Riflessioni sull’Onda (1)

1 Dicembre 2008

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Vincenzo Pillai

Con l’assemblea generale del movimento il 29 ottobre e la manifestazione sindacale del 30 si è chiusa una fase che ha visto il governo approvare, in Agosto, la manovra dei tagli (non solo all’università) e il 29 ottobre la legge Gelmini sulla scuola. Questa fase è stata caratterizzata, a Cagliari, da un avvio lento del movimento con la prima grande assemblea indetta dai lavoratori precari di alcune facoltà (metà settembre) e nei giorni successivi dalla formazione di gruppi di studenti in tutte le facoltà con la scesa in campo progressiva di quasi tutti gli istituti. È stata una fase di crescita lenta ma costante di cui i mass-media locali per una settimana hanno cercato di non dare notizia, spiegabile non solo con l’interesse suscitato dalla vicenda Alitalia ma, probabilmente, anche con il tentativo di non facilitare la crescita del movimento. Il rapporto positivo instaurato in alcune facoltà fra studenti e docenti ha permesso la pratica di forme nuove di intervento nel sociale (le lezioni all’aperto, nelle piazze o in luoghi significativi della città ) ed ha costruito un dialogo intergenerazionale che ha permesso di mettere bene in luce che i due provvedimenti governativi non costituiscono un attacco, a questa o quella fascia di operatori e di utenti, ma un progetto complessivo orientato alla dequalificazione della scuola pubblica aprendo così, in modo non sempre esplicito, varchi allo sviluppo della scuola privata a tutti i livelli. È interessante osservare come vi siano state esperienze significative ed originali anche nelle scuole elementari fino alla loro occupazione e come, invece, abbia risposto con grande ritardo il movimento degli studenti medi esploso, però, nell’ultima settimana con una partecipazione fortissima alla manifestazione del 30 ottobre. Tutta questa fase è caratterizzata da alcune parole d’ordine ampiamente condivise a livello di massa:
1-NO alle leggi del governo perché rappresentano un progetto complessivo di attacco alla scuola pubblica all’interno di un disegno di privatizzazione;
2-NO alla presenza dei partiti nel movimento per dimostrarne la non-strumentabilità.
Sul primo punto si è aperto subito un conflitto con gli studenti eletti nelle liste di centrodestra che hanno tentato, senza successo, di raccogliere firme contro ogni forma di lotta che potesse mettere a repentaglio le lezioni, gli esami, l’anno accademico, sfruttando i bisogni reali di alcuni e il rampantismo di altri.
1) Il movimento ha superato abbastanza agevolmente questo contrasto e ha avviato la messa in discussione della rappresentanza effettiva di coloro che erano stati eletti nelle ultime elezioni, senza però avviare un confronto approfondito sui modi della rappresentanza. E’ probabile che ciò avverrà nella fase che si sta aprendo, anche perché vi è la scadenza istituzionale delle nuove elezioni universitarie. Su questo punto è stata anche immediata la saldatura fra interessi, anche materiali, dei precari dell’università e dei maestri in odore di licenziamento, con il movimento degli studenti e con gli interessi delle famiglie, sia per la riduzione del tempo pieno alle elementari, sia per il prevedibile aumento delle tasse universitarie, sia per la perdita di ogni speranza di lavoro sicuro per tutta quella fascia di precariato che fa oggi andare avanti la scuola. Su questo punto abbiamo assistito anche a prese di posizione contro i provvedimenti da parte di consigli di facoltà, di rettori e dei loro organismi. La rabbia con cui, negli ultimi giorni di ottobre, il governo ha attaccato i “baroni” dell’università è la dimostrazione dell’affidamento che pensava di poter fare su di essi per perseguire un’ampia operazione politica, economica e culturale, avviata già da Berlinguer. Mi è parso che il movimento, anche senza una discussione approfondita, di merito, su come l’università sia stata gestita dai “baroni” (della cui esistenza e del cui potere familistico nessuno dubita), abbia colto la necessità e la possibilità della propria autonomia ponendo, più o meno consapevolmente, un ordine di priorità: “prima salviamo la scuola pubblica contro l’azione del governo, dopo discuteremo di come governare l’università. Per intanto, se i “baroni” non si schierano col governo, tanto meglio.” Ciò che, forse, Berlusconi non aveva previsto è che, mentre nel ’68 la saldatura tra gli studenti e pochi insegnanti progressisti era avvenuta su base ideologica, oggi la condizione materiale della massa di precari che lavora nell’università  ne costituisce un soggetto sociale che, prima di qualunque altra discussione, deve difendere la propria prospettiva di lavoro e di vita. Mi sembra di poter dire che, rispetto al ‘68, sono proprio le basi materiali dei soggetti in campo ad essere diverse, non solo per quanto detto sui lavoratori della scuola, ma anche per gli studenti che provengono oggi da famiglie (anche quelle con un reddito fisso) la cui condizione materiale è in rapido declino. Basti pensare che: nel ’68 avveniva ancora un processo di accumulazione del risparmio familiare, mentre oggi si dilata in maniera esponenziale il debito;. che nel ’68 gli studenti lavoratori non erano la parte più consistente ed erano per lo più impegnati in supplenze nella scuola o in lavori stagionali in agricoltura o nel turismo; si sono aggiunti oggi, a queste figure, migliaia di studenti impegnati nei call-center o, comunque in lavori meno remunerativi e sindacalmente meno protetti, di quelli vissuti dai loro padri. Va da sé che questa distinzione non è esaustiva delle differenze fra i due movimenti; qui  voglio sottolineare  che non dare il giusto peso al dato materiale esaminato  potrebbe portare a gravi errori politici nella fase che si apre.
2) La scelta di apartiticità fatta dal movimento è stata facilitata dalla impossibilità dei partiti e dei docenti di centro destra di trovare argomentazioni valide per un confronto in difesa delle scelte del governo, per cui il loro messaggio è stato affidato quasi esclusivamente ai mass media; è stata facilitata anche dall’imbarazzo dei partiti di centro-sinistra perché, da un lato, il processo di “riforma”, attraverso razionalizzazioni e tagli, era stato avviato proprio da Giovanni Berlinguer e perché, d’altro lato, Rifondazione Comunista e PdCI risentono pesantemente del ruolo subalterno  svolto nell’ultimo governo e del conseguente disastro  elettorale. È così passata facilmente la parola d’ordine che la lotta è politica ma senza i partiti dove l’acquisizione, a livello di massa, della politicità della lotta è, certamente,  una grande conquista ma l’esclusione del confronto diretto con i partiti (che , comunque, non potrà durare oltre questa fase), rischia di rafforzare tendenze al qualunquismo ed a proporre una fittizia unità del movimento che, nascondendo la molteplicità e diversità delle soluzioni possibili, non risulterebbe culturalmente attrezzato all’offensiva che il governo e le forze disponibili al compromesso metteranno in campo. La cosa è facilitata anche dal fatto che il PD appare sui mass-media come unica forza di opposizione in parlamento e può quindi giocare sottilmente il ruolo di chi, ascoltando il movimento, ne porterà in sede istituzionale le esigenze, nell’ambito della richiesta dell’apertura di un confronto in vista della finanziaria 2009. ma è improbabile che il movimento  dia una delega di questo tipo.

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