Sul Gruppo Rubanu di Orgosolo

6 Giugno 2025

[Banne Sio]

Nel 1975 veniva alla luce “Su lamentu de su pastore” del “Gruppo Rubanu” di Orgosolo, un album dal titolo estremamente evocativo che rifletteva le condizioni del mondo rurale di quegli anni e che ha lasciato una traccia indelebile nella musica popolare sarda e non solo.

A cinquant’anni dalla sua pubblicazione, Confagricoltura Sardegna e l’Associazione culturale Murales di Orgosolo hanno ritenuto utile, oltre che celebrare un’opera fondamentale nella storia musicale isolana della seconda metà del secolo scorso, avviare una riflessione, attraverso un convegno di studi, che si è tenuto ad Orgosolo il 24 maggio u. s., sullo stato del comparto ovino oggi in Sardegna sotto diversi aspetti: economico, sociale e culturale.

La giornata di studi dal titolo Il comparto ovino e l’attività pastorale in Sardegna a 50 anni daSu lamentu de su pastore” è stata aperta dai saluti istituzionali del sindaco di Orgosolo Pasquale Mereu, della presidente dell’Associazione culturale Murales Angela Montisci, del presidente di Confagricoltura Sardegna Stefano Taras, del presidente dell’ISRE Stefano Lavra, del capo di gabinetto dell’Assessorato regionale della Cultura Andrea Dettori e dell’Assessore regionale dell’Agricoltura Gianfranco Satta.

A seguire una sessione mattutina dal titolo Il comparto ovino a confronto con il mercato globalizzato, e una pomeridiana “Su lamentu de su pastoreuna lettura a 50 anni di distanza.

La prima, moderata da Banne Sio, ha visto i contributi di relatori del calibro di Bachisio Bandinu, Roberto Furesi, Sebastiano Mannia, Nicolò Migheli, Giambattista Monne, che con i loro interventi hanno contribuito alla lettura e interpretazione del modo pastorale della Sardegna di ieri e di oggi. Nella seconda, moderata dal giornalista Piersandro Pillonca, si sono alternati altrettanti validi studiosi come Aldo Brigaglia, Duilio Caocci, Andrea Deplano, Stefano Lavra, Gianni Loy e Giacomo Serreli che hanno analizzato l’opera del Gruppo Rubanu, evidenziando il suo valore e la sua straordinaria attualità.

A conclusione della giornata uno spettacolo musicale e teatrale “In sas tratas de su pastore” ideato e scritto da Banne Sio con la magistrale regia di Ambra Pintore che, attraverso una attenta lettura dei brani contenuti in su “Lamentu de su pastore” e “S’attitu” – il secondo LP inciso dal Gruppo Rubanu nel 1984 – ha rievocato la Sardegna degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso.

E le attese non sono andate deluse. Gli interventi di entrambe le sessioni convegnistiche sono stati efficaci e coinvolgenti, di altro profilo scientifico e culturale, contribuendo in modo significativo al successo dell’evento e stimolando un profondo interesse tra i partecipanti.

Lo spettacolo serale – con la partecipazione della Compagnia Cannasas Teatro, di Clara Farina, del Tenore Murales e di Antonello Catgiu, boghe del tenore ‘Untana Vona, di Ambra Pintore con Massimo Satta, Roberto Scala e Pierpaolo Vacca e di Gisella Vacca – è stato emozionante e ha regalato alla platea un momento indimenticabile. L’esibizione del sempre istrionico e giovane ottantacinquenne Nicolò Giuseppe Rubanu, in arte Marzotto – che in compagnia della sua amata fisarmonica ha ripercorso parte del suo straordinario repertorio – ha chiuso la giornata dando un ulteriore tocco di allegria e di magia.

Nel ricco panorama della musica popolare sarda, pochi gruppi sono riusciti a lasciare un segno così profondo e duraturo come quello del Gruppo Rubanu di Orgosolo. Un coro musicale che ha segnato un’epoca. Se consideriamo che esso ha calcato le scene musicali solo per un periodo limitato – complessivamente sono solamente 8 gli anni di attività del sodalizio orgolese dal 1969/70 al 1977/78 – e che solo occasionalmente si sono ricomposti per registrare il secondo album S’Attitu nel 1984, il loro contributo è davvero notevole.

Fin dal suo esordio, la compagine orgolese si è distinta per scelte tematiche audaci che affrontano questioni di grande rilevanza sociale e civile e la loro musica è diventata nel tempo un veicolo di denuncia, di protesta, un potente strumento di comunicazione e di rivendicazione identitaria ma anche di impegno politico.

