Sardofascismo 2.0

1 Febbraio 2018
[Andria Pili]

L’alleanza fra PSdAz e Lega Nord per le prossime legislative sarebbe, nelle parole del segretario sardista Christian Solinas, non un «accordo elettorale» ma «culturale» basato su «autonomia e lavoro, identità, cultura e tradizione», per porre fine «al rapporto di sudditanza con lo Stato». Le reazioni interne al Partito, ostili all’accordo, pongono dei dubbi legittimi sulla democraticità della scelta di collaborare con il Carroccio. Tuttavia, non si può pensare che questa sia il frutto di un «golpe» del segretario – in cerca di un posto blindato per il Parlamento – e non la degenerazione annunciata di un partito, la cui azione non ha la sua ragione negli interessi della maggioranza del popolo sardo ma in quelli di un grumo di notabili ed esponenti del ceto politico il cui scopo è la salvaguardia di rendite di posizione. Basta dare un’occhiata a buona parte degli eletti del PSdAz nelle istituzioni per capire come i loro candidati vengano selezionati più sulla loro forza in termini di relazioni personali e clientelari, più che sul loro impegno indipendentista. Solo con una simile bussola è possibile concludere un’alleanza del tutto incoerente con l’obiettivo dell’emancipazione sarda, come quella decennale con il centrodestra in Regione.

Già una volta il PSdAz si lacerò di fronte ad un accordo con un partito sciovinista italiano: il Partito Nazionale Fascista. Diversi suoi esponenti siglarono un patto con il prefetto Gandolfo, rappresentante del Duce, nel 1923, fondendosi nel PNF e dando vita al «sardofascismo». Al di là della questione antifascista, su come il Partito abbia tradito il suo patrimonio storico – comune ad ogni sardo democratico – confrontare passato e presente è utile per riflettere sul problema politico che viene posto: la politica delle alleanze tra sardismo e organizzazioni italiane. Il fascismo dei primi anni’20, come la Lega oggi, era un movimento fondato sul Nord Italia, occultante la difesa degli interessi del capitale e la sua missione restauratrice con una retorica populista reazionaria, revanscista, razzista, capace di farle recepire il consenso di una parte di classe media insoddisfatta per il peggioramento delle proprie condizioni di vita. Il rapporto tra PNF e PSdAz era, in pratica, fra lo Stato centrale e i rappresentanti della Sardegna, in cui il primo cercava di accreditarsi come portatore di migliorie per l’isola (Legge del Miliardo o l’autonomia). I sardofascisti si giustificarono affermando non solo che il fascismo fosse una rottura con la vecchia classe dirigente ma anche con un malinteso senso di pragmatismo, piuttosto diffuso anche oggi: con la fusione il programma sardista si sarebbe realizzato rapidamente.

Pili e Solinas, sono accomunati, se non dall’opportunismo, dalla miopia politica: l’incapacità di vedere la reale base sociale reazionaria del potere dei propri alleati politici. Pili, dotato di un progetto economico più articolato della «economia dell’identità» di Solinas, realizzò le cooperative che avrebbero dovuto abbattere i monopoli, specie caseari, rafforzando il potere contrattuale di pastori e contadini. Tuttavia, vissero poco, dato che Mussolini – in continuità con i suoi predecessori – proseguì la politica volta a conciliare gli interessi del capitale settentrionale con quelli della classe dominante nelle periferie. La rivalutazione della lira fu il primo ostacolo alle esportazioni delle cooperative sarde, poi abbattute con l’allontanamento di Pili, sconfitto dalla fazione più conservatrice del PNF sardo, legata a quel blocco di potere che il Regime non aveva alcuna intenzione di abbattere. La Legge del Miliardo sarà ugualmente neutralizzata dalla resistenza dei proprietari terrieri sardi, ostili alle società che avrebbero dovuto compiere le bonifiche e l’elettrificazione delle campagne; inoltre, ben lungi dall’aver abbattuto il clientelismo, il fascismo ne inaugurò la nuova fase, basata sul potere di un partito-Stato nella distribuzione dei fondi pubblici.

