Babel

1 Gennaio 2011

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Antonello Zanda

Dal 6 all’11 dicembre 2010 si è svolto a Cagliari il Babel Film Festival, il primo concorso cinematografico internazionale destinato esclusivamente alle produzioni cinematografiche che guardano e raccontano le minoranze, in particolare linguistiche. Sei giorni di cinema, musica, teatro, dibattiti e incontri sul tema delle lingue minoritarie che ha visto una grande partecipazione di pubblico e che ha rapresentato un’occasione per riflettere e fare il punto della situazione sulla cultura delle lingue minoritarie. Il festival ha raccontato una vivacità interessantissima delle produzioni culturali delle lingue non nazionali e ha consentito anche di elaborare approfondimenti importanti in relazione all’estetica, alle possibilità di rappresentare una rilevanza culturale forte e pregnante. Come scrive Foucault, se le lingue nazionali fanno riferimento a una “maggiorità” come sistema omogeneo e costante, l’essere minoritario, a prescindere dalla sua consistenza quantitativa, vive e trae il suo nutrimento dal suo non essere sistema, o meglio dal suo essere sottosistema, e in questo senso la sua vivacità è tutt’uno con il suo essere un divenire potenziale e creato, creativo. In termini di pura ma reale possibilità, è più facile produrre valore culturale alto a partire da una condizione di minorità piuttoso che di maggiorità, perché è della minorità il divenire, cioè il trovare senso nel farsi progetto di una condizione precaria. L’essere maggioritario è acquiescente, rischia di essere conservatore e conservativo, di mantenersi sullo status quo, non progetta ma ribadisce, sottolinea, conferma, consolida.
Il Babel Film Festival in un certo senso mostra una ricchezza che è intimamente legata anche alla condizione minoritaria della lingua, che all’immagine consegna plusvalore, orizzonti di senso nuovi, temperature anche incandescenti nella loro imminenza. Non è un dato scontato, perché la sostanza dell’arte non è comunque riducibile ad un elemento, ad un tratto di essa, per quanto importante possa essere. Però le lingue minoritarie, quelle che abbiamo potuto ascoltare nei 33 film in concorso che hanno partecipato al Festival, hanno raccontato di sé una forza determinante importante, un fattore non cancellabile dell’essere realtà, che le lingua nazionali spesso cancellano, doppiano (anche) nel senso che dribblano, cancellano, superano in corsa costringendoci a perdere la consistenza del silenzio, della pause, della lenta porosità della lingua minoritaria. Laddove la lingua nazionale rischia continuamente – e quindi ci espone a – l’omologazione (non solo linguistica, perché qui si parla di contenuti concreti), la lingua minoritaria offre nella sua diversità la spezia che nel piatto del cuoco determina il gusto finale, il sapore che determina la riuscita di un amalgama di ingredienti altrimenti senza senso.
Grazie alle attuali normative inerenti la tutela delle minoranze (come la Carta Europea delle Lingue Regionali e Minoritarie del 1992, la Dichiarazione Universale sui Diritti Linguistici del 1996, e altri dispositivi di legge a livello regionale), è stato promosso un progressivo inserimento delle lingue minoritarie o regionali in tutti i mezzi di comunicazione di massa e soprattutto nel cinema. Si ritiene sostanzialmente che i mezzi di comunicazione, e tra questi il cinema e gli audiovisivi in genere, possano contribuire in modo determinante alla conservazione, alla promozione e alla diffusione delle lingue di minoranza. Il Babel Film Festival si è dimostrato capace di dare voce alle minoranze, alle loro storie, alla loro cultura, rappresentando con la sua formula un’innovazione importante, capace di favorire un reale confronto e scambio culturale.
A conclusione del Festival, la giuria presieduta dal regista Giorgio Diritti e composta dal presidente della FICC Marco Asunis, dal critico e storico del cinema Gianni Canova, dall’esperta di mass media e minoranze linguistiche Silvia Negrotti e dalla sceneggiatrice Anna Pavignano ha assegnato 6 premi. Il premio Maestrale al miglior documentario è stato assegnato a “Rumore bianco” del friulano Alberto Fasulo (2008) per la capacità di evidenziare il profondo legame tra territorio, cultura, identità e memoria, in una dimensione di paesaggio che è anche paesaggio linguistico nel continuum del friulano (o “dei friulani”) dalla foce alle sorgenti. Il film lascia spazio alla riflessione dello spettatore, lo accompagna, offendo uno sguardo poetico, curato in ogni immagine pur non cadendo mai in un compiacimento estetico. Il premio Maestrale per la miglior è stato assegnato al film basco “Amona Putz!” di Telmo Esnal (2009), per l’originalità, la capacità espressiva e realizzativa espressi con un giusto equilibrio di ironia. Il film racconta con leggerezza una situazione familiare comune e di immediata identificazione da cui emerge inoltre una riflessione sulle contraddizioni della società attuale. Il premio Maestrale – Città di Cagliari assegnato al film che meglio racconta le minoranze nelle città è andato al film “Via Meilogu” 18 di Salvatore Mereu (2010), per la sensibilità e naturalezza con cui conduce lo spettatore nella quotidianità di un’area della città, dove tra i suoni di lingue differenti si intrecciano le dinamiche di rapporti affettivi e familiari che appaiono in contrasto culturalmente con ciò che li circonda. Il film è anche stimolo ad una riflessione sulla lingua e sulle lingue in contatto ed è specchio di una esperienza umana di alto valore didattico.
Il premio FICC, assegnato dal pubblico, cioè da 25 circoli del cinema che operano in Sardegna, è andato a “Panas” di Marco Antonio Pani (2006), per il coinvolgimento con cui ripropone il valore e la suggestione di una antica leggenda del patrimonio culturale sardo, con un’eccellente fotografia ed un curato intreccio narrativo a cui si unisce la preziosa e straordinaria partecipazione dei cittadini del paese di Olmedo. Il premio NUCT, per il miglior autore sardo, è stato assegnato da una giuria speciale della NUCT – Scuola Internazionale di Cinema e Televisione di Roma (consistente in un workshop di sceneggiatura, regia o fotografia presso Cinecittà) è stato assegnato a “S’Animu” di Marina Anedda (2009). Il Premio Golden Spike, conferito dal World Social Film Festival) al film che mette in luce le caratteristiche tecniche e narrative del cinema sociale, è stato assegnato a “The Broken Moon” di Marcos Negrão e André Rangel (2010), per l’ incanto che offre nel raccontare la vita di una piccola comunità in un contesto ambientale difficile ma affascinante suggerendo una riflessione universale ed un grido di allarme su come la sopravvivenza e la stessa identità possano essere demolite e cancellate dall’attuale sistema di sviluppo economico.

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