Accoglienza con le sbarre

16 Giugno 2008

Nave negriera
Manuela Scroccu

Grande struttura, sobria ma attrezzata, 240 posti letto, ideale per soggiorni brevi ma prolungabili, infermeria, varie sale per attività ricreative, telefoni per le chiamate internazionali, vicino all’aeroporto, vista sullo stagno e i fenicotteri rosa. La conferenza stampa di presentazione del nuovissimo centro di primo soccorso e di prima accoglienza della Sardegna, ospitato in una palazzina di due piani all’interno dell’aeroporto militare di Elmas, il cui adeguamento è costato cinquecentomila euro, sembra quella di una colonia estiva un po’ spartana. Se si sorvola sulle sbarre alle finestre, però, e sulle telecamere di video sorveglianza ai cancelli e sul servizio d’ordine composto da venti poliziotti e venti carabinieri. La Sardegna ha il suo primo centro per l’immigrazione clandestina. Ben lontano dalla strada e dal centro abitato più vicino, all’interno di una zona militare. Non è un famigerato CPT (centro di permanenza temporanea), che il nuovo governo ha diligentemente ribattezzato centro di identificazione e di espulsione, ma un centro di primo soccorso e accoglienza. Ad esso dovrebbero essere destinati gli immigrati irregolari che arriveranno sulle coste sarde, e che verranno trattenuti per il tempo necessario (massimo 48 ore) a garantire un primo soccorso e consentire l’identificazione dello straniero. Successivamente i clandestini verranno inviati ai centri di identificazione ed espulsione veri e propri. Per il momento, però, il centro di Elmas ospiterà gli irregolari richiedenti asilo, provenienti da altri centri dove sono stati già identificati. La psicosi da invasione, annunciata dai giornali per gli sbarchi di clandestini in Sardegna, verrà forse placata. In nome del turismo di massa, dei sindaci preoccupati di gestire l’emergenza e della sicurezza. E’ da tempo ormai che la politica guarda alla questione dell’immigrazione evocando pericoli di invasioni. Il frutto di questa logica emergenziale è rappresentato proprio dalla creazione di un diritto speciale dei migranti costituito da un insieme di misure amministrative e penali in cui la limitazione della libertà personale non è l’extrema ratio ma la regola, non necessariamente legata a condotte meritevoli di sanzione, ma alla condizione individuale di migrante.
Proprio la detenzione amministrativa è l’aspetto della normativa sullo straniero in cui meglio si evidenzia l’incongruenza di tale politica con i principi dello Stato costituzionale di diritto e del diritto internazionale. D’altronde, fu il primo governo di centrosinistra a introdurre, con la Turco-Napolitano, i centri di permanenza temporanea, assegnando di fatto un ruolo centrale al regime delle espulsioni, compresa la legittimità di trattenere fino al provvedimento di espulsione l’immigrato irregolare. Attualmente, le strutture che accolgono e assistono gli immigrati clandestini sono di tre tipologie. Ci sono i CDA (come il centro di Elmas), con il compito di garantire un primo soccorso e un accoglienza immediata allo straniero irregolare trovato nel territorio dello Stato. I centri accoglienza richiedenti asilo (CARA), che ospitano coloro che, privi di documento di riconoscimento e che si sono sottratti ai controlli di frontiera, fanno richiesta per l’ottenimento dello status di rifugiato. Ed infine i CIE, centri di identificazione ed espulsione, i tristemente famosi ex CPT, a cui il nuovo governo ha cambiato nome forse per lavare via la fama sinistra di nuovi lager, nei quali si può rimanere fino a 60 giorni, in attesa di dare esecuzione ai provvedimenti di espulsione. Centri costantemente sotto accusa da parte delle associazioni che si occupano di diritti civili, come Amnesty International, e della stessa Commissione per le libertà civili e la giustizia del Parlamento Europeo, in cui si denuncia la carenza di assistenza medica e sanitaria. Il Centro di Elmas si aggiunge alla lista. La discussione pubblica è sempre più orientata verso il contrasto degli ingressi e l’aumento indiscriminato delle espulsioni. La confusione tra immigrazione e problema della sicurezza, volutamente strumentalizzata e amplificata dall’attuale governo e mai contrastata con forza da un centrosinistra sempre più confuso in tema di diritti civili, ha abituato l’opinione pubblica a valutare le politiche sull’immigrazione non per la loro attitudine a governare il fenomeno nel rispetto dei diritti civili ma per il numero degli stranieri espulsi. In realtà, proprio questa logica dell’emergenza è alla base di un sistema normativo speciale fortemente instabile e sostanzialmente inefficace. Infatti, le norme sugli ingressi non sono riuscite a governare i flussi bensì, subordinando l’ingresso regolare del migrante all’incontro a livello mondiale tra domanda e offerta di lavoro, hanno costruito meccanismi del tutto irrealizzabili precarizzando, di contro, la figura dell’immigrato regolare. La disciplina restrittiva ha infatti prodotto irregolarità: il 67% degli stranieri irregolari sono entrati nel nostro paese legalmente. Eccoli i clandestini, costretti all’irregolarità da norme inadeguate a governare il fenomeno. Il diritto speciale dell’immigrazione basato sull’emergenza perenne è un fallimento. La concezione del migrante come soggetto in se pericoloso per l’ordine pubblico e come “ospite” costantemente in prova deve essere superata anche attraverso l’introduzioni di strumenti normativi più efficaci. L’immigrazione dovrebbe essere favorita non contrastata, per esempio introducendo un titolo d’ingresso per la ricerca del lavoro, e prevedendo forme di regolarizzazione permanente degli ingressi o dei soggiorni, basate sul decorso del tempo e sull’assenza di condanne penali. Un’eresia proposta congiuntamente da tutte le associazioni che lavorano sul campo. Inascoltate. Basterebbe rileggere i principi fondamentali della nostra Costituzione, ma i tempi non sono decisamente favorevoli. Assistiamo sempre più impotenti alla lenta erosione dei principi fondanti delle democrazie occidentali basate sul riconoscimento dei diritti fondamentali della persona. Tocca resistere. Per esempio si può difendere lo stato di diritto cominciando a chiamare le cose con il loro nome: quando costruiscono “centri di primo soccorso” in aree militari noi continuiamo a chiamarle prigioni.

