Il Manifesto

16 Dicembre 2012
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La crisi del Manifesto si aggrava, credo che siamo arrivati alla fase conclusiva; il Manifesto che abbiamo conosciuto nel corso di questi 40 anni forse lascerà il posto ad un’altra cosa.
Seppure continuerà le pubblicazioni, non avrà più l’ispirazione con la quale è nato e ha vissuto sino ad oggi. L’intervista rilasciata oggi a Repubblica da Norma Rangeri  segna una cesura col passato: perciò il mantenimento del nome sul nuovo quotidiano sarà una decisione strumentale e abusiva.
Valentino Parlato è stato chiaro nella lettera che annunciava la sua separazione: la crisi non è solo di soldi, ma anche di soldati e di linea. Anche la riunione del 4 di novembre (quella che ha indicato come unica soluzione praticabile la costituzione di una cooperativa autofinanziata n.d.r.) non so che fine abbia fatto. Si è dispersa nel nulla, aggiungo io.
È sorprendente che la redazione che lavora ancora al giornale non capisca il significato di questa metamorfosi o, ancora peggio se la capisce, che non abbia il coraggio di dichiarare apertamente che non è più tempo di rimanere aggrappati alle idealità del passato. Evidentemente si è convinta che si può lavorare anche alle dipendenze di un finanziatore perché non sempre lavoro e ideali possono convivere.
Per quanto ci riguarda cercheremo di continuare il nostro impegno e, soprattutto, consolidare i rapporti con i circoli che nel corso di questi mesi sono stati un’esperienza importante e costruttiva.
Parleremo ancora di questa vicenda nei prossimi numeri del manifesto sardo (m.l.)

4 Commenti a “Il Manifesto”

  1. Stefano Deliperi scrive:

    caro Marco, credo che “Il Manifesto Sardo” rimarrà l’unico “Il Manifesto”.
    Molto probabilmente non è solo una questione di risorse economiche (questo non lo so e può saperlo chi è “dentro” “Il Manifesto” e la sua storia), ma, se fosse passato on line qualche tempo fa, forse avrebbe avuto minori problemi economici e più serenità nei rapporti personali.

  2. Graziano Pintori scrive:

    A Il Manifesto Sardo resta la consapevolezza di essersi impegnato con incontri, proposte, consigli ecc. per salvare la storica testata. Oggi prendiamo atto della svolta, della metamorfosi che convince i pochi che stanno “dentro”; noi da “fuori” continueremo il lavoro di sempre.

  3. Mario Cubeddu scrive:

    Caro Marco, alla fine degli anni Settanta sono arrivato a Cagliari dal paese e il referente intellettuale che per me contava era il manifesto. Come fanno a dimenticare al giornale le campagne di sostegno che sono state le tappe della nostra vita? A metà decennio potevi scegliere tra Avanguardia Operaia, Lotta continua e il Manifesto. Erano tre cose tanto diverse quanto erano diversi gli amici che conoscevi. Era una grande ricchezza, poter scegliere. Adesso mi dicono che Il Manifesto è finito. Lo pensavo già da qualche tempo. Fare un buon giornale non è come essere riferimento di parole nuove che leggano il mondo che vivi e ti aiutino a capirlo. Giornali intelligenti li sa fare chiunque. Rossana Rossanda la trovavi solo sul nostro giornale. Qualsiasi bravo laureato in lettere è in grado di fare il giornalista, ma la corporazione rifiuta questa verità. Quindi il manifesto vivrà in altro modo. Magari in questo fossile sardo. Noi siamo abituati a conservare cose preziose, una lingua, un monumento, una spiaggia, una pianta, un piccolo animale. I Pintor sono sempre tra noi e lo rimarranno a lungo. Lunga vita al Manifesto sardo.

  4. Andrea Pubusa scrive:

    Caro Marco,
    non da oggi penso che in alcuni casi il “suicidio” politico sia un atto di lucidità e lungimiranza. Un modo di conservare un bene prezioso per impedirgli di diventare altro o il contrario rispetto a ciò che è stato. Lo dissi per l’Unità, quando fu acquistata da un imprenditore in funzione della sua ascesa alla ribalta politica nazionale. E ci furono compagni giornalisti locali che gridarono allo scandalo. “Pubusa vuole la fine dell’Unità! E i giornalisti? E i dipendenti?” Sì, il giornale di Antonio Gramsci andava preservato da un destino diverso da quello pensato in origine da un ruolo divaricato rispetto alla sua storia.
    Così è stato ed è per Il Manifesto. Una testata in vendita può essere acquistata da chiunque. Basta offrire un centesimo in più. Il Manifesto può essere, a sfregio, comprato da Berlusconi e venire a far parte dei giornali di famiglia!
    Ecco perché, ad un certo punto, è bene consegnare la testata alla storia e fare altro.
    Ora questo per Il Manifesto non è più possibile. La scriteriata gestione (più di 100 diopendenti!) dei tempi in cui lo Stato ripianava il debito è finita. L’unica cosa che possiamo augurarci è che la testata venga acquistata da un editore democratico, che la mantenga – come l’Unità – nel campo progressista. Dico però a Marco che i circoli per dar corso alla proposta di riacquisto non devono chiedere il permesso a nessuno, tantomeno a Norma Rangeri. Se l’asta è finora deserta, si metta a punto il piano e lo si mandi avanti.

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