Trecento metri o forse oltre

16 Ottobre 2009

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Marcello Madau

Alla recente tragedia di Messina risponde quella ambientale dei rifiuti radioattivi nei fondali marini al largo delle coste di Crotone, che vedrà il 24 ottobre prossimo una protesta ad Amantea. A tale protesta ci uniamo, perchè a questa traccia che unisce la Calabria alla Sicilia non è estranea la ‘diversa’ Sardegna.  Non è solo la storia memoriale, nelle sue forme culturali, ad unire luoghi e uomini…. vi sono vicende capaci di unificare ciò che apparentemente sembra diviso e ‘lontano’.
E’ stato sicuramente grave a sinistra, soprattutto nella nostra area comunista, l’errore di pensare in maniera meccanica che bastasse subire il medesimo dominio nell’economico per trovare un’appartenenza ed un senso comune, sottovalutando peso e valore delle radici e delle identità. Ma credo che l’errore stia nel meccanicismo, che non si debba buttare il bambino assieme all’acqua sporca: poiché la percezione e la coscienza di condizioni materiali comuni inaccettabili  possono costruire ed unire le moltitudini, dando forza al mondo subalterno.
Anche questo è un problema di ‘identità’: riconoscere tutti i piani che identificano basi comuni e fondare sulla critica linguaggi di rivolta e costruzione unitaria di una società diversa. Non è un riconoscimento facile, né immediato: le energie spese dal potere per impedire tale percezione sono davvero imponenti, e dobbiamo lavorare severamente per esplicitare, al contrario, i fatti reali e renderla possibile. La coscienza del degrado ambientale e del consumo del territorio, la qualità che si riduce della nostra esperienza biologica sono assetti identificativi di eccezionale valore, percepiti – in modo mi pare accresciuto – come  fatto non esclusivamente locale ma planetario.
Il dissesto idrogeologico, la mancanza di prevenzione territoriale e la grande speculazione  sono problemi reali che uniscono l’Italia, e in particolare le regioni del Mezzogiorno. Si cercano unioni in priorità territoriali e linguistiche talora assai problematiche, o in associazioni insulari che neppure le possiedono (unite al massimo da una, pur serissima, tensione anticolonialista). Ma davvero si parla una lingua assai simile a Liguria e Val di Sarno, Capoterra e Messina, una limba comuna che fa superare le differenze fra calabrese, siculo, ligure e campano e non ha bisogno di leggi particolari.
In questi giorni nella Regione Sardegna la destra cerca di predisporre lo sfondamento del limite costiero dei trecento metri. E’ opportuna una forte opposizione politica e giuridica, ma la battaglia è ben più ampia. Lo è l’esposizione delle coste e delle isole alla speculazione, al dissesto idrogeologico e all’inquinamento: la devastazione  edilizia che ha massacrato i litorali e le valli della splendida Sicilia, e non ha certo risparmiato la Calabria, è frutto di un nucleo pesante di interessi che grava anche su di noi. Dopo la tragedia radioattiva calabrese e quella di Messina (guardate i dossier pubblicati su Ucuntu), di fronte alle montagne che cedono perché senza alberi e per quel clima inaspritosi di fonte al quale il nostro governo si distingue negativamente (cioè si sputtana) in tutti gli organismi internazionali a livello mondiale, lo stesso governatore Lombardo ha sentito formalmente il pudore di raffreddare il piano casa.
Ma il nostro governatore Cappellacci, presidente di una regione dove il dissesto idrogeologico e il fango e i morti si chiamano Capoterra e Villagrande Strisaili (senza dimenticare i danni da concause analoghe delle alluvioni galluresi) è invece impegnato ad approvare un programma irresponsabile mirante allo sfondamento della linea di inedificabilità dei trecento metri dalla linea di costa. E’ una classe politica, quella sardo-berlusconiana che ha vinto le ultime elezioni, talmente malferma nella costruzione di una società democratica e delle misure generali che sarebbero da condividere in modo allargato, da condurre alla protesta persino una tempra rivoluzionaria come quella di Mario Floris.
Il meccanismo più generale che unisce le politiche sul territorio è fatto di progetti solo strumentalmente “di Stato”, destinati ad aprire le porte ai grandi gruppi dominanti nei ‘lavori pubblici’ ed a quelli che governano i relativi appalti. Quindi a Messina non è successo nulla che debba fermare quel devastante e criminale Ponte dello Stretto, la ‘madre’ di tutte le grandi opere pubbliche e nucleo portante della costruzione operata sette anni fa da Giulio Tremonti di Patrimonio e Infrastrutture S.p.A.: i soldi delle cartolarizzazioni, compresi quelli del patrimonio sardo, destinati all’affare del secolo e forse del millennio. Una strategia di lunga durata citata come buon esempio nello stesso recente programma elettorale di Cappellacci.
E’ nella battaglia contro l’attuale modello ‘liberista’ (forse sarebbe meglio tornare alla dizione di capitalismo, perché di liberismo ne vedo poco) che troviamo i fattori di unione di territori diversamente ma comunemente sfruttati e sottoposti a pesante prelievo. Sono fattori che legano, pur nella diversità, le regioni del Meridione alla nostra:  l’assalto alle coste pregiate, il dramma dell’inquinamento, i rifiuti industriali e militari a carattere nucleare e non, la tragedia della disoccupazione, l’inadempienza dall’Ottocento di una promessa unitaria davvero costruita senza eroi.
Ho rispetto e apprezzamento per le tematiche dell’autodeterminazione, che sento mie dove esse portano a pratiche democratiche e popolari di gestione dal basso dei territori, ma non sono tempi a sinistra per continuare a proporre come priorità un ‘essere diversi’  non di rado ostinato e volto ad obiettivi politicamente irrealizzabili. Meglio orientare pratiche di lotta e liberazione che tendano ad unire e non a dividere, che riescano a cogliere che la battaglia sul fronte dei trecento metri è più ampia, complessa, mediterranea, degna di  una rivolta comune contro questo uso dissennato dell’ambiente.

1 Commento a “Trecento metri o forse oltre”

  1. Marco Caria scrive:

    Quanto tempo ancora dovrà passare prima che i vandali: palazzinari, cementificatori, petrolieri, pulitori di gasiere-carretta,cacciatori di frodo piromani e incendiari,collezionisti di reperti, improbabili pittrici su roccia, amministrazioni pubbliche incapaci di fare una seria raccolta differenziata dei rifiuti etc etc prima che tutti questi vengano cacciati “a son’e corru? tanti purtroppo penso tanti, troppi anni. Non avevo tante simpatie per Soru ma l’ho votato due volte un politico non deve essere simpatico deve prendersi responsabilità e lui l’ha fatto pestando i piedi a tutti quelli di cui sopra. purtroppo dopo il passaggio dei Berluscones sarà peggio di Attila non crescerà più l’erba come già non cresce a Perdas de fogu e simili. baci comunisti

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