Liberarsi dalla cultura della dipendenza

30 Aprile 2007

di Marco Ligas

In genere quando sì da vita ad una iniziativa editoriale si affidano a questo progetto obiettivi impegnativi: se è la sinistra a promuoverla ci si propone di sollecitare il confronto e l’aggregazione in uno schieramento diviso, oppure di trasformare in progettualità esigenze di crescita democratica della società.
A volte davanti a queste proposte si rimane scettici o comunque poco entusiasti, si ritengono ripetitive, poco originali. Anche stavolta qualche compagno, informato della nostra decisione di aprire un sito internet, ci ha posto questa domanda: perché anche voi del manifesto vi mettete a scrivere su internet, c’è già tanta gente che lo fa, quale obiettivo pensate di raggiungere, contribuirete a intasare la rete.
È vero, c’è tanta gente che scrive e a volte lo fa anche bene; siamo dunque consapevoli di correre i rischi che qualcuno intravede. Tuttavia sentiamo l’esigenza di intervenire nel dibattito che riguarda il presente e il futuro della nostra isola (e non solo) perché riteniamo che anche in Sardegna stampa e televisione non forniscano un’informazione critica adeguata sull’operato dei partiti e su chi effettua le scelte che riguardano il lavoro, la politica economica, ambientale e culturale; su chi insomma decide della vita delle persone.
Vogliamo contribuire a colmare questo vuoto e contrastare una cultura della dipendenza che si è radicata e diffusa nella nostra società e che ha in parte coinvolto anche i sostenitori della politica dell’alternativa: in realtà il berlusconismo ha messo radici non solo fra le forze che apertamente lo sostengono ma anche fra chi dichiara di contrastarlo.
Ostacolare la cultura della dipendenza significa innanzitutto ribadire il rifiuto delle guerre e ricordare ai governi dei paesi ritenuti amici che la politica estera del nostro paese deve essere frutto delle nostre decisioni. Non bisogna tentennare in proposito, né balbettare con imbarazzo se i nostri alleati dichiarano di non condividere le nostre scelte come è successo per la liberazione di Mastrogiacomo. Recentemente è stato deciso che la Us Navy andrà via da La Maddalena. Non sappiamo se questa decisione sia dovuta al cambio di strategia degli Usa o all’impegno delle popolazioni sarde perché venisse liberata l’isola dalle servitù militari. Probabilmente hanno influito entrambi i fattori, e non vogliamo sottovalutare il ruolo svolto dal presidente della regione. Ci sembrano opportune piuttosto due precisazioni. La prima è che se ha avuto un peso la posizione del nostro paese, il merito principale va attribuito alle quelle decine di migliaia di cittadini sardi che nel corso di questi decenni hanno ripetutamente rivendicato il ritiro delle basi. La seconda riguarda il destino delle aree liberate dalle servitù. Cosa accadrà ora? Prenderà il via la cosiddetta riconversione turistica con alberghi magari a cinque stelle e la costruzione di un porto per le grandi imbarcazioni? Le lotte dei cittadini sardi non erano finalizzate al passaggio di consegne dalla marina militare statunitense agli speculatori dell’industria del turismo. Tanto più che alla Maddalena risulta prioritario un problema grave di bonifica per la presenza di acqua radioattiva.
Contrastare la cultura della dipendenza significa inoltre attivarsi perché i problemi dell’occupazione trovino soluzioni adeguate. Non solo sono necessari nuovi posti di lavoro ma occorre dare stabilità a quelli esistenti. Noi sentiamo ripetutamente che bisogna evitare le monoculture (vedi petrolchimica), che occorre investire nella formazione e nelle infrastrutture per incentivare nicchie produttive, che il turismo è una grande risorsa e così via, intanto non si spendono le risorse finanziarie disponibili e continua il ricatto dei licenziamenti portato avanti dalle imprese nate col sostegno pubblico. ‘I lavoratori non hanno giunte regionali o governi amici – ripetono i dirigenti dei sindacati sardi – e se sarà opportuno si arriverà allo sciopero generale’. È un principio sacrosanto che giustamente pone le esigenze dei lavoratori ai primi posti. L’impressione che si ricava però è che sia vero che i lavoratori non abbiano amici fra i governanti, ma che siano alcuni dirigenti sindacali ad essere amici e politicamente dipendenti dai governanti. Perché le piattaforme contrattuali non si preparano con i lavoratori e gli accordi ipotizzati con gli esecutivi non si sottopongono poi a verifica nelle assemblee sindacali (siamo dei passatisti a sostenere queste cose?).
La verità è che il discorso sulla democrazia è diventato un’emergenza. Con questa affermazione non pensiamo a pericoli golpisti ma al venir meno del processo di partecipazione dei cittadini alla vita politica e sindacale del nostro paese. Anche la legge statutaria approvata recentemente dal consiglio regionale consolida questa tendenza. E non è accettabile l’ipotesi che l’esigenza di governabilità comporti l’attribuzione del massimo dei poteri al presidente dell’esecutivo. Il ruolo di capo indiscusso è sempre una pessima scelta perché indebolisce i principi fondamentali della democrazia quali la partecipazione, la collegialità e il consenso. Siamo convinti che sia possibile creare un quadro legislativo che abbia i contrappesi necessari per garantire la gestione equilibrata del governo della Regione.
C’è oggi un altro versante da cui partono offensive contro le libertà delle persone. È quello delle organizzazioni della chiesa cattolica. E l’atteggiamento dei poteri costituiti è ancora una volta di dipendenza, quasi di accettazione delle critiche rivolte. Con una disinvoltura davvero sorprendente la Cei considera i dico strutture che alimenterebbero pedofilia e incesto. Potremmo rispondere con ironia a queste illazioni e alle nuove scelte operate dal papa, magari chiedendo a Roberto Benigni una ricollocazione dei personaggi che Dante ha sistemato nel limbo. Preferiamo comunque rivendicare il rispetto dei diritti delle persone e suggerire alla chiesa cattolica di riconsiderare le sue scelte sulle questioni relative al matrimonio e alla sessualità.
Ecco, questi sono alcuni dei temi sui quali vorremmo intervenire con questa iniziativa editoriale-mediatica, chiedendo a tutti la massima partecipazione e avendo la consapevolezza di quanto sia indispensabile la pratica dell’inchiesta e la riflessione teorica che poggia su solide basi conoscitive.

