Il 2 giugno, l’identità nazionale e l’autodeterminazione della Sardegna

1 Giugno 2020
[Roberto Loddo]

Francesco Casula nel manifesto sardo di oggi si chiede se i cittadini e le cittadine della Sardegna debbano festeggiare il due giugno, giornata in cui si celebra la nascita della Repubblica.

Ma che cosa rappresenta oggi il 2 giugno? La data del referendum istituzionale del 1946, il primo voto suffragio universale del secondo dopoguerra, è stata prima di tutto una vittoria del movimento operaio, una vittoria dei partiti antifascisti che hanno animato la Resistenza e che componevano il Comitato di Liberazione Nazionale, socialisti, comunisti, azionisti e cattolici democratici. Il 2 giugno ha rappresentato una vittoria contro la monarchia dei Savoia, cioè contro i complici dei vent’anni di fascismo e dei crimini di Mussolini.

Risponderei di sì alla domanda di Casula, perché per i sardi è stato meglio essere cittadini della Repubblica Italiana che sudditi della monarchia dei Savoia. È vero anche che, come scritto da Casula, la Sardegna viene considerata ancora oggi alla stregua di una colonia interna, in cui allocare industrie petrolchimiche inquinanti, fabbriche di bombe e basi militari italiane e straniere e che il futuro che ci attende è fatto di devastazione ambientale e desertificazione.

L’Italia della Fase Due festeggerà il 2 giugno in piena crisi, piegata non solo dalla pandemia, ma dai tagli alla spesa sociale e dalle politiche dell’austerità. L’Italia della Costituzione che ripudia la guerra, come recita l’articolo 11, spende 25 miliardi di euro l’anno, 68 milioni al giorno, per mantenere l’elefantiaco e inutile apparato bellico militare e spreca i soldi per gli F35 mentre non si riescono a fare i tamponi.

Matteo Salvini ospite di Radio Uno, parlando della manifestazione delle forze del centrodestra del 2 giugno, a Roma e in altre cento piazze italiane, ha dichiarato che la festa della Repubblica e l’identità italiana non è proprietà della sinistra, perché ci sono milioni di italiani che aspettano la CIG, interi settori dimenticati e tante proposte che non hanno trovato ascolto nei decreti.

Le sinistre italiane e altri movimenti democratici, in risposta alla manifestazione della destra, hanno annunciato che manifesteranno a Roma il 2 giugno perché: “Parliamo di una destra che non è erede dei repubblicani ma dei repubblichini e che continua a delegittimare la memoria dell’antifascismo e della Resistenza. Una destra che sventola ipocritamente il tricolore ma propone, con l’autonomia differenziata, di fare a pezzi il paese e l’uguaglianza dei diritti delle cittadine e dei cittadini”. Il comunicato della sinistra si spinge a dichiarare che l’Italia è stata fatta già a pezzi da “riforme sciagurate” come quella del Titolo V e ad evocare la difesa dell’articolo 5 della Costituzione che recita che la Repubblica è “una e indivisibile”.

E quindi difendere l’identità italiana è di destra o di sinistra? È un dibattito antico a sinistra quello sulla difesa dell’identità nazionale italiana. Il terrore del secessionismo della Lega di Bossi e il pericolo una ipotetica balcanizzazione dell’Italia sono stati utilizzati, da sempre, come bandiere a difesa dell’identità nazionale. Dai primi anni ’90 (che coincidono anche con la crisi della Jugoslavia) i progressisti di Occhetto, l’Ulivo di Prodi e tutte le forme del centrosinistra italiano hanno sempre usato il tema dell’identità nazionale come la trincea contro ogni tentativo di cambiamento costituzionale proposto dalle destre.

Per la sinistra italiana, la destra della seconda Repubblica ha sempre tentato di dividere l’Italia.  E non solo attraverso le minacce nei ritrovi di Pontida. Pensiamo al referendum costituzionale del 2006. La vera domanda che la sinistra dovrebbe porsi è se oggi ha ancora senso mantenere viva la retorica nazionalista per declinare i fenomeni politici e discutere della trasformazione dello Stato in senso federalista. In questa curiosa gara su chi è più in linea nella difesa dell’interesse nazionale e l’unità d’Italia, la sinistra italiana ha raggiunto un livello di subalternità culturale alle politiche della destra.

Come al solito aveva ragione Luigi Pintor quando nell’evidenziare la morte della sinistra scriveva che “Le nostre idee, i nostri comportamenti, le nostre parole, sono retrodatate rispetto alla dinamica delle cose, rispetto all’attualità e alle prospettive”. All’interno di questo dibattito un contributo interessante è quello di Christian Raimo che con Contro l’identità italiana (Einaudi) ragiona sulla “invenzione” dell’identità nazionale al tempo della crisi delle democrazie liberali e di come la destra e l’estrema destra oggi, stiano egemonizzando il dibattito politico con il sovranismo. Raimo propone di affrontare una discussione sull’identità italiana allargando l’orizzonte dei punti di vista e misurandolo con nuove contaminazioni, anche di matrice femminista, meridionalista e postcolonialista, in grado di decostruire le produzioni identitarie legate ai meccanismi di potere. Spostando l’attenzione alla Sardegna, mi pare positivo e prezioso il contributo del collettivo di Filosofia de Logu che si propone di decolonizzare il pensiero e la ricerca in Sardegna attraverso la critica dei rapporti di dominio che soffocano e attraversano l’Isola.

Il dibattito sull’identità italiana e su come tradurla a sinistra e in Sardegna è ancora attuale e dovrebbe coinvolgere anche quella sinistra sarda che non ha mai messo in discussione il processo di centralismo politico e culturale della Sardegna. Questo dibattito dovrebbe coinvolgere ogni soggetto politico che in Sardegna sia portatore di domanda di trasformazione e cambiamento sociale. Ogni soggetto politico che, come ho già avuto occasione di scrivere, voglia unire i conflitti sociali e che abbia il coraggio, senza pregiudizi, di rompere l’antico tabù dell’autogoverno e dell’autodeterminazione della Sardegna.

Per la maggioranza dei partiti della sinistra europea è un elemento profondamente progressista discutere dei diritti dei popoli senza Stato e delle minoranze culturali. La sinistra europea accoglie anche i partiti dell’autodeterminazione, come accade con il partito irlandese SinnFéin e la coalizione basca Euskal Herria Bildu componenti dell’European United Left e Nordic Green Left nel Parlamento Europeo. Perché in Italia dovrebbe essere diverso? Perché in Sardegna dovrebbe essere un dibattito riservato ai partiti indipendentisti?

Non ha nessun senso legare la sinistra alla difesa intransigente dell’identità italiana. Avrebbe senso, al contrario, avviare un dibattito su come trasformare, da sinistra, il patto costituzionale che lega la Regione Autonoma della Sardegna allo Stato italiano. Da sinistra perché non abbiamo bisogno di piccoli Orban in salsa sarda e perché l’attuale modello di regionalizzazione neoliberista non estende i diritti ma li nega. E li nega ai cittadini più poveri.

Ragioniamo insieme, anche dalle pagine del manifesto sardo, di come sia possibile costruire un nuovo patto costituzionale, basato sull’autogoverno, che possa accogliere, dare voce e gambe a un nuovo modello di società e di sviluppo basato sull’uguaglianza.

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