Controstoria della Sardegna di Francesco Casula
13 Dicembre 2025
[Luciano Pes]
“Controstoria della Sardegna – dalla civiltà nuragica al dominio spagnolo” di Francesco Casula, è un libro fondamentale per comprendere la storia della Sardegna, capace di sollevare il velo di Maya e di smascherare una storiografia ufficiale spesso fasulla e costruita dal punto di vista dei dominatori.
Quello che leggerete non è storia nel senso tradizionale del termine, ma controstoria: una narrazione che ribalta molte versioni ufficiali consolidate e restituisce voce e dignità a chi ha vissuto e resistito in Sardegna, e interpreta la sua vicenda millenaria come un lungo e ininterrotto percorso verso l’autonomia e l’affermazione identitaria. I sardi non hanno mai avuto bisogno di essere civilizzati da popoli esterni; possedevano già una civiltà propria, originale e complessa.
Come indica il sottotitolo, il libro parte dalla civiltà nuragica e arriva fino alla dominazione spagnola. Ci si potrebbe chiedere perché non vengano trattati i periodi precedenti, quello della Sardegna felice, o quello successivo relativo al periodo sabaudo. In realtà, pur partendo formalmente dall’epoca nuragica, grazie alle pimpirias de istoria, Francesco Casula risale anche al Paleolitico, ci parla delle domus de janas, delle tombe dei giganti e si sofferma sulla straordinaria vicenda dei Giganti di Mont’e Prama. Non manca l’analisi del pozzo sacro di Santa Cristina, termina con il tema dei popoli del mare e dell’antichissima nazione sarda.
Per quanto riguarda il limite cronologico superiore, la scelta di fermarsi alla dominazione spagnola si spiega con il fatto che l’autore ha già dedicato un libro precedente di grande successo, Carlo Felice e i tiranni sabaudi, alla documentazione delle malefatte perpetrate dai sovrani sabaudi in 226 anni di dominio. I Savoia trattarono l’isola come una vera e propria colonia interna, meritevole solo di sfruttamento economico sistematico e di imposizioni culturali volte deliberatamente a cancellare lingua e tradizioni locali. Nascondere questa storia con statue, vie e autostrade dedicate a Carlo Felice è diventato impossibile.
Torniamo quindi alla controstoria.
La civiltà nuragica emerge come una delle più originali e complesse del Mediterraneo antico, autonoma e sviluppata internamente, non una semplice imitazione o derivazione di culture esterne. I nuraghi testimoniano capacità ingegneristiche straordinarie e una società articolata, con competenze tecnologiche avanzate, soprattutto nella metallurgia del bronzo e del ferro. La religione, l’arte dei bronzetti e i pozzi sacri rivelano una cultura simbolica ricca e raffinata, mentre i contatti documentati con Micenei, Ciprioti e Fenici smentiscono definitivamente l’idea di un supposto isolamento sardo.
Sin da questo capitolo Francesco Casula sfata diversi miti radicati. I nuragici conoscevano la scrittura e gli shardana, probabilmente, non erano altri che una popolazione sarda autoctona. Persino la malattia atavica di cui i sardi hanno sofferto per millenni, debellata solo recentemente, cioè la malaria, fu importata successivamente dai cartaginesi e non era endemica dell’isola.
Per quanto riguarda la presenza dei fenici, ai quali la storiografia tradizionale tende ad attribuire ogni elemento di civiltà sarda, quasi che nulla potesse nascere autonomamente nell’isola, Casula mette in evidenza che essi arrivarono per puri interessi commerciali e non certo per portare progresso, trovando un’isola già pienamente civilizzata.
La stele di Nora, una delle più antiche testimonianze alfabetiche del Mediterraneo occidentale, dimostra contatti tra sardi e fenici sin dall’VIII secolo a.C. La stele non prova affatto una superiorità fenicia, ma testimonia piuttosto uno scambio paritario tra popoli maturi. La storiografia tradizionale attribuisce ai fenici l’introduzione dell’alfabeto in Sardegna, mentre Casula ricorda l’esistenza di forme di protoscrittura locali e denuncia con forza l’idea preconcetta che i sardi fossero analfabeti prima dell’arrivo dei fenici.
La successiva occupazione cartaginese fu militare e violenta, caratterizzata da distruzione di insediamenti, deportazioni di massa e sfruttamento sistematico delle risorse. Casula rifiuta nettamente l’immagine edulcorata dei cartaginesi come semplici commercianti pacifici, mostrando invece la loro vera funzione coloniale e le frequenti rivolte sarde che essa provocò. La cultura nuragica non scomparve sotto questa dominazione, ma si adattò con resilienza e sopravvisse.
Sul dominio romano, Casula evidenzia una guerra di conquista lunga e sanguinosa, costellata di distruzioni, deportazioni e sfruttamento fiscale spietato. La storiografia tradizionale tende a oscurare queste violenze in favore del mito della “Pax Romana”, quella stessa pax che deportò a Roma decine di migliaia di schiavi sardi, tanto numerosi da far crollare il prezzo di mercato anche degli altri schiavi. Le continue rivolte e la resistenza armata dimostrano che i sardi non furono mai “barbari” passivi da sottomettere.
Tra i protagonisti di questa resistenza emerge la figura di Amsicora, capo sardo del II secolo a.C., leader carismatico e abile stratega, autentico simbolo di resistenza e dignità nazionale, la cui sconfitta fu dovuta più a tradimenti interni e alla schiacciante superiorità numerica romana che a inferiorità militare. Anche per lui Casula rifiuta l’idea che non potesse essere sardo, fu anzi, probabilmente, il primo autonomista della storia sarda.
I successivi dominatori bizantini, così geograficamente lontani da Costantinopoli, esercitarono loro malgrado un controllo militare e fiscale debole, in una maniera che paradossalmente lasciò le comunità sarde con un grado elevato di autonomia effettiva. La storiografia tradizionale tende a idealizzare questo periodo, ma Casula mostra come anche qui non mancarono conflitti e resistenze locali.
Il glorioso periodo dei Giudicati presenta questi stati come entità politiche organizzate, dotate di istituzioni complesse e di notevoli capacità diplomatiche. La loro massima espressione giuridica, la Carta de Logu di Eleonora d’Arborea, rappresenta un simbolo di straordinaria modernità giuridica per l’epoca. Anche qui Casula ribalta la visione denigratoria dei Giudicati come semplici frammentazioni tribali, sottolineandone invece la resilienza economica, la raffinata strategia politica e la genuina autonomia.
Nel capitolo finale si analizza il dominio catalano-aragonese e spagnolo, basato su pesanti imposizioni fiscali, controllo militare capillare, sistematica marginalizzazione delle élite locali e abolizione definitiva dei Giudicati. Le resistenze popolari che attraversano questo periodo dimostrano ancora una volta che i sardi non accettarono mai la dominazione straniera. Casula invita a leggere questa fase storica per quello che realmente fu: un lungo periodo di sfruttamento coloniale.
La narrazione storica di Francesco Casula è costantemente affiancata da numerosi documenti d’archivio e dalle cosiddette pimpirias de istoria, che rendono Controstoria ancora più efficace e documentato. Mi sono appuntato qualcuna di esse, perché mi ricordi schematicamente le tesi che, liberamente, mi hanno colpito di questo libro.
I Nuraghi non possono essere presentati come semplici torri difensive, senza attribuire loro un profondo valore simbolico e religioso o senza evidenziarne lo straordinario valore tecnico-ingegneristico.
Le popolazioni nuragiche non erano affatto popolazioni tribali o primitive come spesso vengono dipinte. Dai ritrovamenti archeologici sappiamo che l’arte (bronzetti, pozzi sacri, architettura monumentale) aveva raggiunto un altissimo grado di sviluppo e raffinatezza.
La “feniciomania” storiografica, che attribuisce ai fenici l’introduzione di tutta la “cultura scritta” (e non solo), non permette di riconoscere e valorizzare le forme di protoscrittura già esistenti. Dipingere i Sardi come privi di cultura prima dell’arrivo fenicio è qualcosa che ferisce ogni volta che lo si sente ripetere.
I cartaginesi non erano affatto solo commercianti pacifici come vuole una certa narrazione: numerose furono infatti le repressioni violente e lo sfruttamento sistematico delle risorse e della popolazione isolana. Le rivolte dei Sardi di questo periodo non furono semplici ribellioni tribali ma autentici atti di resistenza organizzata.
I romani, per conquistare definitivamente la Sardegna, si servirono metodicamente di deportazioni di massa e distruzioni sistematiche. La tanto celebrata pax romana non fu mai realmente accettata dai sardi, soprattutto da quelli sprezzantemente definiti “barbari”.
L’arrivo dei Vandali e dei Bizantini non furono eventi legati a una transizione ordinata e pacifica come talvolta si racconta. Le comunità locali misero in atto, anche con loro, quella “costante resistenziale” di cui parla magistralmente Giovanni Lilliu. La cultura amministrativa dei bizantini, generalmente considerata efficiente, trovò terreno fertile proprio nelle autonomie locali che non erano affatto primitive. Anche in questo caso, comunque, i Sardi si ribellarono quando fu necessario e cercarono continuamente forme di autogoverno.
I Giudicati non erano affatto staterelli arretrati e feudali e la Carta de Logu non fu una semplice raccolta normativa locale. Essa cercava anzi di regolamentare una società ricca e complessa, basata su terreni fertili e su intensi legami commerciali e diplomatici con i regni più potenti del periodo storico. Con la Spagna e con Aragona i giudici cercavano alleanze politiche paritarie, non rapporti di sudditanza.
La dominazione spagnola non fu affatto stabile, pacifica e modernizzatrice come alcuni storici hanno voluto farci credere. Le loro imposizioni fiscali furono anzi profondamente impopolari e basate sullo sfruttamento coloniale, tanto da scatenare, ancora una volta, la costante resistenziale dei sardi.
Nel libro si parla in più occasioni di “costante resistenziale” dei sardi? Ma cosa si intende esattamente? Riportiamo la formulazione data da Giovanni Lilliu, il più grande archeologo sardo, accademico dei Lincei.
“La costante resistenziale è quell’umore esistenziale del proprio essere sardo, come individui e come gruppo che, in ogni momento, nella felicità e nel dolore delle epoche vissute, ha reso i Sardi costantemente resistenti, antagonisti e ribelli, non nel senso di voler fermare, con l’attaccamento spasmodico alla tradizione, il movimento della vita e della loro storia, ma di sprigionare il movimento, attivandolo dinamicamente dalle catene imposte dal dominio esterno.”
Un monito per i moderni conquistatori, quelli che vorrebbero imporci torri più alte della Tour Eiffel senza rispetto per il nostro territorio. La Sardegna ha attraversato millenni di dominazioni e influenze esterne, ma ha sempre preservato tenacemente la propria identità, sopravvivendo come comunità culturalmente autonoma e mai veramente subalterna.







