Un fondo bibliografico internazionale su Gramsci
23 Maggio 2025[Valter Canavese]
Con il neo direttore del GramciLab Gianni Fresu, professore associato di Filosofia Politica nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Cagliari abbiamo parlato dell’avvio di un importante progetto che riguarda l’Ateneo con la creazione di un fondo bibliografico internazionale dedicato ad Antonio Gramsci.
Il professor Fresu, componente della Società Italiana di Filosofia Politica e del Comitato scientifico della Scuola internazionale di studi gramsciani, è membro e dei gruppi di ricerca “Antonio Gramsci” in alcune Università del Brasile, fa parte del Gruppo di traduzione integrale dei Quaderni del carcere dall’Italiano al portoghese dell’International Gramsci Society Brasil. Scrive per svariate riviste oltre ad essere Direttore scientifico dell’Archivio storico del PCI della Sardegna della Fondazione Enrico Berlinguer. È stato inoltre professore di Filosofia politica nei corsi di laurea magistrale, specialistica e dottorato in Filosofia all’Istituto de Filosofia dell’Universidade Federal de Uberlândia in Brasile.
Il suo ultimo libro, Questioni Gramsciane, edito da Meltemi, ha l’obiettivo ed il grande pregio di non relegare il pensiero gramsciano ad uno spazio temporale circoscritto e non applicabile al presente, ma di sviluppare tutto il suo vigore che si tratti nell’affrontare il tema del colonialismo, del liberismo e della praxis politica.
Professore quali sono stati i passaggi che hanno portato alla realizzazione del Fondo bibliografico internazionale universitario su Antonio Gramsci?
Partiamo da una premessa, come sappiamo, Gramsci è oggi uno studioso di riferimento nelle punte più avanzate dello sviluppo capitalistico, allo stesso tempo, pur essendo considerato il “teorico dell’egemonia” e della “rivoluzione in Occidente”, e non occupandosi in forma prevalente dei “Sud del mondo”, egli anche è un autore fondamentale per i popoli impegnati nelle lotte di liberazione dall’oppressione coloniale. La figura di Antonio Gramsci ha riscosso un sempre maggiore interesse internazionale, tanto da essere diventato, come ritualmente si ricorda, l’autore italiano più studiato e tradotto al mondo insieme a Dante e Machiavelli.
In particolare, all’interno della sua produzione, i Quaderni del carcere sono oggi ritenuti di fondamentale importanza per ambiti scientifici molto diversi tra loro: dalla critica letteraria alla linguistica, dalla storia alla scienza politica, dalla sociologia alla geografia umana, dalla pedagogia al teatro, dall’antropologia alla filosofia politica, Gramsci è oggetto di studi scientifici approfonditi non solo in Europa ma nel mondo arabo, nelle due Americhe, in, Asia e Africa.
Per raggiungere questo obiettivo abbiamo proceduto a una riorganizzazione funzionale e all’ampliamento del “GramsciLab”, contestualmente alla creazione di un Fondo Bibliografico Internazionale “Antonio Gramsci” presso la biblioteca di Economia del nostro Ateneo, che fosse in grado di riunire in unico luogo non solo gli scritti di questo autore e gli studi a lui dedicati nel nostro Paese, ma l’enorme produzione scientifica internazionale dedicata al suo pensiero.
Quali sono gli obiettivi del Fondo bibliografico e quanti sono i Paesi coinvolti, in considerazione che le opere sono tradotte in 42 lingue e ci sono testi ed articoli che superano abbondantemente il numero di ventimila?
L’obiettivo è creare un grande polo internazionale di studi gramsciani con base nella nostra Università. Una grande opportunità per proseguire e implementare ulteriormente il lavoro da esso svolto per un intero decennio. Sin dalla sua costituzione, infatti, il Centro interdipartimentale di studi internazionali gramsciani si è proposto nel panorama accademico quale luogo d’eccellenza finalizzato all’incontro e alla diffusione di analisi e riflessioni attorno alla figura e al pensiero di Antonio Gramsci, secondo un approccio multi/interdisciplinare che si è avvalso dei risultati degli studi gramsciani internazionali ormai diffusi in tutti i continenti. Grazie al lavoro meritorio di colleghe come la Professoressa Patrizia Manduchi, storica fondatrice e animatrice del GramsciLab, questo centro ha già promosso nel corso dell’ultimo decennio seminari, convegni e accordi internazionali, instaurando fecondi rapporti di collaborazione con la ricerca gramsciana nel mondo anglofono, arabo, latino-americano, asiatico. Solo per fare un esempio, dal 22 maggio al 3 giugno, si terrà a Cuba si riuniranno gli studiosi latinoamericani e caraibici di Gramsci per una scuola e un convegno internazionale a lui dedicati nel quale saremo presenti. Più in generale, Fondo e GramsciLab sono impegnati nella creazione di un Comitato scientifico articolato nei diversi continenti e strutturato per aree di interesse (geografiche, linguistiche, culturali e politiche).