Al contempo ha avuto la capacità di coniugare tradizione e innovazione: senza perdere di vista le radici della musica popolare, in particolare delle sonorità del canto a tenore, ha saputo reinterpretarle in chiave moderna. Grazie al rinnovamento musicale, con l’utilizzo di nuove forme melodiche, il sodalizio orgolese è stato capace di coinvolgere e sensibilizzare un pubblico sempre più ampio, fino a quel momento sconosciuto al canto a tenore.

Questo approccio innovativo che, alla capacità di veicolare contenuti di grande impegno civile, unisce l’utilizzo del canto tradizionale affiancato da altri strumenti, come la fisarmonica di Zosepe Rubanu, ha creato un prodotto unico e riconoscibile, che non solo ha contribuito, come già detto, ad avvicinare alla musica tradizionale sarda un più ampio numero di persone ma ha fatto sì che il Gruppo Rubanu diventasse un punto di riferimento imprescindibile nel panorama musicale e culturale dell’isola per generazioni di musicisti e appassionati, ispirando e influenzando altri artisti e aprendo nuove strade per la musica popolare in Sardegna.

Alcuni dei loro ritmi sono stati imitati e reinterpretati da altri cantanti, diventando veri e propri inni e simboli del popolo sardo. La loro influenza si percepisce ancora oggi, in artisti e movimenti che continuano a trarre ispirazione dal loro esempio.

Andrea Deplano, forse il più grande conoscitore del coro orgolese, a tal proposito scrive: “(…) la formazione del Gruppo Rubanu più di ogni altra ha saputo incidere nel patrimonio del canto sardo portando una ventata di innovazione destinata a travalicare i confini del canto a Tenore per dare origine a importanti stilistiche da cui trovano genitura le molteplici forme della musica etnica odierna”. E ancora: (…) sul piano del tessuto musicale creato dal coro (si riferisce al coro a tenore ndr) l’unica, impareggiabile forma di rielaborazione è stata prodotta dal Gruppo Rubanu (…). Per concludere: “Chiunque abbia cantato contemporaneamente al Gruppo Rubanu o subito dopo ha dovuto tenere nella giusta considerazione quanto era stato costruito fra il 1972 ed il 1984”.

Per maggiori approfondimenti sugli aspetti musicali del Gruppo Rubanu si rimanda al testo di Andrea Deplano contenuto negli atti del convegno citato, tenutosi ad Orgosolo, scaricabile dal seguente link (pag. 63-79).

Il gruppo Rubanu annovera collaborazioni importanti con diversi artisti, una per tutte quella con gli Inti Illimani. Nel 1974 furono diversi concerti con il gruppo cileno che dal 1973 si trovava in Italia in seguito al golpe di Pinochet. Per chi volesse approfondire l’esperienza del Gruppo Rubanu con gli Inti Illimani si rinvia al testo Aldo Brigaglia scaricabile dal seguente link: (pag. 97-98).

Il Gruppo Rubanu è la prima formazione di canto a tenore che ha aperto la strada alle sperimentazioni con altri generi musicali. Nel 1974 incontra il jazz di Marcello Melis, Enrico Rava, Roswell Rudd e Don Moye nell’album sperimentale “The New Village on the Left”, la cui pubblicazione è datata 1977.

Impossibile in poche righe azzardare un’analisi dei testi delle poesie contenute nei due lavori del Gruppo Rubanu. Le tematiche trattate sono davvero tante per cui è opportuno soffermarsi solo su alcuni brani.

Il primo è “Su Secuestradore”, a firma di Giuseppe Nicolò Rubanu e Nataliu Sanna. Una canzone di grande coraggio dal momento che in un periodo in cui in Sardegna imperversavano i sequestri di persona – sicuramente condannati da buona parte della società civile – non mancava una parte dell’opinione pubblica che mostrava una certa comprensione nei confronti di questo efferato crimine. Gianni Loy nel suo contributo (pag. 86-96) riassume in maniera lucida lo spirito che spinse Rubanu e Sanna a scrivere questo testo ed evidenzia come, pur nella comprensione delle ragioni che spingono al reato, nella poesia è apertamente condannato, ma colui che lo commette non viene rinnegato e abbandonato ma convinto a percorrere un’altra strada, quella della lotta di classe:

Sa lota solamente

de un’unida classe tribagliante

est talmente potente

chi aterrat su ricu e su furfante.

si cheres cambiare

beni chin nois detzisu a lotare.

