Ilaria Salis: “Il CPR di Macomer è una prigione etnica”
2 Giugno 2025[red]
Giovedì 29 maggio l’europarlamentare di AVS – The Left Ilaria Salis ha effettuato un’ispezione a sorpresa all’interno del Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Macomer, in Sardegna, accompagnata da un collaboratore e da un’infermiera. Pubblichiamo il report della parlamentare europea.
Il CPR di Macomer, come tutti i CPR, è a tutti gli effetti una prigione etnica: uno strumento del capitalismo razziale europeo e italiano in cui vengono detenute persone e lavoratori sprovvisti di un permesso di soggiorno in corso di validità. La detenzione amministrativa e la costante minaccia della deportazione agiscono da monito per gli altri lavoratori stranieri o italiani senza cittadinanza, mantenendoli in una condizione di ricattabilità che permette forme estreme di sfruttamento da parte dei datori di lavoro.
Il CPR di Macomer è ospitato all’interno di una struttura architettonicamente concepita come carcere di alta sicurezza. L’impatto visivo e ambientale è opprimente. Al posto delle finestre ci sono piccole bocche di lupo, che si aprono solo a vasistas. Gli ambienti sono in penombra e non c’è ricambio d’aria. Le persone trattenute – sequestrate perché prive di un permesso di soggiorno in corso di validità – ci hanno ripetutamente chiesto, con incredulità, perché si trovassero in un luogo tanto simile a ‘un carcere per mafiosi’.
Durante l’ispezione abbiamo riscontrato condizioni igienico-sanitarie gravemente compromesse: ambienti sporchi e trascurati, materassi in gommapiuma logori, le solite lenzuola in materiale sintetico – le stesse, terribili, che ho trovato in tutti i CPR italiani – e docce non funzionanti in diverse sezioni.
L’assenza totale di attività ricreative, formative o lavorative rende l’ambiente ancora più insalubre dal punto di vista psicologico. Le persone trascorrono le giornate in uno stato di completa inattività, rimuginando sulla propria condizione di privazione immotivata della libertà.
Una frase ricorrente, ascoltata anche a Macomer, è:
“Stare qui è molto peggio che stare in carcere.”
A peggiorare ulteriormente la situazione è la durata della detenzione amministrativa in Italia, che può arrivare fino a 18 mesi, a fronte dei 3 mesi previsti, ad esempio, in Francia. Alcune persone restano intrappolate in questo limbo per periodi lunghissimi, in condizioni che minerebbero la salute mentale di chiunque.
Dopo la legge Basaglia, è sconfortante constatare che all’abolizione dei manicomi abbiano fatto seguito nuovi spazi d’internamento manicomiale come i CPR.
Tutte le testimonianze raccolte durante l’ispezione hanno denunciato la pessima qualità del cibo. Più persone lo hanno definito “nocivo” e ci è stato segnalato un episodio recente di malessere collettivo, riconducibile ai pasti distribuiti all’interno del centro.
In segno di protesta, alcune persone hanno rifiutato il cibo in diverse occasioni, ma senza ottenere alcun miglioramento da parte dell’ente gestore.
Particolarmente emblematica la colazione, che ho potuto constatare personalmente: appena tre biscottini minuscoli, del tutto inadeguati a soddisfare il fabbisogno nutrizionale minimo di un adulto.
Il clima di paura e insicurezza è tangibile. Le persone trattenute vivono nella costante apprensione di essere prelevate all’improvviso, nel cuore della notte, per essere rimpatriate verso destinazioni spesso ignote – oppure deportate in Albania.
Secondo alcune testimonianze, pochi giorni prima della visita otto persone sarebbero state prelevate all’alba dagli agenti di polizia senza alcun preavviso e forzatamente trasferite in Albania, senza nemmeno il tempo di raccogliere i propri effetti personali.
Il grande timore di essere deportati nei lager albanesi, ancora più lontani da tutto e da tutti, viene alimentato dalla totale opacità delle informazioni fornite all’interno del centro.
L’umanità reclusa nel CPR di Macomer è eterogenea sotto il profilo dei percorsi biografici. Ho incontrato persone che vivono in Italia da molti anni, con famiglie, relazioni e legami radicati nel nostro Paese, finite nel centro a seguito della perdita del permesso di soggiorno, anche per motivi amministrativi o procedurali.
Accanto a loro, anche persone appena arrivate, come un gruppo di uomini algerini sbarcati sulle coste sarde pochi giorni prima. Dopo appena due giorni nell’hotspot di Monastir, sono stati trasferiti a Macomer nell’ambito delle procedure di rimpatrio accelerato.
Le testimonianze raccolte evidenziano come le valutazioni dei singoli casi da parte delle autorità preposte avvengano in modo sommario e non individualizzato. La rapidità della procedura compromette gravemente il diritto alla difesa e a una corretta valutazione del diritto alla protezione internazionale.
Tra loro anche due ragazzi visibilmente molto giovani, che ci hanno dichiarato di essere minorenni. A seguito di questo colloquio, le forze dell’ordine sono state costrette ad avviare accertamenti sulla loro età. Se confermata la minore età, devono essere rilasciati immediatamente, come previsto dalla legge.
l CPR di Macomer deve essere chiuso. Come tutti i CPR in Italia. Cambiare l’ente gestore – operazione già tentata – non è risolutivo: è l’intero dispositivo della detenzione amministrativa a generare sistematicamente violazioni dei diritti fondamentali.
Occorre superare la legge Bossi-Fini, che lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, e costruire un sistema di gestione amministrativa dell’immigrazione fondato sulla dignità, sull’uguaglianza tra lavoratori e sui diritti fondamentali delle persone — non sul controllo, sulla paura e sulla repressione.
I CPR sono ingranaggi della macchina disumana del capitalismo razziale che produce esclusione, ricattabilità e sfruttamento. Non garantiscono sicurezza, né giustizia: servono solo a mantenere un ordine sociale ingiusto.
Un paese senza CPR non solo è possibile, ma necessario e immediatamente realizzabile. Sarebbe un paese più giusto, più libero, più umano — e persino più efficace, perché capace di rispondere ai bisogni reali della società. Per tutte e tutti.