3 Commenti a “Accoglienza con le sbarre”

  1. Patrizia Sanna scrive:

    chiamare le cose con il proprio nome, tener ferma una chiara visione della democrazia e dei diritti umani, civili e individuali e infine cercare di smorzare i toni di chi vuole creare un clima di paura sono i versanti su cui si devono impegnare quanti ritengono che sulla questione dell’immigrazione si stanno giocando le sorti della democrazia occidentale.

  2. Angelo Morittu scrive:

    ULTIMORAMARO

    Gli ultimi crimi-granti, salvati e catturati nel canale di Sicilia verranno deportati ad Elmas e poi reintrodotti nel loro habitat naturale africano.
    Gli altri (160 ?) rimarranno in mare per nutrire gli abitatori di quel pescosissimo braccio di mare.

  3. Cristina Ronzitti scrive:

    Dalla lettera all’Europa di Evo Morales presidente della Bolivia, sulla direttiva europea per il rimpatrio pubblicata sul numero di domenica 15/06/2008 del quotidiano Liberazione.
    Oggi l’Unione Europea é la destinazione principale degli emigranti di tutto il mondo, fatto questo, dovuto alla sua immagine positiva di spazio di prosperità e di libertà pubbliche. La stragrande maggioranza degli migranti giunge nell’Unione Europea per contribuire questa prosperità, non per approfittarsi. Svolgono i lavori delle opere pubbliche della costruzione, nei servizi delle persone e negli ospitali, lavori che non vogliono svolgere gli europei. Contribuiscono al dinamismo demografico del continente europeo, a mantenere le relazioni tra attivi e inattivi che fanno possibili i suoi generosi sistemi di sicurezza sociale e fanno diventare dinamico il mercato interno e la coesione sociale. I migranti offrono una soluzione ai problemi demografici e finanzieri dell’UE.
    Per noi, i nostri migranti rappresentano l’aiuto allo sviluppo che gli Europei non ci concedono, dato che ben pochi paesi raggiungono realmente il minimo obbiettivo dal 0,7% dal suo interno lordo nell’aiuto allo sviluppo.

    Bisognerebbe chiedere a Calderoli, Bossi e Maroni chi gli paghera’ la pensione….

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