“A Nanni Sulis” (meglio nota come “Nanneddu meu”) del poeta tonarese Pepinu Mereu, ancora sconosciuta alla maggior parte dei sardi nei primi anni ’70, grazie all’armonizzazione di Zosepe Rubanu diventa tra le canzoni in lingua sarda più popolari.

“S’Innu de su Patriotu sardu a sos feudatàrios” (conosciuta come “Barones sa tirannia”) è eseguita dal Gruppo Rubanu nella modalità “a gosos”. Nel 2019, la poesia di Francesco Ignazio Mannu, è stata dichiarata Inno ufficiale della Sardegna e un decreto del presidente della Regione ha stabilito, su proposta del Comitato per “Sa Die de sa Sardigna- Festa del Popolo Sardo”, che la modalità di esecuzione dell’Inno è la melodia “a gosos”, e solo in subordine “a ballu tundu”. Zosepe Rubanu questo lo aveva capito già 50 anni prima quando tutti, allora e ancora oggi, la eseguivano e la eseguono “a boghe de ballu”.

Il brano di maggior successo della produzione discografica del Gruppo Rubanu, almeno fuori dai confini orgolesi, è sicuramente “Pratobello”: migliaia di sardi in quegli anni hanno cantato la poesia scritta da Zosepe Rubanu. Pratobello rappresenta molto più di una semplice canzone, il suo significato è andato ben oltre il semplice valore musicale. Nel corso degli anni, questa canzone si è trasformata in un vero e proprio inno antimilitarista e di lotta contro ogni forma di ingiustizia e oppressione. La sua forza sta nel messaggio potente e universale che porta: un richiamo alla libertà, alla giustizia e alla resistenza contro le sopraffazioni.

Questa canzone ha attraversato decenni e ancora oggi è, evidentemente, capace di suscitare emozioni profonde dal momento che in tutte le manifestazioni è ancora cantata a da migliaia di manifestanti.

Pratobello è un simbolo di resistenza, di identità e anche di speranza.

Tematiche che ritroviamo ribadite anche in altri due testi cantati dal coro Rubanu. Il primo è una delle poesie più conosciute di Pepino Mereu, una delle “Lettere a Nanni Sulis” (titolata nel disco “Deo no isco sos carabineris”) che a un certo punto recita:

senza distintziones curiales

devimus esser fizos de un’insigna

liberos rispettados uguales.

Il secondo è “Su corazu”, sonetto di Luisu Marteddu, nel quale il poeta di Orotelli sottolinea che:

Corazu est a nde ’ocare s’inzustissia

de sos pacos chi nadan in su bene

de sos medas chi afogan in su male.

Per chi volesse approfondire si consiglia l’articolo, già citato, di Gianni Loy e quello di Giacomo Serreli (pag. 80-85).

Accanto ai testi di impegno sociale e politico, Zosepe Rubanu firma anche una canzone d’amore. Se “Pratobello” è la canzone più conosciuta dae sos istranzos, il brano senza dubbio più celebre e ancora oggi più cantato dai compaesani di Marzotto è “Anna”.

Questa canzone con la quale si è concluso lo spettacolo di Orgosolo e cantata da tutto il pubblico presente, è molto più di una semplice canzone d’amore, rappresenta un patrimonio emotivo che ha attraversato intere generazioni. Poco diffusa fuori dal confine orgolese, in paese in quegli anni, in quelli a seguire ancora oggi è sulla bocca degli adolescenti e in tante occasioni è cantata insieme alle ballate di De Andrè e alle liriche di Guccini.

Da evidenziare che Zosepe Rubanu, forse per pudore o chissà per quale altra ragione, non canta la canzone che egli dedica alla sua amata. Nell’album “S’attitu” è infatti eseguita da Antoni Buffa, che con la sua voce straordinaria la rende ancora più ammaliante.

Il Gruppo Rubanu rappresenta un esempio di come la musica possa essere uno strumento potente di comunicazione ma anche di persuasione sociale e culturale. Il loro impegno, la loro attualità e, il loro ruolo di pionieri e al contempo il forte legame con la tradizione sarda rendono il loro lavoro ancora più significativo.

Sicuramente un convegno non è sufficiente a rendere il dovuto omaggio a tziu Zoseppe, a tziu Antoni, a tziu Bustianu, a tziu Zilieddu e a tziu Micheli. Sono certo che altre importanti iniziative saranno capaci di ricordali magari chissà per il centenario de “Su lamentu de su pastore” o de “S’Attitu”.

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