Catalogna, la CUP boccia Artur Mas

2 Gennaio 2016
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Andrìa Pili

Il Consiglio Politico della CUP, con 38 voti a favore e 30 contro, ha votato ieri perché i suoi dieci parlamentari si astengano nel caso di un’eventuale voto per l’investitura di Artur Mas alla presidenza della Generalitat. Mas è il candidato proposto da Junts pel Sì, la coalizione catalanista- che riunisce i socialdemocratici di ERC ed i liberali della CDC, oltre ad altre formazioni minori della Sinistra- con la maggioranza relativa dei seggi nel Parlament. Questo risultato rappresenta soltanto l’atto definitivo di tre mesi di trattative, seguite alle elezioni autonomiste del 27 settembre scorso, tra JxS e la formazione anticapitalista, in cui la prima ha cercato di convincere l’altra sia con la proposta di un programma di governo sia attraverso la pressione dei mezzi di comunicazione della stampa legata alla borghesia catalanista. Manovra che è riuscita a spaccare in due la Candidatura d’Unitat Popular, tanto che la sua Assemblea Nazionale si era conclusa il 27 dicembre scorso con 1515 voti a favore dell’investitura di Artur Mas ed altrettanti contro. Ora, entro il 10 gennaio il Parlament dovrà eleggere necessariamente un nuovo presidente, pena il rientro alle urne per il prossimo marzo. Per questo, diversi sostenitori della Destra catalanista sono giunti ad accusare la CUP di aver sabotato il processo indipendentista. Accusa del tutto priva di fondamento ed esclusivamente rivelatrice di un becero sentimento anticomunista, volto a screditare un movimento in ascesa che non ha fatto altro che quanto aveva promesso in campagna elettorale: sostenere un processo di emancipazione che rompa non solo con lo Stato centrale ma anche con la classe politica borghese che ha governato la Catalogna quasi ininterrottamente per circa un trentennio tra malagestione della cosa pubblica (esponenti della CDC sono accusati per casi di corruzione, sottrazione di denaro pubblico, finanziamento illegale; lottizzazione partitica e controllo dei mezzi pubblici di comunicazione, mediante i quali la Destra ha potuto esercitare l’egemonia entro il catalanismo) e politiche antisociali. Infatti, Artur Mas viene rifiutato in quanto responsabile delle politiche neoliberiste applicate nella Generalitat in questi ultimi cinque anni: tagli alla sanità ed alla educazione pubblica; tagli ai salari dei dipendenti pubblici; aumento delle tasse universitarie; aumento dei prezzi nel trasporto pubblico; limitazione dell’accesso al reddito minimo garantito e degli aiuti per le famiglie con figli minori di 3 anni; privatizzazioni. Insomma, i governi di CiU guidati dall’uomo della discordia hanno inflitto un duro colpo allo Stato sociale (tagli per 2.6 miliardi di euro), contribuito all’ascesa delle diseguaglianze sociali e dell’indice di povertà e accompagnato le politiche del governo di Rajoy, di cui la stessa Destra catalanista ha appoggiato la riforma del lavoro.
La lettura dell’attuale situazione catalana ci porta a ribaltare la narrazione liberale, ovunque diffusa, che vuole una Sinistra radicale irresponsabile ed estraniata dalla realtà. Dal 2010 ad oggi, a causa degli effetti della crisi economica e delle politiche di Artur Mas, si può notare come il catalanismo borghese sia in crisi e sia invece in ascesa il catalanismo di Sinistra (l’area della CUP è passata dalla politica esclusivamente extraparlamentare a portare sino a dieci suoi membri nel Parlament; la Esquerra Republicana, entro la piattaforma socialdemocratica di l’Esquerra pel Dret a Decidir, alle ultime elezioni europee si era imposta come prima forza catalana decretando ufficialmente la fine dell’egemonia liberale di Convergencia; alle recenti elezioni generali, ERC ha preso circa 600000 voti contro i 560000 di CDC, la quale è stata scavalcata anche dal Partit Socialista ed è divenuta la quarta forza politica della Generalitat). Oltre alla ridefinizione della forza entro la storica dicotomia del catalanismo, contemporaneamente è emerso il nuovo soggetto populista progressista- al cui centro c’è la federazione di Podemos- i cui successi elettorali (elezione di Ada Colau come sindaco di Barcellona; trionfo elettorale di En Comù, prima forza politica catalana con circa 930000 voti alle elezioni generali del 20 dicembre) dimostrano come la questione sociale sia sempre più importante, per i catalani, rispetto alla questione nazionale e come quest’ultima sia stata utilizzata dal partito di Artur Mas per tentare di nascondere le proprie malefatte.
Di fronte a questa situazione, la scelta della CUP appare non solo come coerente ma anche come la più responsabile al fine di portare a termine un processo indipendentista democratico. Ciò che appare del tutto insensata è l’ostinazione di JxS. Infatti, se Junts pel Sì avesse proposto un altro nome per l’investitura a presidente (il capolista alle elezioni del 27 settembre Raul Romeva, il segretario di ERC Oriol Junqueras o chiunque altro non riconducibile alla Destra ed alle riforme antisociali del governo di CiU) ora la Catalogna avrebbe già il suo governo indipendentista per guidare il processo di sconnessione dallo Stato spagnolo. Da ricordare anche come, in campagna elettorale, la suddetta coalizione avesse detto che non avrebbe proposto necessariamente Mas, il quale fu relegato a quarto nome della lista, proprio al fine di non legarsi con la sua immagine impopolare. Con il voto catalanista spostato chiaramente a Sinistra e con l’ascesa del populismo progressista sono i catalani indipendentisti e favorevoli al diritto all’autodeterminazione nel loro insieme a non volere un governo guidato da Artur Mas.
Ora è necessario vedere se Junts pel Sì sarà finalmente disposta a rinunciare a Mas; dato che nessuno vorrebbe esporsi al rischio di un imminente ritorno al voto, ciò potrebbe non essere così improbabile come vuole la maggioranza della stampa catalana e spagnola. Decisiva sarà l’odierna riunione dell’esecutivo nazionale dell’Esquerra Republicana. Del tutto incomprensibile la sua scelta di sostenere l’esponente liberale e di non aver usato la propria forza entro la coalizione per convogliare, da subito, a Sinistra il processo indipendentista. Quest’ultimo verrebbe posto in crisi da un esecutivo formato dal leader di Convergencia; non solo perché lo renderebbe meno democratico ma anche perché potrebbe consentire al progetto federalista del populismo di Sinistra di catturare il consenso dei tanti catalani insofferenti per il crescente disagio sociale, screditando l’idea di indipendenza come necessaria per il miglioramento delle condizioni reali delle persone e infine conducendo alla risoluzione del conflitto tra la Catalogna e lo Stato centrale. Perciò, legare la costruzione della Repubblica Catalana ad un progetto di rottura con il neoliberismo ed in favore della maggioranza della popolazione, privando la classe politica catalanista borghese della conduzione del processo, ben lungi dall’essere un pretesto ideologico è il solo modo per giungere all’emancipazione nazionale in questo momento storico.

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