Partigiani di Istambul: Un reportage da piazza Taksim

7 Giugno 2013

«Her yer Taksim. Her yer direniş!» (Ogni luogo è Taksim. La resistenza è in ogni luogo!)

Valeria Piasentà
Arrivo a Istanbul sabato 1 giugno per la Triennale Internazionale dei Giovani, organizzata dalla la Faculty of Fine Arts della Marmara University. L’hotel che mi ospita è in una traversa di piazza Taksim, al centro della rivolta popolare iniziata qualche ora prima.
Il bilancio, dopo una notte di guerriglia urbana, è di sessanta arresti e centinaia di feriti. Amnesty International però parla di almeno due morti e migliaia di feriti in questa notte di «violentissima repressione», alcuni sono diventati ciechi a causa del materiale usato nei fumogeni, si vocifera di una micidiale arma chimica già sperimentata dagli Usa in Vietnam. Dopo la manifestazione con cariche della polizia Istiklal Caddesi, la più nota via dello shopping, è un fiume di fango generato dagli idranti, e di immondizia. Le vetrine sono sfondate, qualche negozio saccheggiato e bruciato, forse da provocatori infiltrati o forse dai lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo. Il tanfo dei lacrimogeni è ancora molto persistente e irrita naso e occhi, i muri sono coperti di scritte contro il governo ‘fascista’ e la  polizia, da bandiere e striscioni, il più imponente è quello verde chiaro di Greenpeace alto oltre tre piani e issato sulla facciata di un prestigioso palazzo a metà della Istiklal. Piove mentre qualche commerciante asciuga mobili  e  pavimenti, ma in tante vetrine è esposta la bandiera con ritratto di Atatϋrk sotto la mezzaluna bianca: i commercianti sono con chi si ribella.
Venerdì i manifestanti hanno riempito le strade e le piazze dal ponte di Galata a piazza Taksim, costruendo barricate intorno ai quartieri degli artisti e degli intellettuali: qui ha aperto il suo Museo dell’innocenza lo scrittore Orhan Pamuk, qui si alimenta l’immaginario di Özpethek, qui sono state girate molte ambientazioni dei films di Akin, il regista de La sposa turca. Qui, in piazza Taksim, si apre l’ingresso al Gezi Park. Quest’unico polmone verde nel quartiere di Beyoğlu e dei limitrofi, è molto amato dai cittadini che lo frequentano assiduamente nel tempo libero. Dopo la demolizione di una caserma ottomana, quest’area a destinazione paesaggistica è stata inserita nel piano di risanamento urbanistico voluto da Kemal Atatϋrk, il primo presidente della Turchia repubblicana. Ora il governo in carica intende distruggerlo per costruirci un grande centro commerciale con alberghi di lusso e una moschea. La distruzione del parco è funzionale al programma politico del primo ministro Erdogan: annientare i simboli dello Stato repubblicano per sostituirli con quelli di un Paese confessionale.  Durante il suo mandato ha già fatto erigere 17.000 moschee e ora si appresta alla costruzione della moschea con i minareti più alti del mondo. I suoi piani di edificazione mirano alla conquista di un ricco turismo religioso in arrivo dai Paesi arabi, gli stessi che stanno investendo qui i proventi del petrolio. Poco importa al governo in carica il parere dei cittadini di Istanbul, tantomeno di chi ora protesta che per Erdogan si tratta di pochi individui manovrati dal terrorismo internazionale.
Le testate estere battono da subito la notizia degli scontri scrivendo, con molta leggerezza e poca conoscenza della realtà turca, che si tratta di una manifestazione di ambientalisti. Ma ancora per alcuni giorni i media filo-governativi nazionali saranno silenziati, specie i canali televisivi che trasmettono soap e partite di calcio, o repliche in loop di una intervista a Beppe Grillo che sostiene «destra e sinistra non esistono» (vorrei lo spiegasse ai manifestanti del Gezi Park) mentre i giovani vengono picchiati e incarcerati a migliaia e non si hanno notizie del numero di morti e feriti. Intorno a piazza Taksim telefoni e internet vengono oscurati per ore, a intermittenza. Pare che i Servizi si inseriscano nelle piattaforme dei social, di Facebook in particolare, per inviare messaggi falsi e fuorvianti, come la possibilità di aver cure mediche nel tal ospedale dove poi i manifestanti feriti accorsi vengono arrestati. La guerra moderna si combatte anche per via informatica: gli Anonymous turchi violano siti istituzionali, il governo risponde arrestando gli autori di messaggi twittati in appoggio alla rivolta. Dalle 18 è coprifuoco sul ponte che collega la città costruita a cavallo del Bosforo, fra Asia ed Europa, e su altre vie di comunicazione per impedire alla protesta di sconfinare nei quartieri limitrofi.
