Amare l’umanità

7 Giugno 2016
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Adriano Sofri

Le righe che seguono hanno il tono enfatico delle motivazioni delle medaglie al valore, o dei racconti mensili del libro Cuore: lo vogliono avere. Ho letto un necrologio di un curdo di Kobane, che diventò famoso per l’eroismo mostrato durante la lunga difesa della sua città. Giovane militante della Unità di Protezione Popolare, YPG, comandante della “Brigata del Sole del Nord”, composta di curdi, arabi e turcmeni, era stato ferito più volte. Una volta, ferito, si batté strenuamente da un balcone di casa, con le stampelle accanto. Il 7 novembre del 2014 un miliziano dell’Isis restò con le gambe imprigionate nelle macerie di un edificio crollato, e Abu Layla andò a soccorrerlo. Gli chiesero perché volesse farlo. “Vogliamo mostrare al mondo che noi amiamo l’umanità, e perciò ci battiamo contro l’Isis che odia l’umanità e semina morte dovunque arrivi. Dunque andiamo a tirarlo fuori da lì, lo curiamo e lo rimandiamo alla sua famiglia”.

Venerdì scorso Abu Layla è stato colpito alla testa da un cecchino dell’Isis mentre partecipava a una controffensiva a guida araba verso Raqqa, a Manbij, lungo il confine fra Siria e Turchia, è stato trasportato a Suleimanyah ed è morto domenica. Durante la resistenza di Kobane aveva scritto una lettera a sua figlia Layla: “…Spetta a noi operare e lottare per il tuo futuro e quello di tutti i bambini come te. Quando sarete grandi, non dovrete dire che i vostri padri e nonni non hanno fatto niente per voi… Noi continueremo la nostra rivoluzione fino alla libertà piena del paese che amiamo, la Siria. Oh mia dolce Layla, sappi che sarai orgogliosa di tuo padre, che io sia un uomo vivo o un martire. I miei baci a te”.

Non so se questa piccola storia arriverà alla grande informazione italiana. C’è un’epopea dei combattenti curdi, specialmente nel Rojava, seguita e coltivata da tempo da associazioni, gruppi, centri sociali italiani della sinistra cosiddetta radicale, affiorata all’attenzione del grande pubblico grazie alla storia di Zerocalcare. E c’è una distrazione, o una misconoscenza, nei media “mainstream”. Io non so di Abu Layla se non quello che ne leggo in morte. Ma se c’è ancora qualcuno che merita d’esser ricordato con una lingua da medaglia al valore o da racconto mensile del libro Cuore, tanto di cappello.

Da Conversazione con Adriano Sofri

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