P.S. Il manifesto sardo ha già avuto una sua storia negli anni 1972/73. Il direttore del quindicinale era Salvatore Chessa. Lo ricordiamo in questa occasione apprezzandone l’intelligenza e l’impegno politico profuso nella sinistra comunista.

18 Commenti a “Liberarsi dalla cultura della dipendenza”

  1. Francesco Birocchi scrive:

    Caro Marco,
    dicono i meteorologi che il battito delle ali di una farfalla in Brasile può mettere in moto una catena di eventi capaci di provocare una tromba d’aria nel Texas. E in fisica si ricorre all’effetto farfalla per definire l’idea che piccole variazioni nelle condizioni iniziali possono produrre grandi variazioni nel comportamento di un sistema. Auguro al neonato “Manifesto Sardo” di essere portatore di un effetto simile nel panorama dell’informazione nella nostra Isola. Il mezzo scelto, Internet, può suscitare qualche perplessità ai vecchi appassionati del cartaceo di grande formato, ma offre opportunità di diffusione di idee e di dibattito infinitamente superiori. E di idee chiare il “Manifesto sardo” ha dimostrato di averne fin dal primo numero. Un grosso “in bocca al lupo” a tutti i colleghi, Francesco Birocchi

  2. Bobbotti scrive:

    Felice di trovarvi. A medas annos!

  3. pierluisa scrive:

    penso che vi seguirò con passione e attenzione,credo anche che per liberarsi dalla cultura della dipendenza sia importante definire ciò che si intende per terrorismo distinguendolo bene da ciò che tale non si considera e sostenere che lo si ravvisa o no nelle varie situazioni sottraendosi alle pressioni seducenti e omologanti; riflettere sull’idea di sicurezza declinandola in molte sue sfaccettature e coniugandola con altri bisogni altrettanto importanti e decisivi smascherando con tenacia quotidiana tutti isuoi usi strumentali(e rifiutandoli); definire modelli di comportamento per le forze dell’ordine e pretendere che queste vengano formate di conseguenza impedendo che il braccio operativo del delicato monopolio della violenza risulti affrancato dall’impegno civile e democratico.

  4. Mario Pireddu scrive:

    Ben arrivati in rete. Auguri e a chent’annos!

  5. Alessandro Talu scrive:

    Non posso che essere contento e soddisfatto per la vostra idea.
    I migliori auguri da un sardo che spera di ritornare presto nella sua (nostra!)splendida isola per mettere a frutto quello che, purtroppo, è stato costretto a imparare “in su continente”!