Sabato sera i manifestanti si spostano nel quartiere elegante di Besiktas nell’intento di protestare davanti alla sede del partito conservatore di fede islamica del primo ministro, l’Akp, con loro si sposta la ferocia della polizia con atti di violenta repressione. Malgrado ciò la protesta ormai si è allargata in maniera esponenziale, e non si fermerà più. Gli scontri acuti da ora si rilevano intorno alle vie d’accesso al parco sbarrate dalle barricate dei resistenti, sul lungomare fra gli attracchi dei traghetti nel tratto di superstrada da Karaköy a Kabataş. Poi contagia tutte le città turche a partire dalla capitale Ankara, dove gli scontri producono feriti e almeno un morto ucciso da un proiettile d’arma da fuoco alla testa. La polizia spara ad altezza d’uomo. E se le istituzioni stimano qualche centinaia di feriti, le organizzazioni dei medici indicano in almeno 2.500 gli interventi attuati solo fra Istanbul e Ankara nei primi tre giorni di protesta. Giovedì salgono a 5.000 e 4 sono i morti accertati. Migliaia sono gli arrestati, non si sa se detenuti legalmente e in quali condizioni. Giovedì arriva la notizia di un gruppo di arresti fra gli universitari, si tratterebbe di stranieri in Turchia col progetto Erasmus ora indagati per reati di opinione. Attendiamo che si attivino le ambasciate.
Domenica mattina arrivano a Istanbul migliaia di giovani da ogni parte del Paese. Prima della manifestazione  si forma un corteo di ragazzi, hanno una pettorina, guanti, grossi sacchi di plastica  azzurra e si ordinano in file compatte in una strada di accesso dal mare a piazza Taksim, gli abitanti scendono in strada per applaudirli. Prima che inizi la contestazione i giovani universitari di Istanbul, animatori della protesta, puliscono le strade; poi li ritroviamo fra i cittadini per mantenere costantemente in ordine l’ambiente.
Dopo riunioni estemporanee arrivano in piazza i partiti della sinistra con stendardi e bandiere, come il laico Partito repubblicano del Popolo fondato da Atatϋrk, e tanti lavoratori col caschetto giallo. Si canta davanti al presidio e si danzano in cerchio i balli popolari al ritmo di enormi tamburi di latta.  Dall’altoparlante issato all’ingresso del parco si diffondo le musiche e i cori. Una su quattro è la nostra Bella ciao, canto entrato nella tradizione dei comunisti greci come dei turchi del Tkp e dei giovani Partisan marxisti-lelinisti che cominciano a intonarla in italiano seguiti dal popolo, giovanissimi compresi. Questi ragazzi sono informati, uno mi dice: «Italiana, sì? via Erdogan e via Berlusconi!». E’ commovente notare come la nostra canzone partigiana delle valli piemontesi di Sesia e Ossola, mutuata da una canto popolare ottocentesco delle mondine del vercellese e del novarese, sia diventata un inno internazionale di libertà. Il giorno dopo nel corteo verso il parco, un drappello di sole donne senza alcun segno di partito e organizzazione, di età compresa fra i 20 e i 50 anni, si tengono a braccetto formando un festoso gruppo compatto. Cantano Bella ciao in italiano e vengono particolarmente applaudite al passaggio. La sera, le donne dalle loro finestre di casa come i giovani seduti nel bar all’aperto e nei locali più alla moda del quartiere, battono all’unisono pentole e ringhiere in un rumore assordante. Si cominciano ad esporre le bandiere alle finestre, in ogni quartiere della città. Le donne sono sempre di più, di ogni età ma soprattutto ragazze, arrivano anche giovani mamme velate con bambino nel passeggino. Un bambino di circa 8 anni con bandiera rossa e maschera bianca di Anonymous, si lascia fotografare in posa contro il muro dell’Istituto di cultura francese. E’ accompagnato da due giovani donne ridenti e fiere di lui (probabilmente mamma e zia), col velo islamico.  I manifestanti non sono solo giovani ma persone di ogni età ed estrazione sociale, questa è veramente una sollevazione di tutta la società di Istanbul, una vera e grande rivoluzione popolare.
Malgrado la situazione sia oggettivamente molto pericolosa, i manifestanti non hanno paura a differenza di molti stranieri che lasciano la zona; delle ambasciate, del Viminale e di Italiani all’estero che consigliano di evitare le parti più pericolose della città (quindi proprio piazza Taksim) e gli assembramenti sospetti, oppure il rientro in patria dei connazionali. La determinazione tranquilla e forte dei giovani di Istanbul è sciolta dalle parole di un lavoratore: «E’ per la libertà». Non molleranno fino alla fine del governo Erdogan, o la loro.
