Una casa della solidarietà

24 Novembre 2025

[Gianni Loy]

Leggo che il Comune di Cagliari ha deciso di realizzare nei locali della mensa e del dormitorio della Caritas, in Viale S. Ignazio, una “Casa della solidarietà”, dove ospitare uomini e donne che hanno necessità di essere aiutate.

Una Casa della solidarietà che, da quanto leggo, è stata concepita “con il cuore”, visto che non è soltanto un tetto, ma un complesso di servizi studiato per rispondere alle esigenze degli ospiti nel rispetto della loro dignità, con l’attenzione rivolta alle situazioni di emergenza e persino agli animali, a quei cani che, non di rado, accompagnano le peregrinazioni di alcuni di essi. 

Ché di solito se ne parla – con compassione condita con un pizzico di romanticismo – solo quando in una notte di gelo, nell’antro di un portone, muoiono assisiti dal guaire disperato e solitario di un cane fedele.

Un progetto, quello presentato dal Comune, che intende mantenere le persone nel centro della città, come è giusto che sia.

Colgo, in quel progetto, un segnale di speranza in un momento nel quale, nel nostro paese, si discute su come distribuire le poche risorse disponibili tra le diverse fasce di ricchezza, e si fanno le barricate – manco fosse il Piave da difendere dallo straniero – giurando in coro, e non solo a Pontida, che la patrimoniale non passerà.

Ma non ho avuto neppure il tempo di rallegrami che, appena qualche giorno dopo, ho letto di un’interrogazione in Consiglio comunale che mette in discussione “l’opportunità del progetto ‘casa della solidarietà’ in viale S. Ignazio, alla luce della vocazione universitaria della zona”.

Scrivono i firmatari, che invito a meglio riflettere, che “la convivenza di strutture di accoglienza per fasce sociali fragili può comportare impatti significativi sia sul tessuto urbano che sulle dinamiche sociali, culturali e ambientali della zona”, e che occorre adottare misure “per garantire una convivenza positiva per conciliare sia le esigenze delle persone fragili sia la qualità della vita e della formazione per gli studenti universitari”.

Quindi, dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assettati, vestire gli ignudi, eccetera eccetera … peggiorerebbe la qualità della vita degli studenti e disturberebbe la loro formazione? Ma come, e perché? 

E non potrebbe essere, invece, un’opportunità, più consona al concetto di universitas, che include e non esclude; un’occasione educativa per liberarci dall’arrogante propaganda di chi, e non da oggi, vorrebbe persuadere l’opinione pubblica di un’inesistente equazione povertà-insicurezza?

Non potrebbe essere l’occasione per far prendere coscienza ai giovani – che si formano per un futuro che non ci appartiene – che tra quei “poveri” che ricorrono all’assistenza si incontrano, sempre più, lavoratori e lavoratrici che un lavoro ce l’hanno, ma con un salario così misero che li costringe a ricorrere all’assistenza. Proprio così, visto che l’altra linea Maginot, oggi in Italia, è quella di chi si oppone a che venga riconosciuto a tutti un salario minimo di appena 9 euri lordi all’ora, e non fa niente per opporsi al dilagante sfruttamento delle categorie più deboli.   

Non potrebbe essere l’occasione per ulteriormente approfondire – l’università c’è anche per questo – gli intrecci tra economia, lavoro, sicurezza e tante altre cose?

Credo che sarebbe bene, se possibile, evitare una campagna di scomposta opposizione ad un lodevole provvedimento a favore delle persone più bisognose, cioè di quanti, nel chiuso di una chiesa, ancora ci azzardiamo a chiamare fratelli e sorelle.

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