Scuole pubbliche e private

1 Giugno 2013
Gianfranca Fois
Il referendum di Bologna apparentemente può essere considerato un fatto locale ma in realtà ha una tale carica simbolica e investe un problema così importante che deve indurci a riflettere seriamente sui problemi del presente e sul futuro che vogliamo. Anzitutto è bene ricordare che l’idea di indire un referendum consultivo, e quindi senza problema di quorum, è nata da un gruppo di genitori che si era visto respingere la domanda di ammissione alla scuola dell’infanzia comunale e statale dei propri figli (423) per mancanza di posti. Con notevoli sacrifici per tutti (forte aumento bambini per classe, nuove sezioni però part-time) una gran parte fu poi accontentata. Rimasero comunque fuori 103 bambini che si cercò di dirottare nelle scuole private tutte, meno una, cattoliche.
Non entro nel merito delle ragioni addotte per giustificare il contributo di un milione di euro alle scuole private, sia da parte del Pd che compone a maggioranza la giunta comunale, sia da parte delle autorità ecclesiastiche e cioè che in questo modo ci sarebbe  un onere di spesa inferiore per il comune, altri hanno dimostrato la falsità di queste affermazioni. Il problema è un altro e mette in evidenza un attacco ai diritti costituzionali dei cittadini.
In primo luogo infatti delle famiglie vengono costrette a mandare i propri figli in scuole religiose per necessità e non per libera scelta. In secondo luogo mentre aumentano gli stanziamenti alle scuole private, ormai da diversi anni vengono tagliati quelli per le pubbliche.
In questo modo viene portato un ulteriore duplice attacco al diritto allo studio perché da una parte per frequentare istituti privati bisogna pagare una retta, e questo moltissime famiglie non se lo possono permettere, e dall’altra la diminuzione continua di risorse alla scuola pubblica fa sì che l’offerta formativa ne risenta pesantemente determinando la formazione di scuole di serie A, la privata, per gli studenti delle famiglie più ricche e una scuola di serie B, la pubblica, per quelli delle famiglie più disagiate.
Insomma una scuola di classe in netto contrasto con quanto afferma la nostra Costituzione che prevede l’uguaglianza di tutti i cittadini, uguaglianza non formale ma sostanziale dal momento che nell’articolo 3 la Repubblica è chiamata a rimuovere tutti gli ostacoli economici e sociali che potrebbero limitarla.
E’ necessario poi rileggere l’articolo 33 che in modo chiaro concede la possibilità di istituire scuole private ma  senza “oneri per lo stato”, con la legge 62 del 2000 però ci si è disinvoltamente passato sopra, proprio durante il governo Prodi, per motivi probabilmente di ordine politico e di alleanze.
Nei successivi governi Berlusconi  questa legge si è inserita nel progetto di affossare la scuola pubblica a totale vantaggio di quella privata, tema caro all’ideologia neoliberista  come hanno ben dimostrato Luciano Gallino in Italia e il gruppo degli “economisti sgomenti” in Francia, e che il  centrosinistra italiano, privo ormai dei valori fondanti della propria storia, ma subalterno all’ideologia imperante, ha accettato.
Eppure se leggiamo la discussione che ebbe luogo all’interno della prima commissione dell’Assemblea Costituente nel 1946 ci rendiamo conto che, nonostante la lunga discussione e le disparità di vedute tra i due relatori Concetto Marchesi per il PCI e Aldo Moro per la DC, il ragionamento che li accomunava era proprio che  l’ organizzazione dell’istruzione deve essere diritto e dovere dello Stato, fermo restando che viene  riconosciuta la libertà di apertura di scuole ad opera di privati senza però alcun sussidio da parte dello Stato, proprio per evitare si crei una concorrenza sleale.
Fu quindi ben chiarito sia da Marchesi che da Moro  che la scuola privata non deve nascere  “per colmare una lacuna nell’insegnamento pubblico”, lacuna che non deve esistere.
Per questo motivo la presa di posizione del ”Gruppo 33” di Bologna è importante soprattutto in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando accompagnato da disuguaglianze sempre più forti, e per quanto riguarda la scuola con un’ alta dispersione, con fondi così ridotti alla scuola pubblica che spesso i genitori sono costretti a provvedere di persona alle necessità più elementari.
Restituire le sovvenzioni alla scuola pubblica e anzi investire sempre maggiori risorse consente di avere una scuola di qualità che prepara le nuove generazioni a costruire il proprio futuro insieme a quello del proprio paese, prepara ad affrontare le sfide importanti che la nuova geografia del mondo presenta e che saranno sempre più difficili.
Per questo è importante che la scuola statale ritorni al centro del programma della politica, infatti la scuola pubblica è il luogo in cui si incontrano studenti appartenenti a ogni fascia sociale, studenti di qualsiasi origine e religione, studenti portatori di handicap. In questo modo la classe diventa luogo di confronto, di crescita e di cittadinanza all’interno di progetti didattici e culturali liberi e pluralisti.
E allora forse è il caso che la politica si assuma le proprie responsabilità e cerchi di riprendere, come dice Rodotà, il filo spezzato in questi anni, della politica costituzionale e della legalità che essa esprime.

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