Il governo feroce con i deboli e debole con i potenti
5 Dicembre 2025
[Graziano Pintori]
Giorgia Meloni sa fare comizi, un pregio di cui si avvale anche in Parlamento rendendosi palesemente di parte nonostante sia capo del governo.
L’energia livorosa dei suoi comizi contro i lavoratori in sciopero della CGIL e USB, contro le opposizioni parlamentari, la stampa non compiacente, i giovani e movimenti pro-Palestina, pacifisti, ecologisti, magistrati, antiabortisti, cattolici progressisti la collocano al di là della Costituzione.
I suoi interventi deridono l’esercizio costituzionale degli scioperi voluti da sindacati e lavoratori, come pure fa trasparire il suo disprezzo verso chi sta “fuori linea” rispetto al suo alveo governativo e partitico. Questo succede perché l’arringatrice della destra italiana continua a esercitare il ruolo di oppositrice al sistema democratico, come ha sempre fatto da leader di partito.
I suoi messaggi sono sempre accompagnati da toni granitici urlati e di sfida, molte volte sillabati solo per generare applausi della platea di post-fascisti, perbenisti e conservatori. In Europa e nel mondo, da vero camaleonte, assume un’immagine più soft, diciamo terrena e un po’ casareccia: si lascia baciare paternamente sulla fronte da Joe Biden e disinvoltamente farsi abbracciare dal cafone prorompente Trump.
In Europa, secondo una sua logica diplomatica, è ondivaga sia con la Von der Leyen e il dittatore Orban, e, senza imbarazzo, si schiera con l’Ucraina, però non fa capire se è con o contro Putin. Per dare credibilità di far parte della destra mondiale è rigorosamente allineata a Netanyahu e Trump e non riconosce la Palestina come stato, a differenza dei suoi partner occidentali del G20. Nella storia della zoologia politica italiana la collocherei tra le democristiane cerchiobottiste, però non staccandosi dal guscio del movimento sociale italiano la definirei una demo-fascista.
Ambiguamente camuffa la tattica dei piccoli passi, cioè raggiungere piano – piano consensi e affidabilità secondo il principio della palla di neve, che lungo il pendio diventa valanga quando raggiunge la valle. Ricordiamo che la presidente del Consiglio si presentò all’Italia platealmente come donna dell’ordine e della fermezza, naturalmente nei confronti dei più indifesi e solitamene emarginati.
Da subito rese illegali i rave party per combattere il consumo e lo spaccio di droghe e alcol; cancellò senza tentennamenti il reddito di cittadinanza ai cosiddetti “divanisti”: due azioni che la identificarono paladina contro la “gioventù bruciata e scansafatiche”, così poté annunciare urbi et orbi: “la pacchia in Italia è finita!”.
Il reddito di cittadinanza venne descritto come una misura sovversiva, perché molti cittadini si erano illusi che soddisfare i bisogni primari fossero un diritto, anziché frutto di un lavoro a prescindere che si trattasse di lavoro nero, precario, sottopagato e senza garanzie sulle incolumità.
Un modo per dimostrare che Lei, aveva condiviso la causa dei più forti, cioè l’economia che sostiene banche e spese militari a scapito di sanità, scuola, trasporti, edilizia pubblica e redditi di cittadinanza.
Abitudinariamente Giorgia Meloni lancia provocazioni verbali nei confronti di cittadini impegnati in battaglie civili, oppure, come in questo periodo, nei confronti dei sindacati e dei lavoratori in sciopero; molte verbosità ai limiti della volgarità non mancano agli oppositori politici, e a chiunque critica il suo partito e la compattezza della triade governativa.
Ovverosia la maggioranza che l’accompagnerà fino alla riforma presidenzialista del sistema parlamentare. Quest’ultimo obiettivo non è altro che l’ambizione di Giorgia Meloni di porsi alla guida di un sistema economico e politico autoritario, concentrato sulla figura carismatica del capo del governo eletto direttamente dal popolo, in cui le classi sociali saranno ben definite: amici o nemici del nuovo sistema, destra o sinistra, carcerati o allineati, costituzione o statuto.
La premier, dai corridoi di Via della Scrofa sa bene che essere conseguenti a certe logiche economiche, dettate dal capitalismo nostrano, significa avere le spalle coperte dai poteri forti, gli stessi che un tempo diceva di voler contrastare.
Infatti, la permanente austerità economica affiancata dalla legge sulla sicurezza le fa ottenere il plauso da imprenditori, finanzieri, banchieri perché favorisce le privatizzazioni, i tagli della spesa sociale, la riduzione dei salari lasciando a carico dei lavoratori, pensionati, disoccupati, donne e bambini i costi della sanità, scuola, edilizia pubblica, sussidi per la disoccupazione.
La logica di dover soddisfare gli interessi di pochi e aumentare i bisogni di molti ci spiega perché in Italia un quarto della popolazione è a rischio povertà ed esclusione sociale, mentre 1 su 7 minori versano in uno stato di povertà assoluta.
Nel frattempo, capiamo i motivi per cui il numero dei miliardari italiani si è sestuplicato, mentre lo 0,1 per cento più ricco detiene la ricchezza del 60 per cento dei poveri. Amaramente dobbiamo constatare la drammaticità della situazione italiana, allo stesso tempo non possiamo non evidenziare quanto la sinistra e i sindacati abbiano reso docile la classe lavoratrice, grazie alle politiche concertative andate avanti per tanti anni. Un modus operandi che ha agevolato il furto dei diritti dei lavoratori e non.
Non solo, la debolezza generalizzata della sinistra ha favorito l’ascesa baldanzosa della destra italiana, che si permette di deridere le opposizioni, gli operai, i sindacati, gli antifascisti, gli immigrati, i pro-Palestina e via dicendo. Probabilmente ricorrere al dileggio può essere una forma di nervosismo, di preoccupazione da parte del governo, perché avverte che due sindacati (CGIL e USB), seppure in date diverse, ritrovano la forza per proclamare un nuovo sciopero generale.
Un modo per dimostrare che non si tratta di uno spensierato finesettimana fuoriporta ma essere determinati alla lotta, in cui i lavoratori pretendono di non essere più merce di scambio tra lavoro reso e diritti negati.







