Africa e nuovo Coronavirus: cosa sono i “Veronica bucket” e perché potrebbero essere utili?

26 Marzo 2020
[Fabio Piu]

Cosa succederebbe se l’emergenza Coronavirus esplodesse anche nei Paesi africani? È una domanda alla quale non è facile dare risposta: in primo luogo, occorre considerare la profonda differenza tra i Paesi del continente, molto esteso e dunque impossibile da catalogare come un elemento unitario per il quale valgono dinamiche uguali e generali; in secondo luogo, il Coronavirus (SARS-CoV-2, da non confondere con la malattia da esso provocata, denominata COVID-19) è un virus nuovo, perciò non se ne conoscono ancora tutte le caratteristiche e le condizioni più favorevoli per la sua diffusione.

Ciononostante, possiamo dire con certezza che i Paesi africani in cui si sono registrati contagi sono oggi 46, e in 16 di questi ci sono state le prime vittime (dati diffusi dall’Unione africana). Gli scienziati e i medici si interrogano sullo scenario possibile in molti di questi Paesi, soprattutto in seguito alle dichiarazioni con cui l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha avvertito i Paesi africani di prepararsi all’emergenza.

“Il miglior consiglio che posso dare al mio continente è di prepararsi al peggio e prepararsi ora. Il mio continente deve svegliarsi”. Le parole di Ghebreyesus sono senza dubbio un monito forte, difficile da ignorare. È altrettanto difficile, però, non porsi altre domande, non chiedersi come possano, tanti di questi Stati, fronteggiare l’epidemia con prontezza e in modo capillare. Come sottolinea Don Dante Carraro, direttore di Cuamm Medici con l’Africa, a preoccupare è, in particolare, la scarsità di posti in terapia intensiva, che renderebbe impossibile curare i malati, ma anche di laboratori di microbiologia e di reparti di radiologia per accertare i contagi. Il rischio è dunque che i malati non possano essere curati e che, tanto gli asintomatici quanto i sintomatici, nell’impossibilità di avere accertamenti sulle loro condizioni di salute, possano infettare gli altri, aprendo le porte alla diffusione del virus. Le parole di Don Dante lasciano però uno spiraglio alla speranza: per molti Paesi l’Ebola è una ferita che non si è ancora totalmente rimarginata e, per questo motivo, l’attenzione e la sensibilità nel prevenire e contenere le epidemie continuano a essere alte. Sono sempre più numerosi i Paesi africani che pongono severe limitazioni negli spostamenti aerei e terrestri e che si avviano gradualmente al lockdown totale.

È proprio dall’emergenza causata dall’Ebola e dagli studi di alcuni ricercatori africani che si possono ricavare e sfruttare alcuni accorgimenti che, seppur non garantiscano, singolarmente, di evitare il contagio, possono certamente contribuire a limitarlo. Le raccomandazioni che ci forniscono i nostri Sistemi sanitari nazionali e l’Organizzazione mondiale della sanità ci invitano a curare in modo ancora più meticoloso l’igiene personale e, in particolare, quella delle mani, che rappresentano una delle vie primarie del contagio. Occorre lavarle spesso con sapone e evitare il più possibile di toccare occhi, naso e bocca quando queste potrebbero essere contaminate (prima di averle lavate). Questi accorgimenti sono senza dubbio facilmente attuabili nei Paesi occidentali, in cui i servizi essenziali sono garantiti ovunque e in cui l’acqua corrente arriva in ogni abitazione. Come può curare però l’igiene delle mani, con costanza e frequenza, chi abita in zone in cui le fonti d’acqua sono lontane anche molti chilometri? Questa è una delle tante incognite che rendono preoccupante lo scenario africano qualora il Coronavirus dovesse diffondersi con numeri importanti come sta ormai accadendo in tante parti del mondo.

Un aiuto potrebbe essere rappresentato dai “Veronica bucket”, ideati dalla ricercatrice ghanese Veronica Bekoe. Laureatasi in Biologia presso la Kwame Nkrumah University of Science and Technology, ha lavorato fino al 2008 per il Servizio sanitario ghanese, occupandosi per anni della lotta contro AIDS e HIV. Negli anni ’90 fu scelta come responsabile di una campagna di sensibilizzazione per la prevenzione dalle infezioni, che la portò viaggiare per il Paese. Fu in questa circostanza che, consapevole dell’estrema importanza dell’igiene delle mani per prevenire le infezioni, ebbe l’intuizione di aggiungere alla base di un bidone di alluminio colmo d’acqua un piccolo rubinetto, in modo tale da far scorrere facilmente l’acqua da utilizzare per il lavaggio delle mani. Grazie a questa brillante intuizione, Bekoe ideò dai dispositivi facilmente realizzabili in ogni parte del suo Paese e poi del continente, capaci di garantire a uomini, donne e bambini di lavarsi le mani anche in quelle aree sprovviste di acqua corrente. La diffusione dei “Veronica bucket” fu immediata e si estese a tanti altri Paesi del continente: non è raro vederli nelle scuole, negli ospedali, nei luoghi di culto o nei supermercati. Come sostiene la stessa ricercatrice, affinché questi strumenti abbiano efficacia, è necessario, prima di tutto, che sia i contenitori che l’acqua siano sempre puliti e che non si depositino detriti. Per questo motivo, il suggerimento di Bekoe è di utilizzare secchi non troppo grandi, con una capienza di massimo 30-40 litri.

Con il passare degli anni il sistema è stato perfezionato e, soprattutto nell’ultimo periodo, con il prorompere dell’emergenza del nuovo Coronavirus, sono state apportate alcune migliorie, anche grazie all’ausilio della tecnologia: un gruppo di studenti dell’Obuasi Senior High Technical School, in Ghana ha realizzato un modello provvisto di sensori, capace di erogare l’acqua senza che si debba toccare il rubinetto. In questo modo, come sostiene uno degli studenti che ha contribuito alla realizzazione del progetto, si evita anche il contatto con la superficie potenzialmente infetta.

Se è vero che i problemi che il continente africano dovrà affrontare nella lotta al Coronavirus sono e saranno tanti, è altrettanto vero però che può contare su uomini e donne preparati, con enormi competenze e potenzialità, come dimostrano l’esperienza di Veronica Bekoe e l’inventiva degli studenti del liceo ghanese. Non meno importante, indubbiamente, la risposta sia dell’Organizzazione mondiale della sanità che dell’Unione africana che, insieme all’Africa Centre for Disease Control and Prevention, ha costituito la Africa Task Force for Novel Coronavirus, con l’obiettivo di supportare i Paesi nella lotta al Coronavirus.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI