).
Che cosa si dovrebbe fare. Le proposte.
Così come indicato dal quadro normativo, in tutta Italia, fra le aree idonee dovrebbero esser individuate le zone industriali e quelle già degradate, mentre dovrebbe esser privilegiata e incentivata la soluzione relativa al posizionamento di pannelli fotovoltaici sui tetti di edifici pubblici, capannoni, aziende, edifici privati, ecc.
Sarebbe più che sufficiente per le necessità energetiche nazionali.
Si rammenta che lo studio ENEA pubblicato sulla Rivista Energies (N. Calabrese, D. Palladino, Energy Planning of Renewable Energy Sources in an Italian Context: Energy Forecasting Analysis of Photovoltaic Systems in the Residential Sector, 27 marzo 2023) afferma che per sopperire ai fabbisogni energetici dell’intero patrimonio residenziale italiano basterebbe realizzare pannelli fotovoltaici sul 30% dei tetti a uso abitativo.
Per esempio, come afferma e certifica l’I.S.P.R.A. (vds. Report Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2023, Report n. 37/202)), è molto ampia la superficie potenzialmente disponibile per installare impianti fotovoltaici sui tetti, considerando una serie di fattori che possono incidere sulla effettiva disponibilità di spazio (presenza di comignoli e impianti di condizionamento, ombreggiamento da elementi costruttivi o edifici vicini, distanza necessaria tra i pannelli, esclusione dei centri storici).
Dai risultati emerge che la superficie netta disponibile può variare da 757 a 989 km quadrati. In sostanza, si spiega, “ipotizzando tetti piani e la necessità di disporre di 10,3 m2 per ogni kW installato, si stima una potenza installabile sui fabbricati esistenti variabile dai 73 ai 96 GW”. A questa potenza, evidenziano i ricercatori dell’ISPRA, si potrebbe aggiungere quella installabile in aree di parcheggio, in corrispondenza di alcune infrastrutture, in aree dismesse o in altre aree impermeabilizzate; “ipotizzando che sul 4% dei tetti sia già installato un impianto, si può concludere che, sfruttando gli edifici disponibili, ci sarebbe posto per una potenza fotovoltaica compresa fra 70 e 92 GW”.
Qui lastima ISPRA 2023, suddivisa per superfici utili per ogni Comune italiano.
Energia producibile senza particolari impatti ambientali e conflitti sociali.
Ulteriore elemento produttivo – finora non adeguatamente preso in considerazione – è individuabile nella realizzazione di pannelli fotovoltaici lungo le principali arterie stradali (autostrade, superstrade)
Ribadiamo ancora una volta la nostra proposta: dopo aver quantificato il quantitativo di energia elettrica realmente necessario a livello nazionale, sarebbe cosa ben diversa se fosse lo Stato a pianificare in base ai reali fabbisogni energetici le aree a mare e a terra dove installare gli impianti eolici e fotovoltaici e, dopo coinvolgimento di Regioni ed Enti locali e svolgimento delle procedure di valutazione ambientale strategica (V.A.S.), mettesse a bando di gara i siti al migliore offerente per realizzazione, gestione e rimozione al termine del ciclo vitale degli impianti di produzione energetica.
In realtà, la prima cosa necessaria, a breve termine, sarebbe una moratoria nazionale (non regionale, già dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza Corte cost. n. 27/2023), una sospensione di qualsiasi autorizzazione per nuovi impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili per consentire una reale, concreta, effettiva pianificazione energetica e territoriale.
E’ ora che ciascuno di noi faccia sentire la sua voce: firma, diffondi e fai firmare la petizione popolare Si all’energia rinnovabile, no alla speculazione energetica! .
Ormai siamo più di ventunmila ad averlo già fatto.
Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)