Ventiquattro anni dopo la strage di Capaci
1 Giugno 2016Maurizio Ciotola
Ventiquattro anni dopo quel 23 maggio del ‘92, gli onori continuano sotto il profilo dello spettacolo, di una adesione post-mortem, che non trova azione nel presente.
Non sappiamo quanto su quei fatti, Marco Pannella, insieme a tanti altri protagonisti scomparsi della “prima” repubblica, non ci ha rivelato, con cognizione e per scelta. Ricordiamo però la sua proposta sbloccante, nelle ore successive alla strage di Capaci, la candidatura di Scalfaro alla presidenza della repubblica.
Nulla sappiamo da parte di altri protagonisti quali Martelli, Mancino e il presidente Napolitano, in merito a quell’evento, che sbloccò l’impasse in cui era piombato il Parlamento. Al di là di quella che sarà, forse un giorno, la verità giudiziaria, stupisce la reticenza dei protagonisti tuttora in vita a raccontare nei dettagli la vicenda politica, certamente dolorosa quanto necessaria, per avere un’onesta comprensione di ciò che oggi siamo divenuti.
Quale opinione si può avere di coloro i quali salvaguardando se stessi, occultano ciò che determinò quella strage, la morte di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo e dei tre agenti, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Mortinaro. Quale giudizio possiamo esprimere su quegli uomini politici oramai scomparsi, che si sono portati dietro quanto sapevano in merito alla grande “ondata” avviata con la strage di Capaci prima e quella di via d’Amelio dopo, in cui persero la vita Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta.
Neppure l’ex capo della polizia Vincenzo Parisi, morto poco dopo, potrà mai raccontarci il significato dello schiaffo preso dalla folla inferocita, per coprire il neo presidente Scalfaro, al funerale delle vittime della strage di Capaci. Sappiamo che, la verità giudiziaria attraverso la quale sono stati individuati i responsabili materiali, non consente l’accesso a quella, che è la verità politica, sociale, che ci consente di accertare l’architrave e le sue colonne, dalla quale i “pupari” hanno manovrato i “pupi”.
Non sappiamo se quegli stessi “pupari” oggi, come ieri, sotto una insospettabile veste, continuano ad agire indisturbati, frapponendo tra se e gli attori materiali, strutture, spazi, uomini, ruoli, in una rete capace di intimorire chi, oggi, potrebbe riuscire ad afferrare il bandolo della matassa, mettendoli a nudo. Negli istanti seguiti alla strage del ‘92 in cui Giovanni Falcone trovò la morte, il giudice Caponnetto disse: “…è tutto finito”. Ad oggi, dopo ventiquattro anni, possiamo dire a malincuore e con immenso dolore, che ha avuto ragione.