  6. simone scrive:

    Complimenti vivissimi e tanti auguri da un sardo impiantato temporaneamente a Roma, lettore del manifesto, entusiasta e speranzoso per questa vostra nuova iniziativa editoriale, per se stesso e per tutti quei sardi che credono nella necessità di un cambiamento radicale per la nostra isola, nella nostra politica e nella nostra testa.
    Non mollate. Di nuovo tanti auguri.

  7. Alberto porcheddu scrive:

    Con tanto piacere vi seguirò passo per passo, grazie per un’alternativa più che fondamentale. Su ballu tundu…torradu a nos’acciappare….

  8. elio scrive:

    Caro Marco
    Ho letto oggi l’iniziava de “il manifesto sardo”.Condivido con te le analisi e le preoccupazioni che descrivi nel tuo articolo.Ben vengano nuove voci di speranza!…Tu fai bene a denunciare che siamo di fronte a una fase di emergenza democratica.I politici nelle istituzioni sono sempre piu’ distanti dai bisogni e dai problemi dalle persone .Io mi chiedo e forse siamo in molti a chiedercelo,com’è sia possibile che una giunta di centro sinistra non ha ancora approvato il bilancio e siamo nel mese di maggio!?…E mi chiedo ancora ,com’è possibile che nessuno pronunci una parola di critica per cio’ che sta’ accadendo nelle aule del consiglio regionale (non vorranno farci credere che il bilancio è un fatto tecnico?)
    ?!…Se l’avesse fatto un governo di centro destra avremo occupato l’aula del Consiglio Regionale; e avremo fatto bene..I sindacati hanno ragione a dire che non ci sono governi amici.Sono certo che anche “il Manifesto Sardo” aiutera’ a ricostruire la democrazia in questa fase di emergenza e si battera’ perche’ venga restituita la Politica alla societa’ anche attraverso quegli strumenti di cui i questi giorni si parla molto, il Cantiere.Il Cantiere per chi non ha lavoro, il Cantiere per chi ha un lavoro precario , il Cantiere per chi non ha una pensione dignitosa,il cantiere per il diritto alla salute e alla vita, e come diceva Gramsci: il Cantiere per il diritto alla verita’!Auguro a te e a tutti i compagni un buon lavoro!
    Ti abbraccio elio pillai

  9. massimomarini scrive:

    Ben trovati… Però perché non predisporne una versione cartacea magari inserita nell’edizione sarda del Manifesto? (Se non sbaglio in Sardegna il Mani viene stampato a Cagliari).

  10. Shardana scrive:

    A ben resessìre,augurios a tottu bois.
    A chent’annos

  11. essential scrive:

    Putroppo per la sinistra emanciparsi dalla cultura della dipendenza ha diverse contraddizioni.
    1) Per essere indipendenti deve crescere l’economia isolana e può farlo solo con l’iniziativa privata.
    2) i mega piani industriali (petrolchimico etc) sono venuti proprio dalla cultura statalista dirigista della sinistra.

    Se ci Pensate bene è meglio crescere autonomi all’interno dello stato Italiano che diventare rapidamente come l’Albania con uno stato indipendente governato da GAvino Sale

  12. graziano scrive:

    Cari compagni, sono un pensionato che abita a Torino, ma anche interessato alla vostra bella isola e alla sua storia. Questa vostra iniziativa la trovo molto utile. Spero che cresca e si consolidi. Vi auguro buon lavoro e prometto di seguirvi con attenzione. Saluti da Graziano.

  13. Pietro e Elisabeth scrive:

    Cari del Manifesto Sardo,
    bene arrivati. E’ stata una bella scoperta per noi. Speriamo solo che riusciate a farne anche una versione cartacea, magari iniziando così come ha fatto la nostra comune amica rivista “Carta”, per la quale sarebbe bello riuscire a fare anche un “CartaQui Sardegna”. Ci associamo, quindi, alla proposta di Massimo Marini. Pur conoscendo le grandi difficoltà che comporta penso al famoso “digital divide”. Noi, con la nostra libreria, siamo pronti a collaborare nella sua diffusione.
    Il nostro invito é quello non di cominciare, come spesso é uso, tra noi sardi in particolare ma non solo, a creare steccati e divisioni (il messaggio di “essential” non ci é piaciuto per niente)
    Tantissimi auguri

  14. alessandro montisci scrive:

    Lavoro nel campo della salute mentale; oggi ricorre il 29° anniversario dell’approvazione della L.180, una delle leggi di cui il nostro paese può ritenersi più fiero e che segna un importantissimo passo avanti verso l’accrescimento del nostro livello di civiltà e di democrazia; in modo estremamente sintetico essa dice che nessuno può essere escluso e che i diritti, la libertà e la dignità di una persona non possono essere sospesi per nessun motivo. Credo che parlando di diritti (lavoro, salute, istruzione, casa, ecc.) e di democrazia le esperienze innovative presenti nella salute mentale possano costituire, tra l’altro, un osservatorio privilegiato e una palestra pratica dove i grandi principi trovano subito la possibilità d’incidere sui destini di vita concreti delle persone. Sarei contento se il manifesto sardo, recentemente nato, riuscisse ad essere una sponda cultural-politica-informativa per il nostro movimento. Sarebbe infine opportuno prevedere un incontro non troppo lontano nel tempo tra tutti coloro che sono interessati a sfruttare le opportunità offerte dal manifesto sardo. In ogni caso vi auguro un lavoro fruttuoso!

  15. Mimmo Bua scrive:

    caro marco
    ti faccio i migliori auguri per questa tua (insieme agli amci e compagni) ennesima prova di coraggio e di impegno: nella situazione che descrivi con esattezza e chiarezza una voce come questa del Manifestosardo mi sembra quanto mai opportuna e necessaria. Ho l’impressione infatti che – a parte i giovani e la speranza dura a morire – si sia sempre meno a difendere ideali e valori come quelli per i quali tu e gli amici-compagni della redazione vi siete sempre battuti con coerenza e senza indulgere a compromessi.o cedimenti
    Darò il mio contributo per quel che posso e sarò un assiduo lettore del giornale (internet o cartaceo, ritengo che ormai non faccia grande differenza e che abbia ragione Birocchi a dire che probabilmente internet è ancora meglio; una forma più agile di comunicazione, facilmente ‘scaricabile’ anche per chi non avesse in casa un computer).

  16. Francalisa Iannucci scrive:

    Una novità molto interessante, un’altra voce in Sardegna. Buon proseguimento!
    Francalisa Iannucci

  17. mimmo bua scrive:

    All’augurio di Francalisa (se fossi autorizzato a farlo, ma non lo sono e non me ne arrogo né il diritto né la facoltà) mi permetterei di aggiungere: perché non augurarci tutti di proseguirlo insieme, dando ognuno il contributo che può dare?
    Insomma, sarebbe auspicabile che non andasse come è (quasi) sempre andata negli ultimi quarant’anni di “milutanza”:(il quarantennale si compie giusto l’anno prossimo): dieci o quindici “cristi” – quando sono molti – si caricano la “croce” e gli altri seguono in “preocessione”.: magari con un atteggiamento giustamente critico, come santa democrazia esige: ovvero delegando ai dieci-dodici e pretendendo da loro anche le cose che non si possono certo fare o realizzare in 10 o 12. Anche se resto donchisciottescamente convinto che basterebbero 100.
    Ovviamente, cento non-deleganti ma – come ancora si usa dire – partecipanti.

  18. Francalisa Iannucci scrive:

    Giusto :partecipanti, non deleganti. Che ognuno di noi sfoderi idee. Io mi occupo di cose d’arte, in politica ho delle idee, ma sono un po’ confuse. Per dare un esempio della mia confusione, vi riporto parti di un articolo che ho letto oggi su un quotidiano dell’isola.
    Sono rimasta colpita dal ripetersi di un problema che occupa molto i pensieri dei sardi e non solo sardi: quello dei nomadi, diversi, emarginati e extracomunitari. Una grossa percentuale della nostra popolazione che ha inferto una svolta epocale alla nostra società.
    Bene, dice in prima pagina il quotidiano: Blitz coi blindati al campo nomadi. Abbattute baracche abusive.. Imponente schieramento delle forze dell’ordine, sessanta vigili urbani scortati dai blindati dei carabinieri e poliziotti. Pala meccanica del comune di Cagliari per radere al suolo due baracche abusive. Espulsi 15 nomadi “per gravi e reiterate violazioni al regolamento interno del campo”. Presenti le assistenti sociali allo sgombero (per dare un tocco umanitario all’operazione) Durata cinque ore.(Se non fosse per le assistenti sociali, direi che é un blitz israeliano a Gaza)
    Siamo di fronte a un pogrom o a qualcosa che gli assomiglia molto? Non agitiamo nessun campanello d’allarme? O è solo la confusione berlusconiana che mi porto appresso?
    A risentirci.

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