Cagliari dice no alla violenza contro le donne

1 Dicembre 2023

[Alessandra Liscia]

Sono state migliaia le persone che sabato 25 novembre 2023 sono scese in piazza a Cagliari per la giornata internazionale contro la violenza di genere, rompendo quell’assordante silenzio che per anni e anni è stato complice del maschilismo, misoginia e patriarcato.

Tre le manifestazioni principali dal pomeriggio sino alla sera: la Acli in piazza Ravot ha detto basta al possesso e ai rapporti tossici coinvolgendo le partecipanti a ribellarsi e a raccontare scrivendo le proprie esperienze di soprusi su dei cartoncini a forma di mano, tra le note musicali di “Vietato morire” di Ermal Meta con l’inequivocabile verso “E ricorda che l’amore non colpisce in faccia mai!”; flash mob rumoroso, organizzato dalla chef Emiliana Scarpa insieme ad altre volontarie, anche in piazza Yenne dalle ore 16 che, con il motto “Non è tua, lasciala andare”, ha messo in scena una piece teatrale ipnotizzando – e invitando alla riflessione – anche i passanti.

Ma è nelle scalinate del Bastione Saint Remy, fronte piazza Costituzione, che la manifestazione indetta da Non una di meno, associazione transfemminista, ha accolto quanta più partecipazione possibile “contro la violenza patriarcale”: un’ingente folla eterogenea formata da donne, uomini, giovanissime, giovanissimi, adulte e adulti, molte con il segno rosso sul volto, con cartelli di protesta (“basta violenza sui nostri corpi”), con chiavi, tamburelli e quant’altro per fare rumore.

E non un minuto. Non solo per Giulia Cecchettin.

Per tutta la serata non è stato fatto silenzio, ma al contrario ogni momento era buono per fare rumore, far sentire l’urlo collettivo che si ribella a una società che vuole le donne sottomesse, pronte a subire da un maschio a scuola, nella vita privata, in strada, in amore, al lavoro o in casa.

Giulia è la 105esima vittima nel 2023, ma il numero sta drammaticamente aumentando in queste ore, in questi giorni. E’ stata una manifestazione per tutte le donne, perché purtroppo quello di Giulia non è il primo e, ad oggi, non è l’ultimo femminicidio.

Sono state tantissime le testimonianze coraggiose che si sono alternate al microfono: molte delle ragazze che hanno parlato non avevano mai confessato a nessuno quanto accaduto, alcune non avevano preparato un discorso, ma hanno comunque trovato la forza di denunciare a parole quanto successo nella loro vita. Tutte le confessioni sono state accolte senza giudicare dalla folla che rispondeva in coro “sorella io ti credo”, “sorella non sei sola” oppure “non è colpa tua”. Un abbraccio di gruppo per racconti forti.

Come la diciassettenne che, racconta in lacrime, a tredici anni è stata palpeggiata dal nonno di una sua amica, con la scusa di spalmarle la crema solare. E lei, solo due anni dopo, a quindici ha compreso che non vi era innocenza e non vi era nulla di normale in tale situazione.

Oppure la ventenne che ha stretto amicizia con il proprio datore di lavoro e come capita con tutti gli amici, ha fatto pause pranzo e pause sigaretta sempre con lui, salvo scoprire troppo tardi, dopo tantissimo tempo, che quell’individuo che lei riteneva amico, si vantava con i propri dipendenti maschi, nonché colleghi della stessa ragazza, di stare con lei (relazione inesistente e fatto del tutto falso), mostrando persino video hard scaricati in rete per avvalorare la tesi della loro relazione, cercando protagoniste che assomigliassero quanto più possibile a lei. Tutto questo ha avuto conseguenze per la giovane, non tanto per il lavoro, ma per la ferita emotiva profonda che le ha causato contro certi maschi: non solo per il datore di lavoro, ma anche per coloro che erano i suoi colleghi, che lei riteneva ugualmente amici e che per ben più di un anno non sono mai andati a riferirle nulla.

Poi c’è la rabbia di chi è stata violentata dal migliore amico e non è stata creduta dal gruppo: gli amici in comune hanno messo in dubbio quanto accaduto, ponendole domande inquisitorie, accusanti, fastidiose e moleste. A questo punto si capisce bene perché una donna a volte non denuncia: se non ti crede chi ti sta vicino, come possono crederti gli altri?

E poi il quotidiano vivere di una donna raccontato da una ventenne, che se proprio quotidiano non è, fornisce uno spaccato di quanto accade almeno una volta nella vita in ognuna di esse: cat calling, battute per come si è vestite, insegnanti inopportuni (se non esagerati) e ancora molestie su molestie, verbali e fisiche.

Si discute anche di possibili soluzioni, come l’educazione sentimentale a scuola. E a tal proposito prende la parola una docente che, seppur favorevole, mostra qualche perplessità sul proprio ruolo, dato che, come tutte le sue colleghe e colleghi, ha una formazione legata alle materie di studio. Suggerisce quindi un affiancamento specialistico e professionale agli insegnanti, magari di psicologi, per poter trattare in sicurezza e con competenza l’argomento davanti agli studenti e alle studentesse.

L’ultima testimonianza è quella di G., un bambino di dieci anni che con tanta energia sembra rimproverare gli adulti che al posto di un presidio, non hanno organizzato direttamente un corteo, dice, affinché fosse coinvolta tutta la città a riflettere e a farsi due domande. Lui che a scuola ha sentito nominare Giulia Cecchettin soltanto per il minuto di silenzio imposto dalle istituzioni. Lui che ha compagni di classe che non conoscono il termine “femminicidio” perché a scuola non se ne è mai parlato, gli stessi compagni che a casa non guardano i telegiornali e non leggono i quotidiani. Lui che, prosegue, “come affrontiamo un problema se i miei stessi coetanei non sanno neppure che esiste il problema?”.

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