L’obiettività indifferente degli scienziati

1 Marzo 2010

baracca

Angelo Baracca

«Questa canzone è dedicata a tutti coloro – e sono tanti – che, pur essendo partecipi di eventi fondamentali della storia . . . nemmeno se ne accorgono» [Enzo Jannacci, Prete Liprando] Il 2/10/2009 un consistente insieme di giovani, e meno giovani – un insieme variegato, colorato, di tantissimi paesi del mondo, di tante lingue, colori, fedi – intraprese una marcia che ha attraversato tutto il mondo, e si è conclusa il 2/1/2010 dopo essere passata per circa 90 paesi, con un’idea un po’ utopica, qualcuno potrebbe pensare un po’ pazza: contribuire a costruire un mondo libero da guerre, da armi terribili di tutti i generi (in primo luogo nucleari), dalla violenza dei (pochi) più forti e potenti sui (tantissimi) più poveri e diseredati. Lo scalpiccio dei loro piedi, di tutti i colori, sul Pianeta, le loro voci, di tutte le lingue ma purtroppo flebili, non hanno purtroppo destato la risonanza, l’appoggio, la partecipazione che avrebbero meritato: un po’ per loro ingenuità o inesperienza (che non sono una colpa, visto che l’astuzia e l’esperienza sono per lo più utilizzate per esercitare il potere), un po’ per i calcoli e gli interessi che predominano nell’agire politico, molto perché l’indifferenza della maggioranza della gente si basa proprio sull’ignoranza (anche, se non in primo luogo, di tante persone “colte”, per le quali diviene presunzione, quando non vera e propria disonestà), sull’inconsapevole convinzione che i propri problemi quotidiani, spesso di sopravvivenza materiale, non abbiano nulla a che vedere con le guerre, con le armi, e con la violenza che i marciatori denunciavano. È il caso di aggiungere che non solo li ha ignorati la politica – che, ahimè, è per lo più strumento di potere e di malaffare anziché, come dovrebbe essere, di liberazione e di giustizia – ma li hanno ignorati (o considerati marginalmente, quel tanto che non pregiudica le logiche dominanti) perfino le religioni, quelle che per loro natura dovrebbero avere la persona come valore fondamentale, ma che vediamo troppo stesso, oggi e in tutta la storia, trasformarsi in intolleranza e violenza (anche se quasi sempre pilotata da regie e interessi superiori). Ovviamente vi sono state le debite eccezioni, e molto importanti: soprattutto di quei governanti che negli anni più recenti sono stati capaci di diventare espressione genuina di popoli oppressi ed emarginati da secoli. Eppure, come non vedere oggi un mondo alla deriva, in preda ad una crisi epocale di valori, prima ancora che economica, in cui gli armamenti sono il motore dell’economia, in cui le guerre dilagano, per il dominio di aree strategiche e di risorse in via di esaurimento, con l’uso dei ritrovati scientifici e tecnici più “avanzati” a fini di morte e di distruzione! Più di un anno è ormai passato da quando il presidente degli Stati Uniti, Obama, ha fatto eclatanti promesse, riecheggiate dal presidente russo Medvedev, di ridurre drasticamente gli armamenti nucleari, riprendendo il cammino per la loro totale eliminazione. Ma non si è vista ancora una decisione concreta, e le trattative tra le due potenze, che sembravano dover concludersi prima del Natale 2009, si stanno protraendo oltre ogni limite prevedibile. Nel frattempo vi è stato il fallimento dell’ennesimo vertice sul clima. Come evitare il dubbio che i calcoli di potere, di conservazione del dominio, abbiano ora come sempre il sopravvento sull’interesse – prioritario, supremo e universale – dell’umanità? Nell’assordante silenzio delle persone “colte” spicca l’indifferenza e lo scetticismo degli scienziati. Non perché nella comunità scientifica manchino le voci, anche molto autorevoli, che denunciano con forza le crisi epocali che minacciano il Pianeta e l’umanità. Non perché manchino scienziati, istituzioni, che si dedicano a ricerche di carattere ambientale. Il parere che ho cercato di affermare in tutta la mia vita professionale è che queste importantissime voci, queste esperienze vitali, non intacchino la posizione e la pratica di una comunità scientifica che ha sposato l’atteggiamento di sfruttamento della natura e delle sue risorse. Rimangono, purtroppo, eccezioni quegli scienziati e tecnici che hanno saputo (voluto) fare una vera scelta di campo: con gli sfruttati contro gli sfruttatori, con i deboli contro i forti; anche, e in primo luogo, nella loro pratica scientifica concreta e quotidiana. Purtroppo l’opinione pubblica ignora (o meglio, viene tenuta all’oscuro) che una fetta enorme (difficile da quantificare, ma qualcuno parla di circa metà) della comunità scientifica lavora a tempo pieno in laboratori militari, o comunque su ricerche finalizzate a sviluppare strumenti più efficaci di morte, di distruzione, o in ogni caso di sfruttamento, dell’uomo e della natura. Non è certo colpa dei marciatori se questi problemi non sono stati scalfiti: il loro richiamo è stato, e rimane, a tutte le persone di buona volontà perché si responsabilizzino e prendano nelle proprie mani il destino loro e di tutta l’umanità. Il diario di Emilia Giorgetti  racconta un pezzetto di percorso di una marciatrice. La vivacità del racconto testimonia del valore di questa esperienza che l’ha portata a contatto con realtà e persone di tanti paesi, con i loro problemi, scavati spesso sotto la crosta della realtà o dell’apparenza. Palesa anche, con i toni freschi di sorpresa o di disappunto, le carenze, le ingenuità, l’inesperienza della marcia, magari l’inaffidabilità o l’opportunismo di certi referenti locali. Ma ribadisce nella sostanza un concetto fondamentale: nessuno dei problemi epocali che gravano sull’umanità e sul pianeta potrà essere risolto se tutti noi, ciascuno di noi, non prenderemo nelle nostre mani, direttamente e in prima persona, la situazione e il destino proprio e della comunità umana, smettendo di confidare che qualcuno possa (voglia) risolverli per noi – si tratti di politici, di scienziati, di religiosi, di profeti!

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