Il Fondo e il GramsciLab nel prossimo triennio hanno la possibilità di creare un polo permanente di attrazione per gli studiosi desiderosi di condurre in Sardegna le proprie ricerche attorno a questo autore. Coerentemente con tutto ciò, il GramsciLab e il Fondo possono già oggi candidarsi per rendere l’Università di Cagliari sede del prossimo Convegno internazionale di studi per le celebrazioni del novantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci del 2027.
Con quest’ambizione, il 9 giugno, presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Cagliari, terremo una Conferenza di presentazione del Progetto Gramsci per l’Università di Cagliari al quale parteciperanno Guido Liguori (presidente International Gramsci Society), Maria Luisa Righi (della Fondazione Gramsci e curatrice dell’Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Gramsci) e diversi studiosi.
I suoi studi hanno avuto modo di constatare come l’analisi della dottrina politica di Gramsci non abbia confini geografici, che si tratti dell’Inghilterra, della Francia o della Spagna ma anche dell’intero continente sudamericano o del mondo arabo e perfino del Giappone. A suo avviso perche l’apporto alla politica dell’uomo di Ales può essere fondamentale in questo nuovo millennio?
Una delle ragioni dell’interesse scientifico verso Antonio Gramsci, riguarda l’attenzione riservata dai suoi studi al momento della direzione culturale nella definizione degli assetti di potere di una società moderna. Un tema di assoluta attualità, perché nella realtà contemporanea, segnata dall’onnipresenza dei mezzi di comunicazione di massa e da nuovi veicoli di diffusione delle informazioni ancora più invasivi di quelli tradizionali, l’importanza degli organismi incaricati di formare l’opinione pubblica è un fatto assodato.
La lotta senza quartiere tra i soggetti in campo per influenzare l’opinione pubblica e determinarne gli orientamenti costituisce oggi una delle più importanti sfide della politica. Gramsci ha il merito storico di aver chiarito tra i primi, con profondità e continuità, quanto i rapporti di forza di una società moderna e sviluppata si determinano più sul piano egemonico, in quelli che Gramsci chiama gli apparati privati della società civile (intellettuali, gruppi editoriali, fondazioni culturali, giornali, oggi diremmo televisioni e network, mezzi di comunicazione di massa in generale) di quanto non avvenga nella dimensione tradizionale del dominio diretto dello Stato per mezzo del monopolio della forza esercitato tramite il diritto, l’esercito, la magistratura.
Che tipo di interesse ha constatato verso Gramsci da parte degli studenti a Cagliari ma anche in Brasile, dove ha insegnato alcuni anni e dove è impegnato nella divulgazione del pensiero gramsciano?
L’opera di Antonio Gramsci è oggi ritenuta di fondamentale importanza per ambiti scientifici molto diversi tra loro, trovando traduzione all’interno di realtà profondamente diverse da quelle di cui egli si occupò in forma prevalente. In questo panorama il Brasile è uno dei laboratori più attivi e stimolanti, anzitutto perché il suo pensiero è qui rielaborato e attualizzato in maniera originale alla luce delle peculiarità culturali e sociali nazionali. In una realtà come quella brasiliana, storicamente segnata da forme atipiche di modernizzazione dall’alto, con ricorrenti sospensioni delle libertà costituzionali e colpi di Stato autoritari, alcune categorie gramsciane hanno trovato applicazioni analitiche e politiche sorprendenti. Una riappropriazione creativa del lascito gramsciano, funzionale tanto alla rilettura della complessa storia coloniale di questo Paese quanto alla comprensione delle grandi contraddizioni che ancora oggi ne segnano la vita politica.
Nel Brasile il suo pensiero è una risorsa analitica e programmatica fondamentale: nelle scuole, come nelle università, nel dibattito culturale come nelle lotte sociali brasiliane, Antonio Gramsci è non solo presente, ma è la figura più importante di tutto il pensiero critico. Non a caso qui esiste la più grande organizzazione gramsciana al mondo (l’IGS Brasil), di cui ho avuto la fortuna di essere tra i fondatori e presidente dal 2019 al 2022, e una produzione editoriale attorno al suo pensiero senza pari nel mondo. Con l’IGS Brasil (prossimo mese di settembre terremo a Rio de Janeiro celebreremo in una grande conferenza i suoi 10 anni di vita) abbiamo realizzato una mappatura dei gruppi di studi accademici su Antonio Gramsci arrivando all’incredibile numero di 75 unità nelle diverse Università pubbliche nazionali. A questi vanno aggiunti quelli più riconducibili alla lotta sociale e politica dentro sindacati, partiti o grandi movimenti di massa come il Movimento trabalhadores rurais sem terra, che ha adottato Gramsci come suo principale punto di riferimento intellettuale.