Dalla tragedia alla farsa: Salvini, volendo conquistare il governo, considera il PSdAz «la voce del popolo sardo» e seduce i tifosi di Solinas con un eloquio regionalista che nasconde un programma lesivo ai sardi, nei loro diritti nazionali e sociali. I punti chiave del programma leghista sono due: la flat tax e l’antieuropeismo. La prima aumenterebbe ulteriormente la diseguaglianza sociale; il secondo colpisce al cuore la tradizione del pensiero sardista, che ha sempre concepito il federalismo come necessario per slegarsi dalla nefasta influenza delle politiche governative. È chiaro come un’uscita dall’UE da Destra, con il pieno ripristino della sovranità statale italiana, sarebbe catastrofica per la Sardegna che, anche grazie al processo europeista, ha accresciuto la sua coscienza nazionale e la volontà di autodeterminarsi contro uno Stato centrale avvertito sempre più come distante e nemico. Nel programma del Centrodestra la proposta federalista è sempre più sbiadita – un «federalismo responsabile» riducente il diritto democratico dei popoli all’autodeterminazione in un premio elargito dallo Stato – e si chiede un adeguamento della spesa bellica alla media occidentale, chiudendo i margini per una revisione dell’occupazione militare in Sardegna.

Il passato sostegno alle politiche neoliberali (precariato del lavoro e riforme universitarie) rivela come la Lega Nord non sia la forza di cambiamento che pretende di essere. Il suo responsabile economico, Claudio Borghi, a Cagliari mostrò la continuità leghista con il neocolonialismo: “la Sardegna potrebbe essere il granaio, l’allevamento (…) in cui produrre roba sana per l’Italia”; “la Sardegna può diventare il traino dell’Italia”. Insomma, la nostra isola è vista sempre come funzionale all’Italia; le proposte specifiche (zona franca e un fantomatico centro di ricerca) sono mosse dall’idea che l’isola dovrebbe attirare gli investimenti stranieri/italiani, divenendo un luogo in cui, per altri, sia conveniente produrre.

Il sovranismo salviniano è la nuova versione dello sciovinismo italiano, analogo al protezionismo contro cui insorse, nell’ultimo quarto del XIX secolo, il pensiero sardista-autonomista, di fronte al disastro che tale politica aveva creato nell’isola. La questione sarda non può essere risolta senza affrontare i suoi nodi sociali ed economici. La dipendenza è legata alla distribuzione del potere politico, economico, sociale interno quanto esterno. La volontà di mutare i rapporti sociali esistenti è lo spartiacque fra un progetto sardista coerente ed uno incoerente, condannato alla sconfitta o alla riproposizione, entro uno Stato sardo, dei medesimi rapporti di oppressione. L’unico modo per emancipare la Sardegna è la lotta di massa contro il potere politico-economico italiano e la classe politica sarda, sua mediatrice; a questo fine la Lega Nord è assolutamente inutile e – al governo – sarebbe un nemico, come ogni partito che non intende abbattere lo stato di cose presente.

2 Commenti a “Sardofascismo 2.0”

  1. Piero Atzori scrive:

    Tra la lacerazione del P.S.D’A. del 1923, in epoca fascista, e quella che certamente seguirà all’alleanza tra P.S.D’A. e la Lega di Salvini (ci si augura quella dell’accabamentu), ne va citata un’altra. Quella degli anni settanta con il P.C.I., che, forse, potremmo definire SardoComunismo. Era, è vero, un patto solo strumentale, per entrambi, ed elettoralistico, ma deleterio e mortifero per il P.S.D’A. e per l’Isola quanto gli altri. Il P.C.I., da alleato, lavorò contro le istanze del nostro popolo. Contro la Zona Franca e contro la lingua sarda. Sulla lingua sarda occorre aggiungere che neppure il P.S.D’A. era convinto andasse tutelata e promossa, almeno agli inizi. Infatti non collaborò, tranne singoli esponenti, né alla raccolta di firme in calce alla proposta di legge popolare per il bilinguismo, né a garantire il rispetto di quel mandato popolare.

  2. Maurizio Matreo Guccione scrive:

    La lotta di massa sarebbe. Magari vi fossero uno o più soggetti in grado di organizzarla. Viviamo, invece, nella desolazione più completa e all’agire per una rivendicazione sociale, culturale e politica, si frappone una sorta di impotenza. Anche ideologica, purtroppo. La Sardegna vive i propri tormenti, aggravatisi da rappresentanti politici che hanno tradito le istanze originarie. Il cortocircuito totale è questo accordicchio con la Lega. Che fa inorridire come il rigurgito fascista che si presenta anche nei luoghi che hanno dato vita all’Italia antifascista. Da dove ricominciamo? Perchè la lotta di massa la auspico, nel frattempo la Sardegna piange, l’Italia non ride e in America hanno quel simpaticone di presidente.
    Maurizio Matteo Guccione

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