Capitalismo in crisi, destra vincente
17 Febbraio 2009Editoriale Le premesse per questa sconfitta c’erano tutte: crollo del lavoro tradizionale e delle sue rappresentanze politiche, debolezza dei modelli alternativi, crisi a sinistra e, gravissima, nel PD, tentativo di rinnovamento soriano rispetto alla vecchia classe politica fallito (anche per mancanza della capacità di costruirne una nuova, di egemonia e consenso più generale: nella tradizione politica di sinistra, imbarcarsi in ‘rivoluzioni’ senza saperle gestire si chiamava avventurismo e minoritarismo). Inaudita la presenza mediatica, al di fuori di ogni regola scritta e non scritta di correttezza democratica, da parte di Berlusconi. “Ci ho messo la mia faccia, per vincere” avrebbe detto. Sappiamo che è una faccia ricostruita. C’è un ritorno, forte, del clientelismo: altro che mani pulite. Può essere che queste elezioni siano arrivate prima che nella nostra periferia economica e culturale la crisi dei modelli gerarchici e del capitalismo globale potesse produrre qualche esito politico, e magari la sconfitta della classe conservatrice dominante. La crisi da noi arriva certamente nelle vite della gente, ma non ancora nelle sue scelte. Si avverte, generalizzata, la fine di un ciclo, mentre le risposte devono ancora essere indagate a sufficienza e trovate. La gente ancora vota il centro-destra, a sinistra si perde e spegne dietro una rappresentanza moderata e centrista. Chissà se succederà a lungo. Crediamo anche che in Sardegna si sia consumata una seconda ‘rottura’ televisiva epocale, dopo la prima che entrò tra gli anni ’50 e ‘60, più dirompente di ogni invasione, a minare la cultura delle zone interne. I sintomi non mancavano, e il fascino del successo di un giovane cantante isolano alla corte dello spettacolo Mediaset e della sua gran sacerdotessa Maria De Filippi è entrato, come e peggio dell’eroina, nelle vene di tante periferie. Eppure non tutto è filato liscio. Guardate il voto disgiunto, da una parte e dall’altra. Le spinte indipendentiste che non sono andate a destra, assieme superano il mediocre risultato del PsdAz (il sardismo per un piatto di lenticchie). Se è compito classico della sinistra criticare quella parte di visione pseudo-identitaria che si basa su una presunta immobilità e sacralità delle tradizioni per dissimulare concezioni razziste, essa deve ora saper cogliere il potenziale democratico insito nella richiesta di una rappresentanza più aderente alle realtà territoriali, che trova riscontro interessante nel dibattito emerso al Forum Globale a Belèm, come notato in questo numero nel prezioso resoconto di Franco Uda. Cosa ci dovremo aspettare ora che questo centro-destra è di nuovo, e più pericolosamente, al potere? A trovare una sintesi, potremmo dire: aumento della speculazione edilizia, attacco all’ambiente e alla salute, maggiore precariato, sicurezza poliziesca e familista con la benedizione del clericalismo, commercializzazione e gestione rozza dei nostri beni culturali, con ulteriore abbattimento della tutela dello Stato, rincretinimento mediatico con sogni, lotterie, giochi d’azzardo. Monetizzazione della vita. Il nucleare: a meno che la grande forza dei sardisti al governo non lo sappia impedire…. D’altronde, i rischi delle prevalenti tendenze autoritarie sono assai trasversali, poiché esse uniscono ben oltre il necessario il Partito delle Libertà e il Partito Democratico: lo mostrano le alleanze sui modelli di contrattazione sindacale e sul testamento biologico. Se la vittoria di Soru era, nella sostanza, auspicabile per evitare i quadri assai più insidiosi di una vittoria berlusconiana, ora che Soru è sconfitto non resta molto altro della sua linea e di quella del PD che possa costituire punto di riferimento per una rinascita della sinistra. Al massimo un’alleanza, pur preziosa se la resistenza dovrà essere dura e di rinnovata natura antifascista, di opposizione. A sinistra si dovrà ripartire da alcuni filoni per noi essenziali: la valorizzazione di un nuovo modello di sviluppo basato sull’energia pulita e rinnovabile, il legame con la nuova dimensione del lavoro, la presa d’atto del ruolo della cultura e del lavoro cognitivo connesso, la difesa dell’istruzione pubblica, l’antimilitarismo, il reddito di cittadinanza, una straordinaria battaglia a favore della pace e dei diritti dei popoli e delle minoranze oppresse. Tutto in un’ottica locale e globale, costruendo opposizione liberatoria in ogni luogo di lavoro. Prepariamoci, parallelamente, ad un’eccezionale vigilanza dell’autocrazia fascista e bigotta dominante che vuole smantellare i principi della democrazia in Italia. E’ su questi punti che vanno sperimentati confronto e unità. La percezione sembra emergere in alcuni aspetti del risultato complessivo di Rifondazione Comunista, PdCI e La Sinistra. Un lavoro, come abbiamo più volte sottolineato, che sarà difficile e lungo. Ma non senza speranza. Cerchiamo ora di non tralasciare l’impegno per la pur non fondamentale rappresentanza politica data dalla cosiddetta democrazia parlamentare, a iniziare dalle elezioni europee. Senza rinunciare a ciò che siamo, senza inventare ciò che non siamo, sarà bene accettare in maniera disincantata i nostri attuali limiti perseguendo la costruzione di un vero e proprio cartello che posizioni la sinistra nel Parlamento Europeo: investendo sulla possibilità di obiettivi unificanti che sappiano presentare alle nazioni della comunità una vera critica radicale a quel declino capitalistico che comunque noi, e non altri, avevamo da tempo indicato. La destra vince per paura, e noi dovremo avere più coraggio.
