Quando il nemico è l’altro

7 Giugno 2016

Wien 26.04.2016, Freiheitlicher Parlamentsklub, Wien, AUT, FPOe, Pressekonferenz nach Sitzung des Bundesparteivorstands mit Thema Praesidentschaftswahl 2016. im Bild FPOe-Praesidentschaftskandidat Norbert Hofer // Candidate for Presidential Elections Norbert Hofer during press conference of the austrian freedom party according to the austrian presidential elections in Vienna, Austria on 2016/04/26. PUBLICATIONxNOTxINxAUT EX_GRU Vienna 26 04 2016 Freiheitlicher Parliamentary Club Vienna AUT FPOE Press conference after Meeting the  with Theme Presidential election 2016 in Picture FPOE Praesidentschaftskandidat Norbert Hofer Candidate for Presidential Elections Norbert Hofer during Press Conference of The Austrian Freedom Party According to The Austrian Presidential Elections in Vienna Austria ON 2016 04 26 PUBLICATIONxNOTxINxAUT EX_GRU

Ignacio Ramonet

Ignacio Ramonet è il direttore della edizione spagnola di Le Monde diplomatique, di cui questo articolo è l’editoriale del numero di aprile. Traduzione di Pierluigi Sullo, pezzo rilanciato da Il manifesto di Bologna.

Il timore è stato grande. E benché alla fine, lo scorso 22 maggio, in Austria, Norbert Hofer, il candidato di estrema destra, non sia stato eletto (per un pelo) presidente della repubblica, ci si deve chiedere quali paure stiano provando gli austriaci perché il 49,7 per cento tra loro abbiano deciso di votare per un neofascista.

“Nella storia delle società – spiega lo storico francese Jean Dulumeau – le paure cambiano, ma la paura resta”. Fino al ventesimo secolo le grandi disgrazie erano causate principalmente dalla natura, dalla fame, il freddo, i terremoti, le inondazioni, gli incendi, e da pandemie epidemiche come la peste, il colera, la tubercolosi, la sifilide. Un tempo gli esseri umani vivevano esposti a un ambiente sempre minaccioso. Le disgrazie li assediavano incessantemente…

La prima metà del ventesimo secolo è stata segnata dal terrore delle grandi guerre, la prima e la seconda guerra mondiale, la guerra civile spagnola. La morte a scala industriale, gli esodi biblici, le distruzioni di massa, le persecuzioni, i campi di sterminio… Dopo la seconda guerra mondiale e la distruzione atomica di Hiroshima e Nagasaki nel 1945, il mondo ha vissuto nella preoccupazione costante di una apocalissi nucleare. Ma questa paura si è estinta poco a poco con la fine della guerra fredda del 1989 e dopo la firma dei trattati internazionali che proibiscono e limitano la proliferazione nucleare.

Tuttavia, l’esistenza di questi trattati non ha fatto scomparire i rischi. L’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl, in particolare, ha riacceso il terrore nucleare. Più di recente ha anche avuto luogo l’incidente di Fukushima, in Giappone. L’opinione pubblica, stupefatta, ha scoperto che anche in un paese noto per la sua alta tecnologia, come il Giappone, venivano violati i principi di base della sicurezza, mettendo così in pericolo la salute e la vita di centinaia di migliaia di persone.

Gli storici delle correnti di opinione si faranno domande, un giorno, sulle paure del nostro decennio (2010-2020). Scopriranno che, oltre al terrorismo jihadista che continua a colpire le società occidentali, le nuove paure sono sia di carattere economico e sociale (disoccupazione, precarietà, licenziamenti di massa, sfratti, nuove povertà, immigrazione, disastri in borsa, deflazione), che di natura sanitaria (virus Ebola, febbri emorragiche, influenza aviaria, chikungunya, zika) o ecologica (squilibri climatici, trasformazioni profonde dell’ambiente, mega-incendi incontrollati, contaminazioni, inquinamenti dell’aria). E tutte queste cause hanno a che fare sia con un ambito collettivo che con un ambito privato.

