La difesa della razza in Sardegna

1 Giugno 2008

Mario Cubeddu

Chi è abituato a vedersi come vittima, più o meno immaginaria, fatica a ricordare i momenti della storia in cui è stato dalla parte dei persecutori. Gli Italiani, e i Sardi, hanno spesso pensato di avere le mani nette rispetto agli orrori del XX° secolo. Il male incarnato dal nazismo sembrava non coinvolgere nella complicità il fascismo italiano. La sottovalutazione si può vedere anche oggi nella diversità di reazione agli assalti ai campi rom di Ponticelli da parte dell’opinione pubblica europea e di quella italiana. La gravità intollerabile di ciò che è avvenuto è stata forse espressa con chiarezza maggiore da giornali stranieri. Si fa fatica in Italia a guardarsi allo specchio. Perciò, anche a rischio di annoiare qualcuno, è il caso di insistere sulla memoria di alcune vicende storiche fondamentali del secolo passato. Settanta anni fa, nell’estate del 1938, partiva in Italia una campagna volta a fomentare l’odio nei confronti dei non-italiani, soprattutto degli ebrei, che sarebbe culminata nelle leggi razziali dell’ottobre dello stesso anno. Dal Manifesto sulla purezza della razza italiana pubblicato da un gruppo di “scienziati” il 14 luglio 1938, al Decreto per la difesa della razza italiana del 17 novembre, si ponevano le basi per le linee di azione dell’Italia fascista in materia razziale. Queste avrebbero comportato la progressiva cancellazione della popolazione ebraica dal contesto civile italiano: tutti i dipendenti dello Stato riconosciuti come ebrei venivano cacciati dal posto di lavoro, veniva contestato il loro diritto alla proprietà, bambini e ragazzi ebrei non potevano frequentare le scuole statali, nessuno italiano poteva più, né sposarsi con un ebreo, né lavorare alle sue dipendenze. Una discriminazione volta a preparare la persecuzione realizzata sia con l’acquiescenza italiana alle stragi dei milioni di ebrei dell’Europa orientale, sia con la deportazione degli ebrei italiani nei lager a partire dal 1943. I provvedimenti del 1938 facevano seguito alla guerra d’Etiopia, conquistata con l’uso di ogni mezzo militare, compresi i gas vietati dalle convenzioni internazionali, e “normalizzata” col genocidio dei suoi gruppi dirigenti e di chiunque osasse ribellarsi. Dal 1936, inoltre, l’Italia partecipava all’aggressione alla Repubblica spagnola che sarebbe durata sino alla sconfitta di questa nel 1939. Si tratta di vicende abbastanza note, in quanto segnano dei passaggi decisivi della storia italiana del Novecento. Forse non altrettanto noto il modo in cui fu vissuta in Sardegna la questione razziale. In Sardegna si partecipa alla vicenda delle leggi antiebraiche in due modi. Il primo è costituito dall’appoggio più o meno esplicito a una politica razzista da parte di settori dei gruppi intellettuali e della classe dirigente locale. Si può partire dall’entusiasmo de L’Unione Sarda , che può vantare e pubblicare con orgoglio il riconoscimento inviato da Roma per l’impegno profuso nella propaganda razzista. Altrettanto fa L’Isola, il quotidiano fascista di Sassari. Ma c’è una partecipazione ancora più ravvicinata ed attiva. Tra i dieci “scienziati” che scrivono e firmano il Manifesto degli scienziati fascisti c’è anche il sardo Lino Businco, formatosi in ambiente propizio nell’Università di Cagliari e nel 1938 Assistente di Patologia Generale a Roma. Pubblicherà molti articoli su La Difesa della Razza, la rivista che cerca di diffondere il razzismo in Italia, il cui segretario editoriale è Giorgio Almirante. Redattore della rivista è anche un tale Ubaldo Nieddu. In un numero della rivista del 1939 compaiono ben tre firme di sardi. Oltre a Businco e Nieddu c’è Paolo Rubiu, autore di un articolo dal titolo Gente sarda antisemita. Le immagini folkloristiche dei sardi in costume (è il fascismo a fissare sino ad oggi molti dei caratteri presunti “antichissimi” delle tradizioni sarde) dovrebbero dimostrare la tesi che la Sardegna è popolata dai discendenti di una “razza ellenica romanizzata”. Se si tiene conto di un altro articolo pubblicato su un quotidiano sardo dal titolo “I sardi sono ariani”, si è portati a credere che lo zelo particolare dimostrato dai sardi per l’occasione sia il frutto in primo luogo di dubbi sulla propria collocazione storica come collettività e di una fortissima ansia di riconoscimento. Insomma, una preoccupazione che potesse essere messa in dubbio la loro appartenenza alla pura razza italiana. Non ci sono altre regioni, infatti, altrettanto preoccupate di affermare il proprio essere “ariane” e “antisemite”. E forse non si tratta solo del servilismo di qualche giornalista o intellettuale: questi atteggiamenti corrispondono a sentimenti diffusi. Nonostante i riconoscimenti al valore dimostrato nella Grande Guerra che avrebbero inventato il mito degli “intrepidi sardi” e fissato per loro un ruolo di servizio nelle imprese militari italiane, rimaneva la percezione della differenza e dell’estraneità che solo pochi decenni prima si era espressa nelle tesi positivistiche sulla “razza delinquente”. E quindi attestazioni ripetute di fedeltà e di adesione alla politica razziale fascista. Poco importa se il male che si poteva fare era limitato dalla presenza in Sardegna di meno di dieci ebrei, in gran parte insegnanti. Ciò che conta era il veleno che si diffondeva tra la gente, il disprezzo e l’odio per esseri umani i cui lineamenti venivano deformati dal preconcetto razzista. Il male che ne è derivato era intrinseco al fascismo; nonostante questo una parte dell’Italia è rimasta legata da un filo di rimpianto a quell’epoca. Così tra i Sardi, che come gli altri italiani hanno partecipato con un ruolo non solo passivo alle tragedie del Novecento.

 

[Nell’immagine: Paul-Klee , meeting of two men]

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