Su golf

1 Gennaio 2010

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Mario Cubeddu

La fine dell’anno è per i politici sardi al potere l’occasione per riassumere gli obiettivi a cui mira la loro azione quotidiana. “Le zone interne possono ritagliarsi un ruolo importante , col turismo congressuale, col golf, col turismo sportivo, con l’escursionismo, con i sapori della terra.” Con queste parole Ugo Cappellacci riassume il suo punto di vista sulla via che i trecento paesi sardi possono intraprendere per costruirsi un futuro diverso. La sede che ospita queste parole è la più ufficiale , L’Unione sarda, giornale di partito e di governo. Il tono è serio e preoccupato: “Serve un “pacchetto Sardegna” che punti sul diportismo, sul golf, sul turismo gastronomico e su quello sportivo, sul turismo equestre, sul folklore e sul trekking”. Queste sono invece le parole del Sindaco di Cagliari Emilio Floris che, in quanto rappresentante di “una città la cui area vasta rappresenta un terzo della popolazione sarda”, non si sente affatto inferiore al Presidente della Regione. Anzi, sembra che si ponga su un terreno di concorrenza diretta, nonostante appartenga allo stesso partito. Ciò che li accomuna è “il golf”, nobile sport, innocente dei modi in cui affari e politica in Sardegna lo coinvolgono. La situazione sarda consente poca demagogia e i tempi della polemica brutale contro Renato Soru sono dimenticati. Ma finisce allo stesso modo il tempo dei sorrisi. La Giunta di centro-destra si confronta con la realtà e deve proporre un programma credibile che consenta alla Sardegna di superare la crisi e ai paesi dell’interno di nutrire qualche speranza di non morire per consunzione e abbandono. C’è da rimanere perplessi, nello scorrere l’elenco delle soluzioni proposte dai due leader del centro-destra. Che si riassumono nella solita idea astratta di spalmare il turismo su tutta l’isola. Chissà cosa ne penserebbero i Sindaci più avvertiti, che da anni cercano di immaginare una serie di misure coordinate, di fare quel “sistema” che metta insieme la varietà delle risorse che un paese sardo ha da offrire: l’agricoltura e l’allevamento, la tradizione artigiana, la qualità dei centri abitati e del territorio, la vivacità culturale della tradizione e delle iniziative attuali. Pensiamo a Gavoi, a Samugheo, a Dorgali, a Seneghe. Solo per fare qualche nome. Uno sviluppo che parte dalle risorse locali e dal saper fare, dalla cultura e dalle conoscenze delle popolazioni. Senza il loro coinvolgimento e la loro partecipazione il turismo rimane una parola vuota, può essere solo un innesto artificiale catapultato in un territorio che subisce l’intrusione senza guadagnarci nulla. Perdendo invece autostima e fiducia, visto che il modello culturale con cui ci si confronta è totalmente estraneo. In questo elenco mancano, nonostante il riferimento ai “sapori della terra”, l’agricoltura e l’allevamento, manca l’artigianato, e soprattutto manca la cultura. Mancano in sostanza le persone, gli esseri umani, i sardi che vivono e operano nelle zone interne. La loro storia, le loro attività, il loro modo di essere, di pensare, di vivere. La soluzione è, come al solito, quella miracolistica e coloniale di chi crede di poter applicare soluzioni importate e imposte. Quanti centri congressi può reggere la Sardegna, quanti campi da golf, dove e come si possono fare le escursioni, quali attività sportive? E soprattutto, che rapporto ha tutto questo con le zone interne? La questione agropastorale è una questione sociale e culturale prima ancora che economica. Diversamente non avremmo un “pecorino romano” da vendere, ma un prodotto che rappresenti la nostra storia e la nostra identità. Il mondo delle zone interne ha avuto in Sardegna un ruolo egemonico su ogni terreno negli ultimi due secoli. Economico, culturale. Il sindaco Floris va all’assalto dei fondi regionali senza che la realtà che lui rappresenta, Cagliari, possa vantare di aver fatto per la Sardegna l’equivalente delle somme che ha intascato e ancora pretende dai Sardi. Al punto da contrapporre le esigenze di Cagliari al dramma dell’industria! D’altra parte dove, se non a Cagliari, poteva attecchire l’idea di un concorso per vincere un posto di lavoro? Che certo non sarà un posto alla Regione, nella Nuova o all’Unione, o all’Università, per cui il percorso è ben più difficile di quello per la vincita in qualsiasi lotteria. Un posto precario da magazziniere, o da bracciante agricolo, non si nega a nessuno. Creare iniziative culturali nelle zone interne interessa poco agli assessorati, agli enti per lo sviluppo, ai giornali sardi, anche a quelli che pretendono di rappresentare la sinistra sarda. Ma queste vivono, e vivranno. Quando assessorati e quotidiani non dovessero dare più l’ossigeno per la loro esistenza, ma questo venisse fornito dal desiderio di libertà dei sardi, allora un tempo nuovo e diverso sarebbe cominciato.

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