In questo contesto generale, le società europee vengono particolarmente colpite, sono sottoposte a terremoti e traumi di grande violenza. La crisi finanziaria, la disoccupazione di massa, la fine della sovranità nazionale, la sparizione delle frontiere, il multiculturalismo e lo smantellamento dello stato sociale provocano, nell’animo di molti europei, una perdita di riferimenti e di identità.

Un sondaggio recente, condotto nei sette principali paesi dell’Unione europea dall’Osservatorio europeo dei rischi, constata che il 32 per cento degli europei hanno oggi molta più paura rispetto a cinque anni fa di dover affrontare difficoltà finanziarie: il 29 ha molta più paura di cadere nella precarietà; e il 31 per cento di perdere il lavoro. In Spagna la povertà è aumentata in maniera “allarmante” negli ultimi anni, con 13,4 milioni di persone – così è, il 28,6 per cento della popolazione a rischio di esclusione e di caduta nella miseria… E questi timori fanno nascere un sentimento di declassamento: il 50 per cento degli europei ha la sensazione di trovarsi in una regressione sociale a confronto con i loro genitori.

Così, le nuove paure sono molto diffuse oggi in Europa. La crisi attuale potrebbe ben segnare la fine del predominio europeo nel mondo. Dopo l’arrivo massiccio di centinaia di migliaia di migranti provenienti dal medio oriente (Siria, Iraq) in questi ultimi mesi, la paura di uan “invasione straniera” è aumentata. Si allarga la sensazione di essere minacciati da forze esterne che i governi europei ormai non controllano, come la insorgenza islamica, l’esplosione demografica nel Sud e le trasformazioni socioculturali che potrebbero dissolvere l’identità degli europei.

E tutto questi si dà in un contesto di crisi morale grave nella quale si moltiplicano i casi di corruzione e nel quale la maggior parte di coloro che governano, molto impopolari, assistono allo sfaldamento della loro legittimità. In tutta Europa queste paure e questo “marciume” sono sfruttati dall’estrema destra per fini elettorali. Come ha dimostrato, lo scorso 25 aprile, la vittoria dell’estrema destra nel primo turno del voto presidenziale in Austria. Dove, in più, si è verificato il crollo storico dei due grandi partiti tradizionali (la SPÖ. socialdemocratica, e la ÖVP, democristiana) che avevano governato il paese dal 1945.

Di fronte alla brutalità e al carattere repentino di tanti cambiamenti, in molti cittadini si accumulano le incertezze. Sembra che il mondo diventi opaco e che la storia sfugga a qualsiasi tipo di controllo. Numerosi europei si sentono abbandonati dai loro governanti, tanto di destra come di sinistra, i quali, per di più, sono descritti senza sosta dai grandi mezzo di comunicazione come speculatori, imbroglioni, bugiardi, cinici, ladri e corrotti, Persi in mezzo a un tale vortice, molti cittadini cominciano allora a entrare nel panico e vengono invasi dal sentimento, come diceva Tocqueville, che “dato che il passato ha smesso di rischiarare il futuro, la mente cammina in mezzo alle tenebre”.

In questa caduta di senso sociale e culturale – composta da paure, minacce sul lavoro, sradicamento identitario e risentimento – tornano ad apparire i vecchi demagoghi. Quelli che, sulla base di argomenti nazionalisti, rifiutano lo straniero, il musulmano, l’ebreo, il rom o il nero, e denunciano i nuovi disordini e le nuove insicurezze. I migranti costituiscono i capri espiatori ideali, e i bersagli più facili perché simboleggiano le profonde trasformazioni sociali e rappresentano, agli occhi degli europei più sfavoriti, una concorrenza indesiderabile nel mercato del lavoro.

L’estrema destra è sempre stata xenofoba. Pretende mitigare le crisi indicando un unico colpevole: lo straniero. Questo atteggiamento è sostenuto dalle contorsioni di partiti democratici ridotti a chiedersi sulla quantità di dosi di xenofobia che possono includere nel loro discorso.
Con la recente ondata di odiosi attentati a Parigi e Bruxelles, la paura dell’Islam si è ancora più rafforzata. Vale ricordare che ci sono da 5 e 6 milioni di musulmani in Francia, il paese che ha la comunità islamica più importante d’Europa. E ci sono circa 4 milioni di musulmani in Germania. Secondo un sondaggio recente del quotidiano francese Le Monde, il 42 per cento dei francesi considera i musulmano “come una minaccia”. Il 40 per cento dei tedeschi pensano lo stesso. Nei due paesi, una maggioranza considera che i musulmani non sono integrati nelle loro società di accoglienza. Il 75 per cento dei tedeschi stima che non sono integrati “in assoluto” o che “lo sono appena”. E il 68 per cento dei francesi pensano lo stesso.