17 Febbraio 2009 alle 11:29
“A sinistra si dovrà ripartire da alcuni filoni per noi essenziali:la valorizzazione di un nuovo modello di sviluppo basato sull’energia pulita e rinnovabile, il legame con la nuova dimensione del lavoro, la presa d’atto del ruolo della cultura e del lavoro cognitivo connesso, la difesa dell’istruzione pubblica, l’antimilitarismo, il reddito di cittadinanza, una straordinaria battaglia a favore della pace e dei diritti dei popoli e delle minoranze oppresse.”
scusa, ma cosa diceva di diverso la cd “una rappresentanza moderata e centrista”? è un discorso di ottica o di miopia?
ciao Sebastiano
17 Febbraio 2009 alle 12:26
Caro Sebastiano, quello che tu dici è vero solo in parte, e purtroppo in piccola parte. E mi colpisce l’insistenza dopo un tale sconfitta. AL volo alcuni dei punti che citi dal nostro editoriale. Antimilitarismo: il PD ha chiesto di ampliare Quirra. Energia pulita e rinnovabile: si risponde con carbone e termovalorizzatori. Reddito di cittadinanza? la proposta l’hanno fatta comunisti e socialisti. Proposte sul lavoro, innovative: dove, quando? Hai visto le percentuali delle aree operaie e di tradizione operaia? Lavoro cognitivo e cultura: la giunta Soru è riuscita, con la proposta del piano triennale dell’Assessorato, nell’ardita impresa di far scattare il primo sciopero dei lavoratori di musei e aree archeologiche. E’ davvero, permettimi, una questione di ottica e di miopia, che ci sembra francamente più grave dopo i risultati elettorali, il crollo verticale del PD che ha perso la strada a sinistra facendone terra bruciata (con qualche aiuto anche dalla sinistra, ovviamente). Un po’ di autocritica davvero non guasterebbe, se vogliamo provare a ricostruire.
21 Febbraio 2009 alle 21:49
La sinistra secondo me ha innanzi tutto perso perché non ha ancora saputo rinnovarsi e liberarsi di personaggi improponibili e inquietanti …tanto per citarne uno, il re della Monnezza, il padre padrone del PD campano (e non solo)…
Insomma lo schifo, quando fa schifo, non ha colore.
Per quanto riguarda il tema della comunicazione ,certo, dx e sx hanno modi diversi di comunicare ma non saprei proprio dire chi dei due sia peggio per il semplice motivo che, secondo me, entrambe hanno in effetti poco da dire. Forse la sinistra ha un po’ troppa supponenza e puzza sotto il naso. A destra non c’è invece bisogno di tutto questo perché in effetti la stessa platea ha un livello talmente basso che non c’è proprio bisogno di fare i sapientoni. Un difetto della sinistra (o di larga parte della sinistra) è invece sicuramente la mancanza di senso dell’umorismo: quasi che, l’idea ossessiva di salvare il mondo imponesse ai compagni un’espressione perennemente tetra. Poca autocritica, poca autoironia, molta supponenza.
La strada per uscirne fuori? Magari iniziare a considerare la politica un mezzo per far del bene e il potere lo strumento per operare, e non come ora una meta da perseguire ad ogni costo e da mantenere vita natural durante. Mai fidarsi troppo di chi blatera di rivoluzione…