Per quello che il regime fascista consentì ad Antonio Gramsci dal 1924 al 1926, fu segretario del Partito comunista Italiano, che lui stesso aveva fondato con Bordiga,Fortichiari Misiano,Terracini e Polano. A 100 anni da quel triennio cosa apportò Gramsci nella prima conduzione del partito e cosa di quella prima esperienza politica potrebbe essere fatta propria dalla sinistra italiana oggi?
Guardando alla politica di oggi, non solo quella della sinistra, la prima considerazione che mi viene pensando al PCI, riguarda la sua grande ricchezza culturale, quindi, il suo contributo pedagogico alla socializzazione politica di massa in Italia, scaturita dalla ambizione di essere non un partito che rappresentava i lavoratori, ma un partito di lavoratori, ossia composto, animato e diretto da lavoratori. Il PCI, infatti, è stato comunque uno strumento di alfabetizzazione e formazione politica, veicolo di partecipazione collettiva per milioni e milioni di “cafoni”, come venivano chiamati dalle vecchie classi dirigenti liberali, ossia, operai, contadini, muratori, lavoratori in genere, fino ad allora esclusi dalla politica e divenuti nel dopoguerra soggetto attivo e cosciente della vita nazionale.
Per usare un’espressione cara a Gramsci, in un Paese storicamente dominato da equilibri sociali regressivi tra le classi, dalle rivoluzioni passive la nascita del PCI fu una di “riforma intellettuale e morale”, sicuramente incompleta di cui, pur tra mille limiti, quel gruppo dirigente aveva consapevolezza.
La vera originalità del comunismo italiano riguarda lo sforzo compiuto dai suoi gruppi dirigenti teso a tradurre i principi del marxismo e il contenuto universale della Rivoluzione russa nelle peculiarità della nostra realtà nazionale.
Per sottolineare la sua radice nazionale, il 15 maggio 1943 l’organizzazione diretta da Togliatti abbandona la denominazione assunta a Livorno nel 1921, PCdI sezione della Terza Internazionale, divenendo Partito comunista italiano. La scelta di una più netta contestualizzazione nazionale dell’organizzazione nasce ben prima del 1943, con la profonda svolta impressa da Gramsci alla sua direzione politica tra il 1925 e il ‘26. Le Tesi del Congresso Lione del ’26, redatte principalmente da Gramsci, sono state definite l’asse fondamentale della sterzata operata nella storia dei comunisti in Italia, sia in rapporto alla concezione del partito, sia per l’analisi della società. In entrambi i casi si giunge al superamento completo delle Tesi elaborate da Bordiga per il Congresso di Roma, dopo il profondo mutamento nella direzione politica del Partito sotto la guida di Antonio Gramsci.
Grazie a questa svolta, a partire dalla fine degli anni Trenta e soprattutto nella lotta di liberazione nazionale il Partito comunista diviene un soggetto politico capace di attrarre studenti, operai, artisti, letterati, docenti universitari. Da piccolo partito di quadri diviene la principale organizzazione politica della Resistenza, fino a risultare il primo partito della sinistra italiana e il più grande partito comunista del campo occidentale. Il risultato più fecondo di questo cambiamento fu il concepire in termini organici le tematiche della lotta al fascismo e quelli della ricostruzione democratica a partire dalla stagione costituente con l’evoluzione di un allargamento degli spazi di democrazia economica, sociale e politica, tali da consentire al mondo del lavoro di avviare un processo di transizione democratica al socialismo.
Che cosa può rappresentare per la Sardegna questo fondo bibliografico e cosa può essere ulteriormente fatto per rendere il pensiero di Antonio Gramsci permeato alla politica sarda, ancor prima che alla politica italiana?
Il grande interesse per Gramsci nei Paesi che hanno subito secoli di dominio coloniale e che ancora vivono le contraddizioni di uno sviluppo dipendente, a mio avviso, trova una delle sue radici in un fattore che è stato poco sottolineato negli studi italiani dedicati all’autore dei Quaderni. Gramsci ha fornito un arsenale formidabile per leggere la questione coloniale e lottare per il suo superamento innanzitutto perché era sardo.
La Sardegna di Gramsci, pur essendo collocata al centro del Mediterraneo, era una regione povera, contadina e periferica che, per questa sua condizione di arretratezza e sottosviluppo, soffriva permanentemente di pregiudizi razzisti. Prima e dopo il Risorgimento, la questione sarda era stata liquidata come un problema di ordine pubblico e il banditismo era considerato la causa del sottosviluppo, non l’effetto. La questione meridionale, così importante per gli studi gramsciani, è presente in tutte le elaborazioni politiche e le analisi di Gramsci sulla società italiana, un nodo problematico attorno al quale si articolano le contraddizioni del processo di unificazione nazionale e la distorsione di uno sviluppo economico e sociale del Paese.
È in questa puntuale analisi dei riflessi politici, sociali ed economici della stratificata storia coloniale subita dalla Sardegna, di cui Gramsci ha una chiara consapevolezza, che si può capire perché Gramsci, pur essendo il teorico dell’egemonia e della rivoluzione in Occidente, sia un autore così prezioso per i popoli del Sud del mondo.