Qualche mese fa, la cancelliera tedesca Angela Merkel – che aveva accolto nel suo paese più di 800 mila migranti richiedenti asilo nel 2015 – ha affermato che il modello multiculturale nel quale convivrebbero in armonia differenti culture era “completamente fallito”. E un libretto islamofobo scritto da un dirigente della Banda centrale tedesca, Thilo Sarrazin, che denunciava la mancanza di volontà da parte degli immigranti musulmani nell’integrarsi, è stato un grande successo nelle librerie ed è stato venduto nientemeno che in 1,25 milioni di copie.

Un numero sempre maggiore di europei parla dell’islam come del “pericolo verde”, alla maniera in cui un tempo immaginavano l’avanzata dei cinesi parlando di “pericolo giallo”. La xenofobia e il razzismo stanno aumentando in tutta Europa. Cosa a cui contribuisce senza dubbio il fatto che alcuni musulmani sono lungi dall’essere irreprensibili. Specialmente – in un momento in cui media espongono la brutalità dello Stato islamico, o Daesh, in Iraq e Siria – gli attivisti islamici che approfittano del clima di libertà che regna nei paesi europei per intensificare il proselitismo salafita. Predicano l’indottrinamento dei loro correligionari o dei giovani cristiani convertiti. I più estremisti hanno partecipato alla recente ondata terrorista in Francia e in Belgio.

Nell’ambito politico, sono molti i discorsi drammatici che attizzano la preoccupazione e l’ansia degli elettori. Durante le campagne elettorali è normale imbattersi in discorsi che fanno ricorso all’istinto di protezione degli individui. Si fa appelli abitualmente alla paura. Si tratta di manipolazioni. E, nell’uso di questo sentimento, i populisti di destra – nel contesto della crisi sociale – sono diventati degli esperti. Non solo in Austria. In Francia, per esempio, non c’è un discorso del Fronte nazionale e della sua leader, Marine Le Pen, nel quale non venga menzionata la paura. Le Pen evoca in modo costante le “minacce” che graverebbero sulla sicurezza fisica e sul benessere dei cittadini. E presenta il suo partito, il Fronte nazionale, come uno “scudo di protezione” di fronte a questi “pericoli”.

In tutti i suoi documenti, il Partito della libertà austriaco (FPÖ la sua sigla in tedesco) e il leader Norbert Hofer insistono su un passato idealizzato e su una identità da preservare. Promuovono la paura citando regolarmente un “nemico esterno”, l’Islam, contro il quale la “nazione austriaca” deve opporsi come un blocco. Denunciano l’Altro, lo straniero, come un pericolo per la coesione della comunità nazionale. In tutti i discorsi populisti di destra si trova questa paura dell’Altro che, obbligatoriamente, è il nemico. Si rifiuta l’Altro perché non condivide i valori della “patria eterna”.

I leader delle nuove estreme destre attaccano anche l’Unione europea, accusata di tutti i mali, soprattutto di “porre in pericolo” gli Stati-nazione e i loro popoli. La Ue viene indicata come la colpevole della frammentazione delle nazioni. Menzionando le “tenebre d’Europa”, Norbert Hofer sommerge di inquietudine i suoi ascoltatori. Perché nella cultura occidentale e cristiana le “tenebre” indicano in generale il nulla e la morte. Così il partito di Hofer si presenta come il “salvatore”, che riuscirà a portare la nazione austriaca verso la luce.

La maggior parte dei populisti di destra in Europa provvedono ad amplificare i pericoli e a drammatizzarli. I loro discorsi propongono solo illusioni. Ma in un periodo di dubbi, di crisi, di ansia e di nuove paure come l’attuale, le loro parole riescono a intercettare meglio un elettorato sconcertato e in preda al panico.

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