Un altro simbolo rinverdito è dedicato all’eroe nazionale Atatϋrk. La bandiera rossa con il suo ritratto e la mezzaluna è il vessillo più sventolato, dai giovani e giovanissimi soprattutto, e il più esposto nelle vetrine dei negozi e nei bar. In risposta al governo di Erdogan che, da anni e progressivamente, silenzia la festa nazionale del 19 maggio per oscurare il fautore del passaggio alla Repubblica, dopo la lotta di liberazione e le riforme sociali che dal 1923 hanno fatto della Turchia un paese democratico. Nei dieci anni del suo governo, Erdogan ha venduto e privatizzato molte delle aziende di Stato fondate da Atatϋrk per provocarne l’oblio, ma proprio questa ferita nel simbolico collettivo ora gli si sta rivoltando contro. Col sistema dello spoil system ha progressivamente sostituito i quadri dirigenti dello Stato, dai rettori delle università ai militari al corpo burocratico, con uomini di sua fiducia e provata fede islamica, epurando repubblicani e laici. Contemporaneamente tanto giovani di sinistra quanto giornalisti e dissidenti in genere, ma soprattutto i militari – tradizionalmente repubblicani quindi invisi al suo partito confessionale – vengono incarcerati spesso con motivazioni pretestuose. Ma il popolo turco ha una tradizione culturale aperta e laica, non accetta certe imposizioni di matrice religiosa come il divieto di vendere alcolici la sera (un altro segno di dissenso: i giovani manifestano con in mano una bottiglia di birra). La risposta di Erdogan ricorda quella del nostro Berlusconi: lui, dice, è stato eletto dai cittadini che così ne legittimano ogni determinazione. Poco conta come sia stato eletto, in quale clima e con quali appoggi internazionali.
Lunedì mattina alle sette gli operai stanno cambiando le vetrine sfondate e verniciando i muri, noi  più tardi inauguriamo la prima sede espositiva in Facoltà. Dopo le presentazioni e un concerto d’archi e pianoforte prende la parola il rettore della Marmara, un uomo di fede governativa, a questo punto si scatena la contestazione: le ultime file composte da studenti turchi si alzano compatte inneggiando alla fine del governo, perché Her yer Taksim.Her yer direniş!. Hanno biglietti appuntati alle maglie con gli slogan dei resistenti che inneggiano applaudendo a mani alte, poi escono in dignitoso silenzio dall’auditorium.
Nel pomeriggio si apre la seconda esposizione a Sultanamet, proprio dietro la Moschea blu, mancano molti studenti turchi che si sono spostati a Taksim per un corteo dove si prevedono scontri perché Erdogan ha promesso ai manifestanti di schierare i suoi in contromanifestazioni ancor più attrezzate e partecipate. Invece non lo farà e la protesta, con le ormai solite pesanti cariche della polizia, si sposterà nella sera in un altro quartiere dove le barricate sono erette per impedire l’accesso alla zona presidiata. I ragazzi arrivano numerosissimi al tramonto, sbarcano al molo di Karaköy con caschi da cantiere e mascherina, risalgono la Istiklal e, quando incontrano i gruppi che scendono la strada dal presidio di piazza e giardino cui danno il cambio per tutto il giorno e la notte, lanciano slogan applaudendosi con le mani sopra la testa, come i residenti dai margini del corteo e dalle finestre.
Martedì iniziano i primi scioperi, insieme ai partiti e a tanto popolo sempre più eterogeneo e vario arrivano in corteo i sindacati con i loro servizi d’ordine. Le manifestazioni sono composte e creative, i problemi si creano con gli interventi della polizia. Le telecamere dei cronisti giunti da tutto il mondo funzionano da deterrente alla violenza gratuita dei poliziotti, e ora in piazza la situazione è più tranquilla rispetto a quello che avviene in luoghi meno sorvegliati dai media.
Le attività illiberali del primo ministro Erdogan hanno sortito lo scopo di compattare tutta la società turca coi suoi partiti, movimenti, etnie, ecc. e solo i religiosi oltranzisti si sottraggono quando non girano armati di coltelli per intimidire i residenti, come nel multietnico e popolare quartiere di Çukurcuma. Qui hanno sede studi di giovani emergenti e gallerie d’arte come quella dove dovrebbe inaugurarsi il 4 la nostra terza esposizione, che aprirà invece solo il 5 e in tono sommesso, mentre quel giorno saltano le proiezioni dei filmati all’Istanbul Modern, chiuso provvisoriamente per motivi di sicurezza. Non ci sono problemi invece per i seminari ospitati alla Salt Gallery, della Banca Ottomana: qui, come altrove, il sistema bancario internazionale è intoccabile.
Giovedì arriva la notizia di uno sciopero generale, il regista Özpethek ha annunciato la sua partecipazione. Già dalla prima mattinata i traghetti sbarcano in continuazione centinaia di manifestanti che coi loro striscioni e bandiere salgono la Istiklal verso il parco. Anticipati da gruppi di studenti medi con vassoi di cibo e di acqua, per chi ha passato la notte al presidio. Intanto, e in forma anonima, arrivano aiuti economici da ogni parte del mondo. Questa sera è previsto un concerto in piazza.
(1. continua)

4 Commenti a “Partigiani di Istambul: Un reportage da piazza Taksim”

  1. Francesco Cecchini scrive:

    Una buona cronaca con accenni interessanti di analisi.

  2. valeria piasentà scrive:

    Mi scrivono dalla Turchia: «…l’articolo e molto dettagliato, spiega la situazione molto netta.. grazie di essere la voce dei giovani turchi che vegliano la republica turca..vegliano noi…vegliano il futuro di un popolo.. loro ci hanno dato la speranza…
    oggi sono andata in piazza taksim. incerdibile atmosfera.. ti mandero un po di foto.. nel fratempo RTE e tornato dalla tunisia e ha dichierato che comunque non cambiera nulla:( ora aspettiamo tutti come andra finire… forse un po di gas !!!! o si parla di altri armi!…»

    Perciò bisogna tenere alta l’attenzione internazionale, sostenere questi giovani perché la loro protesta da un momento all’altro potrebbe essere annullata nel peggiore dei modi. I ragazzi di Istanbul non hanno paura e sono molto determinati, non cederanno; mentre ieri, all’aeroporto Atatürk, i sostenitori di Erdogan lo aspettavano per chiedergli di sopprimere la rivolta: «Moriremo per te, Erdogan!».
    Fate girare le informazioni, anche questo articolo: la speranza della mia amica turca deve diventare la nostra.

    Grazie

  3. claudio arena scrive:

    Complimenti, compagna Piasentà!

  4. rosanna zanarini scrive:

    bravissima Valeria!. Sei riuscita a coinvolgermi in questa lotta per la libertà

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI